Nell’ambito del commercio internazionale gli ultimi anni hanno visto l’affermarsi di forme contrattuali atipiche relative alla vendita di beni con effetti traslativi della proprietà al verificarsi di determinate condizioni sospensive.

Stiamo parlando del contratto di “Consignment stock” (merce in deposito), in base al quale un soggetto fornitore di beni li trasferisce presso un deposito di un’azienda estera cliente e gli stessi rimangono di proprietà del cedente fino a che si verificano le condizioni per il prelievo ed il relativo pagamento da parte dell’acquirente.

E’ evidente l’utilità di tale schema negoziale, in quanto consente all’acquirente di avere la disponibilità di merce in magazzino senza rischi e con l’obbligo di esborsi finanziari solo al verificarsi del prelievo (in blocco o per gradi) della merce. Allo stesso modo il fornitore nazionale consegue risparmi in termini di minori costi di spedizione e immagazzinamento, ed ha anche una migliore percezione delle esigenze dei propri clienti all’estero, potendo programmare le forniture ottimizzando complessivamente il servizio.

Il contratto negoziale è applicabile sia quando il cliente è un diretto utilizzatore della merce come materia prima o semilavorato e sia quando lo stesso effettua la commercializzazione di prodotti finiti senza alcuna fase di trasformazione.

In Italia questa tipologia contrattuale di chiara matrice anglosassone è paragonabile al contratto estimatorio (di cui agli artt. 1556 -1558 del codice civile), definito come il contratto con cui: “…una parte consegna una o più cose mobili all’altra, e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito”.

Tale tipologia domestica di contratto dà la possibilità a chi riceve i beni di disporre di uno stock di prodotti senza dovere sostenere esborsi finanziari sino al momento del loro utilizzo.

L’affinità tra le due forme consente di applicare molte delle clausole tipiche del contratto estimatorio al contratto di “Consignment stock” e anche dal punto di vista fiscale, molte regole dettate per il contratto estimatorio possono applicarsi a quest’ultimo accordo.

Nei casi regolati dal contratto è evidente che il rapporto sottostante può coinvolgere un fornitore italiano ed un cliente residente sia in un Paese UE che extra-UE.

Vediamo quindi, dal punto di vista fiscale, quali siano le problematiche operative a seguito della formalizzazione di un siffatto accordo nell’una e nell’altra casistica.

Nel caso di rapporti commerciali con clienti UE, la Risoluzione ministeriale n. 235/E del 1996, allineandosi alle previsioni dell’art. 6, comma 1, del DPR n. 633/72, ha affermato che:

“la cessione dei beni si considera effettuata nel momento in cui si produce l’effetto traslativo della proprietà per il soggetto acquirente, vale a dire all’atto del prelievo dei beni dal deposito ad opera di quest’ultimo”. “ In relazione a tale momento ed, in ogni caso non oltre un anno dalla consegna o spedizione dei beni, la ditta “…..” provvederà ad emettere fattura non imponibile ad IVA” (art. 41, comma 1, lett. A) del DL n. 331/93).

Nelle more del trasferimento all’acquirente dei beni, il fornitore ed il cliente dovranno tener conto nelle rispettive contabilità della effettiva localizzazione dei beni. Inoltre, ai sensi dell’art. 50, comma 5, del DL n. 331/1993, la movimentazione delle merci deve essere annotata in apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 39 del decreto IVA.

Nel caso invece di rapporti commerciali con clienti extra-UE, la Risoluzione n. 58/E del 2005 afferma che:

“all’atto dell’espletamento delle formalità doganali di esportazione si è in presenza di una cessione a titolo oneroso delle merci in uscita, cessione che, in virtù delle pattuizioni di cui al contratto di consignment stock, è realizzata secondo un procedimento che si perfezionerà solo in un secondo momento, all’atto del prelievo dal deposito”…..Si realizzano quindi i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; naturalmente, il plafond di cui all’articolo 8, secondo comma, dello stesso decreto, si andrà a costituire solo nel momento e nella misura in cui le stesse risultino prelevate dall’acquirente e debitamente fatturate dal fornitore”.

Secondo la citata circolare l’esportatore deve emettere una bolletta doganale corredata da una fattura pro-forma (con indicazione del contratto sottostante e della non rilevanza ai fini dell’art. 8 del decreto IVA), mentre l’acquirente - nel momento del ritiro - emette un documento attestante le merci ritirate ai fini della definizione finanziaria dell’operazione.

Infine, all’atto del prelievo, il cedente emette fattura non imponibile art. 8, contenente i riferimenti dell’ordine, della bolletta doganale, della fattura pro-forma e del documento rilasciato dall’acquirente.

In caso di restituzione della merce, la stessa – ai fini doganali – verrà considerata un’operazione “in franchigia” e non dovrà pagare né dazi né Iva.

Per potersi avere esenzione, comunque, debbono verificarsi alcuni presupposti.

L’esenzione dai dazi all’importazione si applica laddove sussistano le seguenti condizioni (artt. 185 e 186, Regolamento Ce 2913/1992):

- I beni vengono reintrodotti tali e quali nello Stato di origine;
- I beni vengono reintrodotti e immessi in libera pratica entro 3 anni;
- precedentemente all’esportazione, i beni in reintroduzione non sono stati immessi in libera pratica col beneficio di un dazio all’importazione ridotto o nullo a motivo della loro utilizzazione per fini particolari (in questo caso, l’esenzione dai dazi si applica soltanto nel caso in cui i beni vengano utilizzati per gli stessi fini);
- i beni da reintrodurre nel territorio doganale della Ue non sono stati oggetto di una misura comunitaria che ne impone l’esportazione in Paesi terzi.

La normativa IVA richiede, invece, la presenza delle seguenti previsioni:

- Reintroduzione dei beni effettuata dallo stesso soggetto esportatore;
- Reintroduzione dei beni tali e quali nello Stato di origine;
- Sussistenza - all’atto della reintroduzione - di tutte le condizioni per la franchigia doganale;
- Reintroduzione da effettuare nel medesimo anno solare dell’esportazione originaria;
- Operazione di esportazione doganale non utilizzata ai fini della costituzione del plafond (necessità di una dichiarazione ad hoc in dogana).

Questa vuole essere solo una breve panoramica sulla funzionalità di soluzioni concrete e codificate basate sostanzialmente su un rapporto di lealtà e di reale cooperazione all’interno della catena del valore.

L’obiettivo rimane sempre ottimizzare il proprio business equilibrando rischi, costi e ricavi.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Claudio Rubino, Dottore Commercialista e Tax Manager, redazione@exportiamo.it

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