Nelle ultime settimane al centro delle attenzioni mediatiche ci sono a diverso titolo e ragione le sostanze stupefacenti, vuoi perché oltre cento deputati di tutti gli schieramenti hanno presentato una bozza di disegno di legge per legalizzare le droghe leggere per lottare contro il mercato nero in mano alle mafie e garantire un flusso fiscale altrimenti destinato al malaffari; vuoi perché sequestri e arresti legati al traffico internazionale di cocaina sono all’ordine del giorno e rappresentano piccola cosa sempre, rispetto ai traffici e agli attori che animano il palcoscenico mondiale del traffico di stupefacenti.

Il nome di Roberto Saviano é per tutti estremamente familiare dal 2006, anno in cui irrompe nelle librerie di tutta Italia il suo “romanzo” “Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra” e, non si esagera se si dice, che é stato un vero e proprio terremoto nell’anima e nelle coscienze di – più o meno – tutti e per lui in primis che da semplice cronista di quotidiani locali, si é visto quasi istantaneamente alla ribalta nazionale prima ed internazionale poi.

Gomorra ha venduto 2 milioni e mezzo di copie in Italia ed oltre 10 milioni in tutto il mondo; dal libro é stato tratto un film portato sullo schermo da Matteo Garrone ed anche una serie tv che é diventata la più vista in assoluto nella storia della pay tv italiana.

Nel 2013 viene dato alle stampe il secondo libro-inchiesta dell’autore “ZeroZeroZero” che come l’opera prima e forse in maniera anche più radicale, capovolge la visione che in generale si ha delle cose.

Partendo dalle “regole del gioco” o anche “regole di vita” che un anziano boss calabrese elargisce ad un galoppino messicano attonito in una stanza d’albergo a New York, “ZeroZeroZero” attraversa pian piano, in maniera graduale, la trama delle organizzazioni criminali di tutto il mondo fino ad arrivare ai piani più alti quelli delle banche e del riciclaggio: parliamo del traffico mondiale di cocaina.  

Sembra che ci si allontani dalla realtà, ma si parla invece di una realtà vicinissima a noi, come quella di Castel Volturno, comune della provincia di Caserta di circa 25.000 anime, un’area che sarebbe dovuta essere nel piano originario una delle più grandi pinete marittime del Mediterraneo, travolta dall’abusivismo, tanto che persino la Caserma dei Carabinieri lo é .  

Saviano é ossessionato dalle merci, quelle che quando si decide di raccontarle ci si accorge che rimandano ad una serie infinite di storie.

 

La cocaina é la merce più consumata, trafficata e desiderata del nostro tempo, una droga performativa, una “merce drammatica” e l’Italia stessa sembra beneficiarne:      
 
“L’Italia é il paese dove i grandi interessi del traffico di cocaina si organizzano e si consolidano in macrostrutture che ne fanno uno snodo centrale per lo scambio internazionale e la gestione dei capitali d’investimento. L’azienda-coca é senza dubbio alcuno il business più redditizio d’Italia. La prima impresa italiana, l’azienda con maggiori rapporti internazionali. Può contare su un aumento del venti per cento annuo di consumatori, incrementi impensabili per qualsiasi altro prodotto. Solo con la coca i clan fatturano sessanta volte la Fiat e cento volte Benetton. Calabria e Campania forniscono i più grandi mediatori mondiali nel traffico di coca e sommando le informative dell’Antimafia calabrese e napoletana in materia di narcotraffico, si arriva a calcolare che ‘ndrangheta e camorra trattano circa seicento tonnellate di coca l’anno”.

 

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La cocaina é la merce da esportazione per antonomasia e Saviano ne descrive la “global value chain”: viene prodotta in Colombia e nella sua danza macabra, distribuita dai messicani praticamente in ogni angolo del globo, dalle spiagge di Miami, fino in Russia ed Africa, per arrivare nelle strade illuminate di Milano, New York, Parigi, Londra, un’alleanza tra chimica e logistica, perché:

 

“L’Europa ha bisogno di coca, molta coca. Non é mai abbastanza. Il Vecchio continente é diventato la nuova frontiera del narcos. Dal 20 al 30 per cento della produzione mondiale di cocaina pura finisce da noi. Di colpo la cocaina ha attirato una nuova clientela. Se fino al 2000 il suo utilizzo si limitava quasi esclusivamente a strati privilegiati di popolazione, ora si é democratizzata”.

Gli adolescenti, prima lontani da questo tipo di consumo, oggi sono la fetta di mercato più appetibile, mentre secondo l’Osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, circa tredici milioni di europei hanno sniffato coca almeno una volta nella vita e - tra questi - sette milioni e mezzo hanno un’età compresa tra i quindici e i trentaquattro.      

Nel Regno Unito il numero di consumatori di cocaina é quadruplicato in dieci anni e in Francia l’Ufficio centrale per la repressione del traffico illecito di stupefacenti stima che il numero di consumatori sia raddoppiatto tra il 2002 e il 2006.

 
Il mercato si é stabilizzato definendo consumatori e abitudini.

“Zero zero zero” in un certo senso va oltre perché rilegge il capitalismo contemporaneo: la cocaina é un bene anti-ciclico che non teme né la scarsità di risorse, né l’inflazione dei mercati, é il “petrolio bianco” della nostra era come lo chiama qualcuno.      
           
