Quale canale scegliere per vendere prodotti alimentari negli Stati Uniti?

Quale canale scegliere per vendere prodotti alimentari negli Stati Uniti?

24 Gennaio 2019 Categoria: Retail Paese:  USA

Gourmet store o grocery store? Natural store o convenience store? Ecco alcuni consigli per scegliere il canale di vendita più adatto per esportare prodotti agroalimentari negli Usa.

Lavorare sodo per realizzare un prodotto di eccellenza ottenendo tutte le certificazioni necessarie per esportare, realizzare un packaging unico, vantare una qualità superiore alla media ed applicare un prezzo più che competitivo potrebbe non essere sufficiente per avviare un’attività d’esportazione di successo negli States.

In effetti prima di chiedersi se il proprio prodotto sia pronto per essere venduto con successo negli Stati Uniti è bene porsi un’importante domanda: qual è il canale di vendita più adatto?

Exportiamo.it, in occasione del Winter Fancy Food Show tenutosi a San Francisco dal 13 al 15 gennaio, ha approfondito questa tematica molto delicata per chi si interfaccia per la prima volta con il mercato statunitense e vuole adottare una scelta consapevole tra i principali canali di vendita offline quali grocery store, specialty store, natural store, club store e food service channel.

In questo articolo si analizzeranno dunque alcuni importanti fattori che rendono un canale di vendita in linea con le varie categorie di prodotto e la fase di crescita di un business ossia l’intermediazione ed il ruolo dei broker, le tempistiche di presentazione del prodotto, l’intervento del distributore ed i margini applicati dai principali operatori (distributore e retailer) all’interno della food supply chain.

Grocery store

Esempi: Safeway, Kroger, Key Foods, Wegmans, H.E.B.

Numero di grocery store negli Stati Uniti: 189,293.

I grocery store negli Stati Uniti rappresentano il canale di vendita per eccellenza: prezzi competitivi, ampia disponibilità di prodotti, personale esperto e customer experience eccellente, sono i principali fattori che rendono catene come Kroger, Trader’s Joe, Safeway, Publix, Wegmans, il posto ideale per la spesa di tutti i giorni. Nonostante tali caratteristiche offrano grandi opportunità e ampia visibilità per nuovi prodotti in commercio, intraprendere una collaborazione con i grocery store è tuttavia un’impresa a dir poco ardua.

Si tratta infatti, di canali di vendita molto “affollati”, per cui è abbastanza difficile richiedere un appuntamento con i buyer della categoria di prodotto cui si è interessati. A tal proposito, la conoscenza di una rete consolidata e fidata di broker facilita di gran lunga la creazione di un rapporto diretto. Il buyer solitamente è alla ricerca di un prodotto che possa posizionarsi facilmente in una categoria specifica interna al grocery store, apportando tuttavia qualcosa di nuovo e originale.

L’intermediazione di un distributore è un fattore fondamentale per raggiungere il grocery store dei propri sogni e tale figura facilita di gran lunga il lavoro del supermercato poiché garantisce convenienza, semplicità e tempestività nella fornitura. Le grandi catene di supermercati sono ben strutturate in termini logistici ed hanno già a disposizione un partner distributivo e molto spesso possono decidere quale tipologia di prodotto dovrà essere stoccata nei magazzini dei vari distributori. Detto ciò lo scenario migliore che si può prospettare per un’azienda si verifica quando il buyer è interessato al prodotto ed il grocery store decide di mettere a disposizione il suo canale distributivo: in questo modo il prodotto potrà essere stoccato presso i magazzini del suo distributore.

Timing per l’ingresso: la review dei prodotti avviene generalmente una volta all’anno, per cui è molto importante organizzarsi di conseguenza. Ad esempio Safeway revisiona nuove potenziali linee di prodotto nel mese di marzo. A tal proposito, se si è specializzati in un prodotto con una forte stagionalità, è utile proporsi con largo anticipo rispetto al tempo in cui effettivamente il prodotto sarà venduto. Altro elemento che fa gola ai buyer è la disponibilità di un budget aziendale piuttosto consistente che sia destinato alle attività di supporto al marketing, tra cui sconti e quote di inserimento (o slotting fee).

Inoltre, al fine di poter proporre il proprio prodotto al giusto prezzo di vendita, bisogna tener conto dei margini che vengono applicati dai vari operatori coinvolti nella supply chain, ossia dai distributori e dagli stessi retailers. In media, parlando di prodotti alimentari appartenenti alla categoria “dry food”, si prospettano margini del 25-35% da parte del distributore e 30-55% da parte del retailer.

Gli Specialty o Goumet Store

Esempi: Bristol Farms, Dean & Deluca, Citarella, Eataly, William-Sonoma, Di Bruno Bros.

Numero di Specialty/Gourmet store negli Stati Uniti: 45,722.

Lo specialty/gourmet store è un canale di vendita con forte orientamento a prodotti più ricercati, con un forte legame con il territorio e con la storia del brand. In questo caso l’intermediazione del broker, infatti, non è necessaria dal momento che il buyer vuole conoscere personalmente il produttore (ed eventualmente ascoltarne la storia) ed è sempre alla ricerca di nuovi prodotti che siano compresi in categorie esistenti, o anche nuove ed emergenti. Per raggiungere uno specialty/gourmet store ci si può avvalere di un distributore, meglio ancora se esso opera a livello regionale ed è già specializzato nella categoria di prodotto aziendale.

