Recentemente il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha diffuso un documento in cui viene completata ed aggiornata l’analisi sulle condizioni economiche e le prospettive di medio-lungo termine dell’Italia.

“L’Italia sta lentamente emergendo da una lunga e dolorosa recessione solo oggi” grazie alla combinazione di una serie di fattori quali la politica monetaria espansiva portata avanti da Mario Draghi attraverso lo strumento del Quantitative Easing, il basso prezzo del petrolio e l’indebolimento dell’euro che ha reso la moneta unica europea più competitiva nelle esportazioni mondiali; ma l’Istituto di Washington sottolinea anche che“i recenti sforzi riformatori sono riusciti a far risalire sensibilmente il livello di fiducia sia dei consumatori sia degli imprenditori italiani”.

Sono due i provvedimenti adottati dal governo Renzi che riscuotono maggiore approvazione “il Jobs Act che ha apportato significativi cambiamenti al mercato del lavoro italiano incentivando la produttività dei lavoratori e permettendo una più semplice e rapida mobilità dei lavoratori da un’impresa e/o da un settore all’altro” e gli interventi sul sistema bancario che hanno di fatto imposto la conversione delle dieci più grandi banche popolari italiane (entro i prossimi 18 mesi) in società per azioni  “incentivando – a detta dei direttori esecutivi dell’Fmi – la costituzione di una governance migliore e più efficiente”.

Al governo dunque viene riconosciuta, dopo anni in cui non sono state risparmiate critiche velate ed attacchi frontali dalle più importanti istituzioni internazionali e comunitarie, una rinnovata volontà riformatrice anche se non sono in pochi a pensare che i giudizi positivi sussistano proprio perché il premier Renzi sta recependo molti dei “suggerimenti” provenienti da quegli stessi ambienti.

Ma l’analisi non descrive una situazione di ripresa economica solida ed in effetti“le prospettive di medio-lungo periodo sono incerte a causa degli annosi problemi strutturali come alta disoccupazione, bilanci deboli ed elevato debito pubblico”. Infine una citazione anche per la situazione greca che sebbene coinvolga l’Italia limitatamente se si considera l’esposizione finanziaria diretta “potrebbe comunque avere un impatto sostanziale sul livello di fiducia generale” contribuendo a ricreare un sentiment economico negativo.

Per incidere sui problemi strutturali l’Italia ha bisogno di “una crescita economica molto più consistente che le permetterebbe di abbattere disoccupazione e livello del debito molto più rapidamente.

In effetti come si nota dalle stime che l’Fmi fa per i prossimi cinque anni la disoccupazione, stando così le cose, calerebbe nel 2020 “solo” al 10,7% (meno del 2%) e il rapporto debito/Pil al 122,9% mentre il Pil crescerebbe ad un ritmo modesto e costante vicino all’1%.

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Insomma tutto sommato le prospettive appaiano piuttosto fiacche e un ritorno ai livelli pre-crisi ancora lontanissimo.

Per questa ragione sono tre le linee d’intervento principali sulle quali Palazzo Chigi dovrebbe concentrarsi secondo gli analisti di Washington:

 

Aumentare la produttività attraverso la necessaria riforma della PA che premi il merito ed aumenti le responsabilità dei manager pubblici, riformando i sistemi locali di trasporto pubblico (ad oggi esistono oltre 8000 imprese pubbliche nel settore), aumentando la trasparenza nelle gare d’appalto pubbliche, riformando la giustizia civile, liberalizzando i mercati e completando il Job Acts.

 

Supportare il sistema bancario per far ripartire gli investimenti perché i prestiti concessi alle piccole e medie imprese italiane sono “scarsi e con tassi di interesse troppo elevati”.

Ricordiamo che le PMI in Italia rappresentano in numero il 99,9% delle imprese, l’80% dell’occupazione, il 67% del valore aggiunto (tra i più alti nell’area Ocse) e pesano per il 54% dell’export totale.

 

Riforma fiscale necessaria perché anche il Fmi riconosce che il livello di tassazione in Italia é eccessivo e nonostante vi sia stato “un taglio delle tasse sul lavoro nel 2015, il livello di tassazione su lavoro e capitale rimane assolutamente troppo elevato”.

In definitiva molto più di un’analisi, ma un vero e proprio programma di riforme “offerto” al governo italiano. Bisogna constatare che alcune riforme sono state messe in campo, ma gli effetti benefici ancora tardano ad arrivare.

Per quanto riguarda il Job Acts ad esempio, i consulenti del lavoro hanno recentemente stimato che a fine 2015 potrebbero contarsi complessivamente oltre un milione  (1.150.124 per l’esattezza) di attivazioni di contratti agevolati ma solo il 13% riguarderebbe nuove assunzioni mentre la stragrande maggioranza (87%) sarebbero stabilizzazioni. Appare dunque urgente predisporre nuove misure che agevolino la creazione di nuovi posti di lavoro perché non é pensabile costruire il futuro del paese e ricreare le basi per la ripresa economica con un tasso di disoccupazione giovanile al 41,5%.

Anche le misure anti-corruzione recentemente approvate sono state definite “un passo avanti” sia dal Presidente della Repubblica che dal Presidente del Senato ma probabilmente, anche su questo tema, ci si sarebbe aspettato qualcosina in più.

I presupposti di riforme “rivoluzionarie” con i quali il governo Renzi si era insediato poco più di un anno fa sembrano essersi scontrati con il realismo della politica e con la natura stessa del suo governo che non gli assicura una solido e stabile supporto.

Guardando invece alle evoluzioni continentali delle ultime settimane, ben vengano i consigli e le analisi di istituzioni internazionali e comunitarie, ma fino a quando l’UE non diventerà un’unione politica (cosa che non sembra affatto all’ordine del giorno) l’Italia non dovrà rinunciare a far sentire la sua voce e le proprie ragioni in Europa e nel mondo per assicurare ai suoi cittadini una vita più dignitosa ed un futuro migliore.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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