Sarà senza dubbio un 2015 caldo per l’Unione Europea, che é chiamata a fare i conti con una serie di appuntamenti elettorali molto delicati: il primo in ordine cronologico sarà quello in Grecia, dove il quarantenne Alexis Tsipras,  a due settimane dalle elezioni, ha un vantaggio di circa tre punti percentuali sul premier uscente Samaras. Attivo da diversi anni in politica, Tsipras é noto ai più per aver proposto la cancellazione di una cospicua porzione del debito ellenico durante la scorsa campagna elettorale europea, e non é un mistero che buona parte del suo consenso (di molto superiore rispetto alle aspettative alla vigilia delle elezioni) sia arrivato grazie all’aura di colui che difende gli stati più deboli dalla terribile Troika. Negli ultimi mesi Tsipras ha parzialmente moderato il suo approccio, sia perché si deve essere accorto che i mercati tendono a penalizzare eccessive inversioni di marcia, sia perché la Merkel ha recentemente dichiarato che un’eventuale uscita della Grecia dall’Europa non sarebbe più un tabù: Tsipras, insomma, ha dovuto cedere qualche metro nel duro passaggio da una campagna elettorale “a briglia sciolta” a una concreta possibilità di andare al Governo, e per centrare l’obiettivo dovrà riuscire a mantenere il difficile equilibrio tra politico ribelle (gradito agli elettori) e statista responsabile (gradito all’Europa e ai mercati).

Per certi versi la situazione sarà ancora più difficile nel Regno Unito, dove a maggio avrà luogo una competizione a tre tra i laburisti di Miliband, i conservatori dell’uscente Cameron e l’UKIP dell’outsider Nigel Farage, che ha scalzato i liberaldemocratici dal ruolo di terzo incomodo.  Esattamente come in Grecia, l’Europa sarà il principale oggetto del contendere: Cameron ha già annunciato che, in caso di vittoria, proporrà un referendum per valutare la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, probabilmente nel tentativo di erodere i consensi più moderati dell’UKIP. D’altro canto ogni promessa é debito, e difficilmente Cameron potrebbe fare un passo indietro sul referendum in caso di vittoria. Se é vero che é ancora presto per trarre delle conclusioni, quel che é certo é che il referendum sull’indipendenza della Scozia dei mesi scorsi aveva letteralmente seminato il panico tra gli operatori della City, ed é probabile che l’effetto combinato di Farage (che pure vorrebbe l’uscita dall’Unione Europea, ma in tempi decisamente più rapidi) e Cameron possa fare altrettanto alla vigilia delle elezioni. Miliband rimane quindi l’ultimo baluardo d’Europa in Inghilterra, e se é vero che attualmente i sondaggi lo danno in leggero vantaggio, é altrettanto vero che da qui a maggio la situazione potrebbe cambiare radicalmente.

A ottobre sarà infine la Spagna a dover eleggere il nuovo Governo, e anche qui lo scontro tra l’uscente Rajoyi  (Popolare) e l’astro nascente Iglesias (che si definisce “anti-regime”) si preannuncia tutt’altro che tiepido.

Non c’é dubbio che l’Europa abbia buoni motivi per non dormire sonni troppo tranquilli, poiché una perdita di legittimità in ognuno di questi scenari potrebbe avere un effetto domino catastrofico. E’ anche vero, tuttavia, che l’esito delle elezioni dipenderà anche da quanto l’Europa saprà convincere i cittadini della bontà del proprio progetto: fare bene nei prossimi mesi (sicuramente meglio che in passato) é un obbligo dal quale Bruxelles non può sottrarsi.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marcello Moi, redazione@exportiamo.it

 

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