L’Associazione degli artigiani di Mestre (CGIA) ha recentemente eleborato uno studio che analizza il rapporto fra la spesa pensionistica e la spesa scolastica fra i paesi dell’area euro.

I dati forniti evidenziano uno squilibrio fortissimo evidenziando come l’Italia abbia la più elevata percentuale di spesa pensionistica in rapporto al PIL in tutta Europa, ben il 16,8%.

Un’enorme quantità di denaro pari a quasi 270 miliardi di euro all’anno e in termini assoluti solo Francia (circa 319 miliardi) e Germania (circa 309 miliardi) spendono più di noi sebbene questa differenza sia facilmente spiegabile: in Italia i pensionati sono circa 16,5 milioni a fronte dei 18,4 presenti in Francia e i 23,5 presenti in Germania.

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Se invece si parla di scuola ed istruzione in generale siamo molto meno generosi con 65,5 miliardi di euro all’anno, equivalenti “solo” al 4,1% del PIL, collocandoci - in questo caso - al penultimo posto fra i Paesi dell’area euro, peggio di noi e per poco, solo la Spagna (4% del PIL).

Tralasciando i valori in termini assoluti, perché occorre giustamente tener sempre conto del diverso peso demografico di ciascun Paese, dal dato comparativo emerge però una verità inquietante: la spesa pensionistica é quattro volte superiore a quella scolastica.

Nessun’altro in Europa presenta uno squilibrio così ampio ed infatti, in media, il rapporto fra spesa pensionistica e spesa per l’istruzione nell’area euro é di 2,63 e solo la Grecia ci segue da vicino con un rapporto pari a 3,54, mentre gli altri Paesi presentano un rapporto inferiore a 3. 

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Lo studio CGIA ci dice inoltre come dal 2003 al 2013, la spesa pensionistica in rapporto al Pil é passata dal 14,2 al 16,8% con un aumento del 2,6% in un decennio, dato preoccupante guardando ancor di più il rapporto fra numero di pensionati e numero di occupati all’interno di un Paese. 

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In Italia ci sono 74,3 pensionati ogni 100 occupati mentre la media continentale é sensibilmente più contenuta (63,8) e solo la Francia presenta dati simili a quelli italiani con 72,4 pensionati ogni 100 occupati.

E’ comunque bene ricordare che l’ultimo intervento normativo in materia pensionistica, la Legge Fornero, oltre ad innalzare sensibilmente l’età pensionabile ha imposto grandi sacrifici ai contribuenti italiani e dispiegherà i suoi effetti benefici sul bilancio pubblico solo nel medio-lungo periodo.

Questa alta spesa nel comparto pensionistico é dunque un retaggio del passato come sottolinea Giuseppe Bortolussi, Segretario della CGIA, “le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant’anni hanno privilegiato, in termini  macroeconomici, il passato, ovverosia gli anziani, anziché il futuro, cioé i giovani e purtroppo ancora adesso scontiamo gli effetti di un sistema pensionistico che fino agli inizi degli anni ‘90 é stato molto generoso, soprattutto nei confronti dei lavoratori del pubblico impiego e delle aziende di stato”.

In effetti leggendo i dati forniti da Inps-Inpdap, in Italia ci sono attualmente mezzo milione di persone che godono delle cosiddette baby pensioni, con un costo per lo stato pari a 9 miliardi di euro all’anno.

SecondoConfartigianato tra questi, 17.000 hanno smesso di lavorare a 35 anni di età e altri 78.000 sono andati in pensione tra i 35 e 39 anni. Un diritto acquisito che non si fatica a definire odioso sia nei confronti delle generazioni più giovani sia nei confronti di chi potrà lasciare il lavoro solo a 67 anni e con un numero di anni di contribuzione pari almeno a 35 anni.

Ad istituirle fu, alla fine del 1973, il governo guidato dal cinque volte Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor.

Il governo del leader veneto stabilì che - nel pubblico impiego - potessero lasciare il lavoro le donne che avevano lavorato per 14 anni, sei mesi e un giorno, ma soltanto se sposate e con figli, mentre per le altre categorie erano sufficienti 20 anni di lavoro per gli statali e 25 per i dipendenti degli enti locali.

Confartigianato ha calcolato che lo Stato ha bruciato circa 150 miliardi di euro per pagare questi assegni, mentreil “privilegio” fu abolito circa 20 anni fa, nel 1992 dal governo Amato.

Oggi d’attualità é invece il tema delle pensioni d’oro e dei vitalizi (anche multipli) ai quali gran parte della classe dirigente italiana non vuole rinunciare.

Sarebbe opportuno eliminare e/o quanto meno ridimensionare questi privilegi investendo il denaro risparmiato nel futuro del paese che certamente passa per la scuola.

Il tema é all’attenzione del governo e i margini di miglioramento sono enormi.

Attendiamo i risultati.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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