Oggi vogliamo provare ad interrogarci sull’attrattività del nostro Paese, ragionando su quali sono le leve che orientano gli investitori internazionali.

Il punto di partenza obbligato é : c’é un modo per misurare l’attrattività di un paese?

Tra gli indicatori principali bisogna certamente considerare l’ammontare di Investimenti Diretti Esteri (IDE) che un determinato Paese riesce ad attrarre.

Gli IDE si configurano come investimenti internazionali volti all’acquisizione di partecipazioni “durevoli” in un’impresa estera o alla costituzione di una filiale all’estero, che comportino un certo grado di coinvolgimento dell’investitore nella direzione e nella gestione dell’impresa partecipata o costituita.

Secondo i parametri del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Economica (OCSE) si ha un IDE quando l’investitore estero possiede almeno il 10% delle azioni ordinarie in un’attività imprenditoriale.

Consultando le rilevazioni contenute nell’Advisory Board di WPP, il più grande gruppo di servizi di comunicazione del mondo presente in ben 111 paesi, sull’attrattività del sistema Italia, il valore IDE nell’anno 2013 é stato di gran lunga inferiore rispetto ai nostri omologhi europei.

Gli IDE in Italia sono stati circa 1/3 di quelli attratti da Francia e Germania e circa il 60% di quelli spagnoli.

È anche vero però che negli ultimi cinque anni gli IDE sono cresciuti del 4%, performance leggermente migliore di Francia (+3%), Germania (+3,7%) e Spagna (+3%). 

La domanda successiva allora é : quali sono i fattori che disincentivano gli investimenti nel nostro paese?

A questo scopo l’Associazione delle banche estere operanti in Italia (AIBE) ha realizzato in collaborazione con Ispo Ricerche, il primo “Osservatorio sull’attrattività dell’Italia presso gli investitori esteri”, giunto alla seconda edizione.

Lo studio pubblicato a novembre 2014, é basato sulle risposte fornite da fonti autorevoli come ad esempio investitori internazionali, Camere di Commercio estere e giornalisti della stampa estera.

Il risultato di questo secondo monitoraggio non premia il nostro Paese: l’indice si ferma ad un punteggio di 38 (in crescita rispetto all’anno 2013 in cui erano stati totalizzati 33,2 punti) su una scala da 0 a 100.

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C’é da dire che il nostro paese, pur non essendo considerato attrattivo, si é comunque riuscito a posizionare davanti a Russia e Francia così come fa una certa impressione confrontare il punteggio italiano con i punteggi “monster” ottenuti da Stati Uniti (a punteggio pieno 100/100), Germania (92/100) e Gran Bretagna (92/100).

Sicuramente il basso numero di interlocutori interpellati non rende i risultati prodotti da questo studio “scientifici” ma offre sicuramente numerosi spunti di riflessione.

Nella prima edizione dello studio, pubblicata invece nel marzo 2014, era stato chiesto di indicare i tre fattori principali che un investitore estero considera nello scegliere il pase di destinazione del proprio investimento.

Il “carico fiscale” era stato il fattore più citato (23%) per primo, seguito da “certezza del quadro normativo”, “burocrazia” e “stabilità politica”.

In generale i tre fattori più citati erano stati nell’ordine certezza del quadro normativo, carico fiscale e costo del lavoro.

Riguardo i fattori che frenano e/o favoriscono gli investimenti nel nostro paese, le risposte ricevute indicano chiaramente quali sono le aree in cui sarebbe opportuno intervenire.

Le priorità di intervento, secondo gli interlocutori esteri, sono cinque: norme e giustizia, carico fiscale, eccesso di burocrazia, scarsa flessibilità del mercato del lavoro ed alto livello di corruzione.

Sembra opportuno a questo punto provare ad analizzare le varie problematiche più nel dettaglio.

Per quanto riguarda “Norme e giustizia”, viene lamentata in primis una mancanza di chiarezza e certezza del quadro normativo oltre alla necessità assoluta di ridurre i tempi della giustizia civile: secondo i dati OCSE la durata media di un processo civile é di circa otto anni (2.866 giorni) contro i 788 giorni di media europea nonostante il livello di spesa italiano per il comparto giustizia sia uno dei più elevati nel vecchio continente. E’ evidente che questi tempi sono troppo lunghi per un’azienda che ha subito un torto e un contenzioso così lungo in alcuni casi può compromettere la stessa esistenza dell’impresa, facendo perdere l’opportunità di mantenere e creare occupazione.