Nel territorio vuoto e deserto di alcuni aree del Sud Italia in cui mancano anche le strutture più elementari di una società civile, in cui la mancanza di lavoro sembra essere una costante da molto prima dell’avvento dell’ultima crisi, ad un certo punto sono spuntati dal nulla maestosi centri commerciali, pur mancando la ricchezza diffusa che ne giustificherebbe l’insediamento.        

La cocaina permette l’avvento di un “turbo-capitalismo” con una velocità di arricchimento senza precedenti e consumi stratosferici, divenendo - il narcotraffico - la più grande economia mondiale con un giro di affari di oltre 400 miliardi di dollari, volumi superiori a Shell, Apple e Deutsche Bank.     

 

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La priorità é sempre e solo il guadagno naturalmente e da un chilo di cocaina pura se ne ricavano 3 di coca tagliata, pronta allo spaccio al dettaglio con un ROI (Return on Investment) prendendo a prestito gli indicatori di redditività aziendali, che fa paura se é vero che investendo 1000 euro dopo solo un anno ne tornano 186mila:    

“Se é vero che un chilo di cocaina in Colombia viene venduto a 1.500 dollari, in Messico tra i 12.000 e i 16.000, in Olanda a 47.000, in Spagna a 46.000, in Italia a 57.000 e nel Regno Unito a 77.000; se é vero che i prezzi al grammo variano dai 61 dollari del Portogallo e arrivano ai 166 del Lussemburgo, passando per gli 80 in Francia, gli 87 in Germania, i 96 in Svizzera e i 97 in Irlanda; se é vero che da 1 kg di cocaina pura con il taglio si ricavano mediamente 3 kg che verranno venduti in dosi da un grammo; se vero tutto questo, é altrettanto vero che chi comanda l’intera filiera é uno degli uomini più ricchi del mondo”.        

Questo vortice d’affari travolge tutto e tutti con una ferocia inaudita se incontra ostacoli e così in Messico dal 2006 oggi sono state 70.000 le vittime delle faide tra i cartelli (10 volte i soldati morti in Iraq), un sacrificio obbligato nel nome e per conto della ricchezza narco-capitalista.

Saviano dimostra come i proventi del narcotraffico trasformano l’intera struttura finanziaria e trasformano le democrazie stesse e anche colossi finanziari mondiali come (City Bank, Wachowia, HSBC) hanno dichiarato di aver riciclato denaro e lo stesso presidente Obama considera il narcotraffico alla stregua del terrorismo nella scala di valori delle minacce alla sicurezza nazionale.

I Broker della droga - ribattezzati i “Copernico del narcotraffico” - in questi anni hanno rivoluzionato il sistema del narcotraffico, fungendo da collettori finanziari per poi investire i capitali accumulati dove più conviene.      

Ma il vero business é quello dell’organizzazione dei trasporti con i cartelli Messicani che hanno colonizzato il Centro America acquistando la cocaina dai cartelli colombiani per immetterla nell’immenso mercato degli Stati Uniti, divenendo potentissimi e valorizzando al massimo il ruolo della distribuzione, come avviene nei traffici leciti.

 

Francesco Forgione, ex Presidente della Commissione Antimafia in “Porto Franco” racconta invece la storia e gli intrecci tra pezzi di potere della prima Repubblica (ma non solo), imprenditori corrotti, politici collusi, servizi segreti infedeli, massoni compiacenti che ruotano intorno al porto di Gioia Tauro.

 

Il “Porto Franco” ha rappresentato il crocevia per affari loschi, droga, omicidi, azioni criminali che hanno fatto evolvere la ‘ndrangheta, rendendola quella di oggi ovvero un potere parallelo, sviluppato e fiorente tanto da resistere all’impegno rinnovato della magistratura e delle forze dell’ordine.       

Le recentissime inchieste della Guardia di Finanza a Roma che hanno portato all’arresto di una cellula romana della ’ndrangheta con 19 persone coinvolte - tra cui alcuni “colletti bianchi” e diplomatici – che secondo gli inquirenti in 2 anni ha importato dal Sud America 1.062 chili di cocaina destinata solo alla piazza romana, sono l’ennesima dimostrazione della gravità e dell’attualità del problema.

 

Tra gli indagati si contano insospettabili promotori finanziari incaricati del riciclaggio del denaro attraverso canali bancari svizzeri con un ruolo chiave nell’operazione di cambio del denaro da euro in dollari per il riciclaggio svolto da un importante top manager, mentre a fare da corrieri di denaro da riciclare da Roma a Lugano sono coinvolti anche alcuni diplomatici del Congo - che in virtù dell’immunità diplomatica di cui godevano - per evitare i controlli portavano i soldi nascosti in valigia. 

  

L’operazione ha portato al sequestro di quasi 500 kg di cocaina nel porto di Gioia Tauro e nelle città di Milano e Roma, mentre – a dimostrazione della ramificazione e dell’integrazione della distribuzione - in Germania, Belgio e Olanda, é stata sequestrata cocaina per 562 kg.

 

 

Le moltiplicazioni sul valore potenziale della merce le lasciamo a voi, così come l’invito a riflettere su come e quanto il traffico internazionale di droga rappresenti anche un freno allo sviluppo dei paesi produttori, mentre nei paesi consumatori un certo proibizionismo ottuso e poco lungimirante (anche sul piano economico) raggiunge solo lo scopo di favorire l’operato della malavita organizzata, sempre più integrata (se non padrona) nei circuiti finanziari internazionali e nei giri che contano.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Alessio Cacciapuoti, redazione@exportiamo.it

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