Circa un anno fa Nouriel Roubini di ritorno da un viaggio in Asia sul suo blog “Nouriel Edge’s” pubblicò il post “China Rising” per condividere alcune riflessioni sul ruolo globale dell’Impero di Mezzo nel presente e in prospettiva, in questi termini:

“Proiettandomi nel futuro dell’Asia tra 10 o 20 anni, mi immagino una Cina che continuerà ad accrescere la sua potenza commerciale economica e internazionale. Una Cina che si affermerà in modo più ampio nella sfera politica. Una Cina che eserciterà sempre maggiore influenza nella propria area geografica. Una Cina che continuerà a proiettare il suo potere geopolitico, che sale per affrontare le sfide di una grande potenza mondiale nel XXI^ secolo in Asia.

E, in ultima analisi, una Cina che aprirà una porta per opportunità a lungo termine per gli investitori astuti.”

Lo stesso Roubini al Forum Ambrosetti a Cernobbio, recentemente si é dimostrato stranamente ottimista, definendo “isterica” la reazione dei mercati internazionali alla crisi cinese, ridimensionando i rischi e notando come, in Europa, la presa d’atto tedesca della necessità di politiche espansive e la piena operatività del Piano Juncker sugli investimenti, rappresentino novità fondamentali che vanno nella giusta direzione di un ri-orientamento in senso espansionistico della politica fiscale.

Contingenze e congiunture richiedono risposte, ma soprattutto le analisi e le valutazioni di opportunità e rischi non devono lasciarsi condizionare dall’isteria collettiva e collocarsi nel giusto punto di osservazione.

L’ultimo focus pubblicato dall’Ufficio Studi Economici della SACE ha un titolo simpatico, emblematico e significativo “Quant’é profonda la tana del Bianconiglio? Cina e mercati emergenti tra balzi e bolle, panico e opportunità” perché prova proprio a riuscire in questo nobile intento, con un riferimento esplicito al “Paese delle Meraviglie di Alice” che a quanto pare non é irrimediabilmente compromesso.

L’analisi riflette innanzitutto sui cambiamenti strutturali in atto a Pechino, perché al di là delle isterie finanziarie di questi giorni, non bisogna dimenticare che le autorità sono impegnate a condurre, nel medio-lungo termine, l’economia verso un cambiamento sostanziale, un modello di sviluppo che punti sui consumi, invece che su esportazioni e investimenti e tutto ciò può naturalmente rallentare la crescita del PIL, oltre al fatto che non si tratta di un processo così immediato.

Va corretto il tiro per puntare ad obiettivi più ambiziosi e non si può prescindere da determinazione politica e risorse economiche. Il problema nell’ultimo periodo é stato proprio l’atteggiamento meno interventista e più aperto al mercato da parte delle autorità cinesi (rispetto alle precedenti “bolle”), causando un certo panico in occidente.

In realtà i rischi maggiori sono rappresentati dagli effetti della bolla cinese sugli altri mercati emergenti e vengono evidenziati i rischi per la tenuta dell’economia reale e di conseguenza sulla loro domanda di beni e servizi, preziosa per le nostre aziende più di quella cinese dal momento che globalmente questa rappresenta “solo” il 2,6% dell’export tricolore.

Due dinamiche vengono portate all’attenzione per provare a comprendere il momento.

Innanzitutto l’andamento dei mercati azionari, con il confronto dell’indice MSCI tra paesi avanzati ed emergenti. A differenza del passato recente, il calo interessa maggiormente gli emergenti, mentre negli ultimi 5 anni la ciclicità dell’afflusso e deflusso di capitali – soprattutto equity - da queste geografie é stata molto più ravvicinata, confermando la natura finanziario-speculativa di questi movimenti.

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Ancora più influente appare la caduta dei prezzi delle commodityiniziato con carbone e acciaio, e proseguito con gas naturale e petrolio.

Nel caso degli emergenti, dal 2008 in poi sono state infatti proprio le esportazioni di commodity ad alimentarne la domanda e la crescita globale, ma dalla SACE ricordano come non bisogna avere memoria corta, perché nel 2008, é stato proprio il crollo del greggio - da 146 dollari al barile in luglio a 34 in novembre - a dare il contributo più importante alla ripresa globale dell’economia e dei mercati finanziari, mentre oggi il calo dei prezzi deriva da un eccesso di offerta più che da un problema di domanda e anche se i Paesi produttori ne soffriranno un po’, gli altri trarranno beneficio dall’efficienza energetica e dall’abbondante energia a buon mercato.

Con queste premesse é evidente come le economie emergenti sono indebolite nei fondamentali economici e nelle prospettive di crescita, ma gli effetti sono differenziati e per questo motivo bisogna continuare a individuare il potenziale reale in termini di prospettive per l’export e gli affari delle imprese italiane.

L’intento della ricerca é quindi comprendere quali geografie siano più o meno vulnerabili a shock esogeni, partendo dai 20 principali mercati emergenti di destinazione dell’export italiano che totalizzano circa il 46% del PIL mondiale e importano il 35% delle merci scambiate e classificandoli  - in base ad una serie di variabili sensibili per valutarne la capacità di assorbire shock esogeni - in tre categorie: geografie a bassa, media e alta vulnerabilità.

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L’analisi evidenzia come in particolare Cina, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Polonia (complessivamente il 28% dell’export italiano verso i mercati emergenti (equivalente al 7,8% dell’export totale) - al netto della congiuntura - sono destinazioni su cui continuare a puntare perché l’incremento potenziale delle esportazioni italiane verso questi mercati potrebbe superare complessivamente gli 11 miliardi nei prossimi 3 anni, cifra equivalente al 30% dell’export attuale. Un basso livello di vulnerabilità possono vantarlo anche India e Algeria.

Tra i mercati a media vulnerabilità ritroviamo realtà con criticità più elevate, ma che rimangono comunque da presidiare perché o per dinamiche monetarie (Indonesia, Cile, Colombia, Malesia, Nigeria, Corea del Sud, Messico e Tailandia) o per un riposizionamento internazionale garantito da attori esterni (Egitto) e più in generale perché la congiuntura non ha messo in discussione i programmi di sviluppo; con un’adeguata copertura dai rischi possono offrire prospettive invariate per il business.

Discorso diverso invece per i paesi ad alta vulnerabilità, dove le debolezze strutturali incidono maggiormente e, in determinati contesti, potrebbero anche verificarsi rivolgimenti politici che potrebbero minare operatività e apertura agli scambi. Tra i paesi ad elevata vulnerabilità troviamo infatti realtà importanti quali Brasile, Russia, Sud Africa e Turchia, che pagano gli squilibri dovuti alla caduta dei prezzi delle commodity e lo stop agli afflussi di capitali stranieri; e l’Argentina che non ha accesso ai mercati internazionali a causa del default dello scorso anno, né tanto meno le prospettive di crescita economica fanno sorridere (-0,3%) in una congiuntura già poco rosea.

Insomma questo contributo interrogandosi su quanto sia profonda la tana del Bianconiglio, é anche un invito a valutare la realtà nell’insieme della sua complessità, ma vuole anche far capire alle nostre aziende che le opportunità vanno oltre apparenze e allarmismi, naturalmente con le dovute precauzioni e senza lasciarsi infettare.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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