L’allarme lanciato da Coldiretti negli ultimi giorni preoccupa e non poco le oltre 214mila imprese esportatrici italiane: il messaggio è molto chiaro, le politiche protezionistiche di Trump potrebbero avere un’influenza negativa sul Made in Italy nel medio-lungo periodo.

A dire il vero gli scenari post voto erano stati incoraggianti, con parole distensive del nuovo presidente americano rispetto ai toni accesi che hanno caratterizzato la campagna elettorale americana.

Ma già dopo i primi giorni d’insediamento Trump ha confermato l’indole protezionistica del suo programma annunciando la costruzione del muro al confine col Messico e il ritiro dal TTP (Patto Trans Pacifico), soffocando (le residue a dire il vero) speranze sulla ratifica del TTIP che coinvolge anche l’Europa.

Dunque un altro muro, questa volta però di tipo commerciale, potrebbe inficiare sulla crescita dell’export italiano negli Stati Uniti che nel 2016 ha stabilito il record storico: il Belpaese ha esportato circa 36,9 miliardi di euro negli USA, soprattutto grazie ai settori automotive, meccanica, moda e agroalimentare.

Inoltre la bilancia commerciale si è chiusa con ben 23 miliardi di euro di surplus commerciale a favore dell’Italia, il saldo positivo più importante tra i principali Paesi destinatari del nostro export.

Protezionismo, Dazi e Italian Sounding

Il TTIP poteva essere la grande occasione per le produzioni nostrane, ma il tentativo di aprire un’area di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea sembra naufragare definitivamente col passare dei giorni, soprattutto per la determinazione di Trump ad applicare le politiche di tipo protezionistico promosse (e promesse) in campagna elettorale.

Ciò potrebbe riflettersi innanzitutto sui dazi applicati ai prodotti europei che entrano nel mercato americano: i tessuti pregiati come la lana e in generale i prodotti del settore moda già attualmente possono arrivare ad essere daziati fino al 10%, il gelato è intorno al 20%, i materiali da costruzione come l’acciaio partono dal 6%, mentre i formaggi subiscono un forte freno dovuto alle quote latte e alle stringenti normative FDA per i prodotti freschi.

A tal proposito è interessante lo studio di Prometeia che ha simulato un ritorno dei dazi al livello degli anni 90 ipotizzando uno scenario definito realistico: in questo caso le spese doganali sui prodotti italiani aumenterebbero per una cifra intorno agli 800 milioni, ovvero il 2% del totale esportato dall’Italia verso gli Stati Uniti.

Ma quali saranno i settori più colpiti? Ancora secondo la simulazione i reparti più daziati saranno quelli “tradizionali” come moda, calzature, design e food che assorbirebbero circa 345 milioni di euro sul totale dell’aumento.

Seguono la meccanica e i mezzi di trasporto (216 milioni di euro), i materiali da costruzione (62 milioni di euro), la metallurgia (43 milioni di euro) e infine il settore chimico-farmaceutico (32 milioni di euro).

La chiusura delle frontiere però potrebbe dare spinta ad un altro fenomeno che influisce sulle esportazioni italiane, ovvero l’Italian Sounding che attualmente vale già oltre 20 miliardi di euro a fronte dei circa 4 miliardi esportati dal Belpaese nel comparto agroalimentare e bevande.

Basti pensare che il 99% del formaggio di tipo italiano (che ricorda l’Italia nel nome o attraverso l’uso di marchi tricolori) viene prodotto in Wisconsin, California e New York.

Così nasce il Parmesan o il pecorino senza latte di pecora o addirittura si creano nuove denominazioni come il “Fontiago”, un mix tra Fontina e Asiago che però confonde i consumatori americani i quali, convinti di comprare italiano, si ritrovano a tavola un prodotto che non ricorda minimamente per sapore e autenticità il Made in Italy.

E purtroppo non ci sono norme che ne vietino l’abuso.

Anche il vino italiano viene “aggredito” da questo fenomeno: infatti sul mercato americano è comune trovare dei wine-kit che promettono, attraverso l’uso di particolari polverine chimiche, la produzione di Chianti, Barolo o Montepulciano.

E anche lo sforzo sostenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico col “Piano USA” per combattere il fenomeno dell’Italian Sounding non è riuscito a limitare il proliferare della contraffazione alimentare dei prodotti italiani sul mercato americano.

Infine è importante prestare attenzione all’evolversi della situazione politica a stelle e strisce per il futuro dell’export italiano negli Stati Uniti, anche se gli effetti di eventuali scelte di tipo protezionistico da parte di Trump si vedranno, secondo gli esperti, soltanto nel medio-lungo periodo.

Un fattore positivo per l’export italiano italiano può essere sicuramente l’indebolimento dell’euro a favore di un dollaro forte, grazie al quale non dovrebbe arrestarsi la corsa del Made in Italy oltreoceano, che secondo SACE dovrebbe sfondare quota 48 miliardi di euro entro il 2019.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it

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