Lame Duck, ovvero anatra zoppa, è questo il termine per indicare un Presidente degli Stati Uniti che non dispone di una maggioranza al Congresso. Le recenti elezioni del Midterm hanno confermato le consuete difficoltà che incontrano i Presidenti in carica decretando la vittoria dei Democratici alla Camera con i Repubblicani che sono riusciti a mantenere (non senza difficoltà) il controllo del Senato. Ora la sfida sarà lavorare con i Democratici sui temi comuni tra cui il piano di investimenti infrastrutturali.

Il 6 novembre si sono tenute le elezioni del Midterm negli Stati Uniti con il rinnovo dell’intera Camera dei Rappresentanti (435 deputati) ed un terzo del Senato (35/100). Inoltre le urne hanno decretato il rinnovo delle assemblee elettive, i governatori (in 36 Stati) e l’esito di alcuni referendum (ad esempio l’abolizione della schiavitù come punizione in Colorado, la legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo in Michigan e la tassa a favore dei senzatetto sui giganti dell’ hi-tech nella Silicon Valley).

Le elezioni del Midterm hanno rispettato le previsioni della vigilia sancendo il passaggio della Camera ai Democratici dopo 8 anni, mentre i Repubblicani tengono la maggioranza al Senato non senza difficoltà. In molti Stati la lotta è stata contesa fino all’ultimo voto: sfida al cardiopalma in Texas dove il senatore uscente Ted Cruz ha vinto con uno scarto di soli 200.000 voti contro l’astro nascente dei Dem Beto O’Rourk che ha addirittura sognato il colpaccio. Si decideranno invece sul filo di lana i senatori per Arizona e Florida dove lo scarto a favore dei Repubblicani è meno dell’1%, in attesa dell’ufficializzazione dei risultati.

Pronostici dunque rispettati: storicamente negli Stati Uniti il Presidente in carica perde quasi sempre le elezioni del Midterm. Infatti dal 1934 ad oggi soltanto in due occasioni il partito di maggioranza ha guadagnato seggi in entrambi i rami del Congresso: nel 1934 fu Roosvelt con il “New Deal”, mentre nel 2002 toccò a George W. Bush grazie alla popolarità ottenuta a seguito dei tragici eventi dell’11 settembre.

Inoltre il Midterm ha stabilito alcuni record alla Camera fra cui il numero di donne elette (99) e l’elezione della donna più giovane del Congresso, Alexandria Ocasio-Cortez, che a soli 29 anni è stata eletta nel 14° distretto di New York tra le fila dei Democratici. Significativi anche i successi in Michigan di Rashida Tlaib (figlia di immigrati dalla Palestina e prima donna musulmana eletta al Congresso) e Sharice Davids in Kansas (prima donna nativo-americana) sempre tra i Dem.

Le conseguenze sui prossimi due anni

Sicuramente non saranno 24 mesi facili per Trump che martedì ha commentato su Twitter i risultati definendoli “un enorme successo”. Dall’altra parte Nancy Pelosi, italoamericana leader progressista dei Dem, ha annunciato di voler ripristinare i controlli e gli equilibri costituzionali sull’amministrazione guidata dal tycoon.

La scelta dell’ostruzionismo da parte dei Dem appare abbastanza chiara mentre, a caldo, lo speaker dei Repubblicani Paul Ryan ha scelto la via della mediazione in un contesto di forte divisione: “Mi congratulo con i Democratici per la vittoria alla Camera e con i Repubblicani per quella al Senato. Siamo di fronte ad una nazione divisa e ora abbiamo anche una Washington divisa. Come Paese e come Governo sarà necessario cercare un terreno comune”. Anche Trump ha aperto alla mediazione durante la conferenza stampa convocata a Washington ieri mattina per discutere dei risultati del Midterm, ma il clima si è surriscaldato quando sono stati affrontati due temi: Russiagate ed immigrazione. Il tycoon si è detto soddisfatto dei risultato ottenuto sottolineando la vittoria al Senato, dove tutti i suoi predecessori (tra cui Obama) hanno sempre faticato. Non sono mancate le frecciate ai media ed alle fake news, in particolare verso un reporter della CNN che ha accusato il leader Repubblicano di demonizzare i migranti.

L’unico tema che sembra ad oggi legare i due partiti è quello della necessità di un piano di investimenti infrastrutturali, già ideato lo scorso febbraio da Trump il quale intende stanziare 200 miliardi di dollari di fondi federali con l’intenzione di stimolare almeno 1.500 miliardi di investimenti privati. Ulteriori compromessi potrebbero essere trovati sul commercio internazionale (in particolare sul nuovo accordo con Canada e Messico) e sulla riduzione del prezzo dei farmaci.

D’altro canto il tycoon vedrà limitato il suo potere d’azione su argomenti caldi come l’immigrazione (il famoso muro al confine con il Messico e la questione “Dreamers”), il piano fiscale (vacilla a questo punto anche la promessa di un ulteriore taglio del 10% per la middle class) e la lotta all’Obamacare. Quasi sicuramente ci sarà un nuovo fascicolo sul Russiagate e le interferenze durante le elezioni del 2016 per cui Trump ha promesso battaglia. Più lontana invece l’ipotesi impeachment, dato che il Senato è rimasto nelle mani dei Repubblicani.

Insomma, saranno due anni difficili per il tycoon che si gioca la riconferma nel 2020: la nota positiva è stata la vittoria dei governatori Repubblicani in Florida e Ohio, gli “Swing-State” che potrebbero essere decisivi alla prossima corsa per la Casa Bianca dove i Democratici dovranno trovare un leader capace di contrastare con forza l’impeto Trump.

Ovviamente anche l’Italia ha guardato con interesse alle elezioni che si sono tenute oltreoceano anche se il premier Conte ha preferito non fare alcun endorsment. A fine 2017 gli investimenti americani in Italia hanno raggiunto un totale di 413,2 miliardi di dollari (7,4% del totale degli investimenti diretti esteri in Italia). Secondo la Banca d’Italia inoltre gli USA hanno investito, solo nel 2017, ben 30,7 miliardi di dollari nel Belpaese che si posiziona al 23esimo posto nella graduatoria dei destinatari degli IDE americani (con una quota dell’1% circa sul totale). Il 36,5% degli investimenti hanno riguardato l’industria manifatturiera, seguono servizi ed assicurazioni (17,6%), commercio all’ingrosso (12,6%), IT e servizi di telecomunicazione (10,4%).

I rapporti Italia-Usa dunque rimangono molto stretti ed è nell’interesse del governo muoversi con la cautela e la prudenza necessarie per far sì che essi continuino a migliorare a prescindere dalle future evoluzioni nel panorama politico a stelle e strisce.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it

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