Tra le montagne del Wyoming dal 27 al 29 agosto si é tenuto il “Jackson Hole Economic Policy Symposium”.
In molti definiscono il ritrovo annuale organizzato dalla Federal Reserve di Kansas City “la Davos dei Banchieri Centrali”, un forum tra banchieri, esperti politici e accademici capace di guardare al futuro, cercando di coglierne problemi, criticità e tendenze emergenti.
Dal 1978 - anno della prima edizione - al 1981 l’appuntamento é stato itinerante, mentre le attenzioni sono rimaste focalizzate su questioni legate all’agricoltura.
E’ dal 1982 invece che l’appuntamento é “stanziale” a Jackson Hole, valle situata nel Nord-Ovest del Wyoming che si sviluppa ad un’altezza media di 2.000 m, ben lontana dai lussi e dai fasti a cui sono abituati banchieri e finanzieri.
Il Forum nel tempo ha posto l’attenzione su argomenti sempre di più ampio respiro, raccogliendo naturalmente anche un’attenzione più ampia da parte dei media e dell’opinione pubblica.
Nel 1990 ad esempio l’attenzione andò sulle economie dei mercati emergenti e in transizione e portò ad un coinvolgimento diretto delle banche centrali dei Paesi dell’Europa orientale e dell’Unione Sovietica.
Nel 2003 e nel 2005 invece i documenti presentati furono molto critici, puntando il dito sui problemi e i rischi (allora invisibili) dei derivati e della finanza, al tempo in voga. Solo con il senno di poi - il tempo é sempre gentiluomo - é stato riconosciuto quanto meno l’onore delle armi a chi sostenne quelle previsioni di fronte al successivo avvitarsi dell’economia mondiale sulla crisi finanziaria.
Un anno fa invece fu Mario Draghi stesso ad essere protagonista con l’inizio della rincorsa per la crociata pro quantitative easing, mentre quest’anno lo é per la sua assenza così come la sua collega d’oltreoceano Janet Yellen sostituiti dai loro Vice.
Caratteristica fondamentale della manifestazione é quella di promuovere una discussione che punta alla riflessione e inoltre anche le modalità di partecipazione sono “insolite” a questi livelli, dal momento che tutti i partecipanti al simposio - anche i rappresentanti della stampa - pagano una tassa per recuperare i costi organizzativi, mentre tutti i documenti presentati, appena disponibili, vengono resi pubblici.
Se l’anno scorso i riflettori erano puntati sulla “Vecchia Europa” e al centro dell’attenzione c’era stata l’occupazione con il tema “Re-Evaluating Labor Market Dynamics” , quest’anno l’attenzione é stata sul “Nuovo Mondo”.
Il tema ufficiale del simposio é stato “Inflation dynamics and Monetary policy”, per completare il discorso avviato nel 2014, andando a interrogarsi sul perché l’inflazione é così bassa, quanto ciò sia pericoloso e cosa si possa fare al riguardo.
L’inflazione é stata caparbiamente contenuta negli ultimi anni in molte economie avanzate e anche consistenti cali della disoccupazione non hanno generato un rialzo dei salari e dei prezzi di crescita.
La realtà però é quella che viviamo oggi con una volatilità dei mercati innescata dal rallentamento delle economie emergenti - Cina in testa - e degli spettacolari (quanto drammatici) crolli delle borse.
Le attenzioni del mondo sono quindi oggi sui vertici della Federal Reserve che proprio il 16 e 17 settembre prossimo, dovranno comunicare al mondo se - per la prima volta dal 2006 - alzeranno i tassi di interesse, tenuti vicini allo zero fin dal 2008, per la storia l’anno zero della crisi con il crack Lehman Brothers.
La realtà dalla prospettiva d’oltreoceano formalmente gioca a favore della stretta monetaria, con tasso di disoccupazione al 5,3% e crescita del PIL oltre le aspettative (+3,7%), accompagnate da un aumento dei consumi delle famiglie, degli investimenti delle imprese e dell’export.
Ne é ben cosciente e non ha negato le evidenze intervenendo a Jackson Hole durante l’ultimo panel “Global Inflation Dynamics”, lo stesso Stanley Fischer, Vice Presidente della Federal Reserve che ha posto l’attenzione proprio sulle contingenze attuali sottolineando però come:
“Il cambiamento delle circostanze che é iniziato con la svalutazione della divisa cinese é troppo recente perché se ne possano ancora valutare tutti gli effetti”.
Nello stesso panel é intervenuto anche il Governatore della Banca Centrale Inglese, Mark Carney che é partito interrogandosi su alcuni quesiti fondamentali:
“In questa epoca di iper-globalizzazione, sono le banche centrali ancora padroni del loro destino monetario interno? O sono forse diventate schiave di fattori globali? Fino a che punto il ciclo finanziario globale domina i meccanismi di trasmissione nazionale e in che modo conferisce particolari responsabilità a quelle banche centrali che di più influenza?”
Domande apparentemente paradossali e dunque in linea con i tempi che viviamo, ma che vanno al nocciolo della questione perché la paura principale oggi é proprio quella che le stesse banche centrali arrivino di fronte ad una nuova fulminea e imprevedibile crisi con le armi spuntate e allora la necessità sarà quella di continuare con nuove operazioni pro quantitative easing, nella “Vecchia Europa” come nel “Nuovo Mondo”.
Tra i protagonisti dell’ultimo panel anche Raghuram Rajan, attuale Governatore della Banca Centrale Indiana. Capo Economista FMI dal 2003 al 2006, proprio in questa veste nel 2005 a Jackson Hole, Rajan discusse un suo paper passato alla storia “Has Financial Development Made the World Riskier?”.
Nell’anno in cui si celebrava l’uscita di scena dalla Federal Reserve di Alan Greenspan, prossimo alla pensione dopo un ventennio di crescita straordinaria per l’economia statunitense con relativa finanziarizzazione, fu proprio tra i primi a porre l’attenzione su questi aspetti, venendo additato come eretico mentre - come dicevamo sopra - in realtà predisse quello che poi accadde successivamente e oggi é citato nei suoi discorsi della stessa Yellen.
Quest’anno nel suo intervento oltre ad affermare che se necessario é pronto a tagliare i tassi ulteriormente, ha voluto ricordare ai presenti che forse il problema é proprio di interpretazione o meglio nel dare il giusto peso ad ogni cosa, perché ad esempio:
“L’economia politica non é un’aberrazione, ma una realtà che dovrebbe essere presente nella nostra analisi politica”.
Personalmente - pur non essendo affatto uno specialista - credo che nelle parole di Rajan vada cercato innanzitutto un richiamo a prendersi le proprie responsabilità da parte delle autorità preposte a qualsiasi livello, senza nascondersi dietro elevati tecnicismi che si trasformano facilmente in dogmi o numeri che diventano divinità, in fondo bisogna solo restare umani.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it