In merito alle inefficienze connesse al “carico fiscale”, oltre all’alto livello del prelievo, bisogna considerare anche il fatto che in Italia é necessario un maggior numero di ore per pagare le imposte. Il nostro Paese relativamente a questa voce, nel rapporto Doing Business 2014, si colloca al 138esimo posto, risultando l’unico all’interno dell’Unione Europea al di sopra sia della pressione tributaria media, sia del numero medio di ore richieste per gli adempimenti fiscali.

La presenza di un “eccesso di burocrazia” é sotto gli occhi di tutti nella nostra quotidianità ed é indubbio come la stessa crescita italiana sia fortemente ostacolata dall’inefficienza della Pubblica Amministrazione e da un’eccessivo livello di burocratizzazione dei rapporti tra PA e imprese, con tempi di attesa spesso lunghi e difficoltà nel reperimento delle necessarie informazioni. Qualcosa però si muove e va segnalato come nel Doing Business (2015) l’Italia abbia guadagnato ben 15 posizioni rispetto al 2014, passando dal 61° al 46° posto su 183 paesi per la facilità nell’avviare un business.

In merito alla “scarsa flessibilità del mercato del lavoro”, il governo é intervenuto nelle scorse settimane approvando il controverso Jobs Act. Gli effetti che questa legge produrrà sono ancora tutti da verificare e per questa ragione é ancora troppo presto per esprimere un giudizio completo, certamente i datori di lavoro si sono dichiarati soddisfatti dei risultati ottenuti con la nuova riforma, ma certamente servirà del tempo per valutare la validità della misura nel suo complesso.

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E’ indubbio - e abbiamo già affrontato recentemente il tema su Exportiamo - come nel nostro Paese un “alto livello di corruzione”, rappresenti spesso e tristemente la norma come dimostrano gli eventi e gli scandali che si susseguono a causa di connivenze e intrecci tra sistema politico, la pubblica amministrazione e del tessuto imprenditoriale. Transparency International nel suo “Corruption Perception Index 2014”, colloca infatti il nostro Paese al primo posto, in coabitazione con la Romania, per il reato di corruzione in Europa.

Per nostra fortuna però abbiamo anche qualche carta da giocare perché certamente tra i fattori a favore dell’Italia vengono riconosciuti la qualità delle risorse umane e la solidità del sistema bancario e anche in merito alla percezione della situazione del mercato del lavoro, i dati di novembre 2014 segnalano un miglioramento, così come il 46% degli intervistati ha dichiarato di considerare l’Italia maggiormente attrattiva rispetto a sei mesi fa perché sta attuando una strategia efficace per migliorare la propria immagine e il proprio appeal nei confronti dell’estero.

Certamente c’é ancora molto da lavorare e viene ritenuto assolutamente prioritario portare a termine le grandi riforme avviate o annunciate un po’ in tutti i campi.

Secondo oltre il 50% degli intervistati invece spending review e privatizzazioni non sono poi così determinanti nel determinare l’attrattività del paese.

In sostanza a livello internazionale esiste la convinzione che solo mettendo in campo un programma di riforme completo, si potrà agevolare la valorizzazione degli asset più importanti del Paese, unici e ineguagliabili a partire dal nostro patrimonio culturale, artistico e naturalistico, passando per la varietà e la qualità unica delle nostre produzioni agroalimentari e il saper fare italiano che si esprime nelle nostre manifatture di qualità.

 

A mancare malgrado gli sforzi del Governo Renzi é l’assenza di una visione politico/strategica di medio-lungo periodo e spesso a prendere il sopravvento purtroppo sono polemiche, discussioni e rivendicazioni particolaristiche e/o corporativistiche, lasciando indifeso il bene comune.

Certamente anche lo scarso livello di meritocrazia e mobilità sociale che esprime il nostro Paese, deprime le pur ottime potenzialità e per far si che a venire premiato sia chi conosce qualcosa e non chi conosce qualcuno serve anche una crescita culturale e una presa di coscienza civica da parte di tutti.

Senza dubbio la politica potrebbe e dovrebbe ripristinare il buon esempio, punendo severamente episodi di illegalità, clientelismo e corruzione, ma questo non sempre accade. Purtroppo.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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