Quando si parla di attività di marketing, gli specialty store amano le campionature e le “demo day”. Queste ultime sono giornate prestabilite (solitamente i fine settimana) durante le quali vi è la dimostrazione di un singolo prodotto o intera linea di prodotto in uno stand disposto all’interno dello store. E’ bene, dunque, avere un proprio rappresentante in loco che, oltre ad essere il portavoce dell’azienda, avrà anche l’opportunità di presentare il prodotto direttamente al consumatore finale e di conseguenza raccogliere feedback immediati.

I margini applicabili in questa categoria non si discostano molto da quelli dei grocery store: il distributore applica solitamente un margine compreso fra il 30 ed il 40%, mentre il retailer tra il 30 ed il 55%.

Natural Store

Esempi: Whole foods, Sprouts Farmers Market, Big Bear Natural Foods, Co-op, Fairway Market, Wild Oats Market place.

Numero di Whole Foods negli Stati Uniti: 496

Numero di Sprouts Farmers Market: 315

Se l’offerta aziendale di prodotto non rientra nelle categorie tradizionali ma in una categoria emergente (organic, GMO free, gluten free, Keto, paleo, vegan) allora il natural channel potrebbe essere il miglior canale di vendita. Il modo migliore per entrare in questo canale di vendita è quello di sfruttare le conoscenze di un broker esperto e ben inserito. E’ importante dunque avere ben chiaro come e con chi il broker lavora.

Quando presentare il prodotto? Un Natural store ha la tendenza a revisionare le nuove linee di prodotto una volta all’anno, per cui è fondamentale conoscere il rispettivo timing (Whole Foods, ad esempio, prevede nuovi ingressi nel periodo compreso tra giugno e ottobre) in modo da presentare il prodotto in tempo (da 6 a 12 mesi prima), preferibilmente con interessanti proposte a supporto dell’attività di marketing (pianificazione di sconti e demo day).

I margini per il distributore sono piuttosto variabili, dall’8 al 40%, (il tutto dipenderà dal tipo di prodotto offerto) mentre il retailer adotta normalmente un range fra il 30 ed il 55%.

Club Store

Esempi: Costco, Sam’s Club, Bj’s

Numero di Costco Store negli Stati Uniti: 527

Numero di Sam’s Club Store negli Stati Uniti: quasi 600

A questo punto ci si domanda quale possa essere il miglior canale di vendita se il prodotto aziendale non è completamente finito ma si presenta sotto forma di un’idea innovativa. La risposta può esser trovata nei club store, i cui buyer sono piuttosto flessibili e, anzi, utilizzano le nuove idee per testare il mercato! Il supporto di un broker non è ritenuto necessario e inoltre non è fondamentale avere a disposizione una propria catena distributiva. E’ essenziale, invece, dotarsi di un’organizzazione aziendale ben strutturata e quindi essere da un lato in grado di incrementare facilmente e in maniera conveniente la fornitura di prodotto e, dall’altro, avere a disposizione per le attività di marketing un budget piuttosto consistente.

Il timing per l’ingresso, in questo caso, è meno rigido: ci sono dei periodi durante l’anno (solitamente ogni 3-4 mesi) in cui i club store si dedicano alla review delle nuove offerte/idee.

I margini invece, sono relativamente più bassi: fra il 12 ed il 20%. Il motivo principale è dovuto al fatto che si offrono prezzi di vendita più bassi rispetto alla media e dal fatto che Club store come CostCo, Sam’s Club e BJ’s richiedono forniture di prodotto in larga scala.

Food Service Channel

Numero di location di Food Service negli Stati Uniti: più di 1 mln

Se si produce o commercializza qualcosa di veramente speciale (prodotto certificato DOP, IGP o DOCG) su larga scala e a prezzi competitivi il canale Food Service può essere quello più adatto.

Se si vuol vendere a ristoranti, caffetterie o anche hotel, è importante avere al proprio fianco un ottimo distributore, con una buona reputazione e con un bagaglio clienti che possano essere potenzialmente interessati alla propria linea prodotto. Alcuni sono Sysco, US Foods, Ace Endico. A differenza degli altri canali di vendita, gli operatori di Food Service tendono a non avere un tempo specifico per revisionare i prodotti ed anzi, la fase di assessment avviene senza interruzione e non segue un particolare trend di mercato. La capacità produttiva e la bontà del prodotto sono i principali fattori di scelta. Infine può essere richiesto un supporto alle attività di marketing abbastanza elevato (partecipazione ad eventi, investimenti nella fornitura di attrezzature complementari). Tuttavia può valerne la pena perché questo è il canale di vendita che offre maggiori profitti.

I margini sono abbastanza significativi ma tutto dipende dal tipo di prodotto e dal soggetto di riferimento nella supply chain: il distributore può applicare un margine compreso tra l’8 ed il 35% mentre il retailer può arrivare fino al 70%.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Maria Chiara Migliaro, redazione@exportiamo.it

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