Tasse, tasse e ancora tasse!

Dall’imprenditore al lavoratore dipendente, dal pensionato al collaboratore autonomo a partita Iva, in Italia tutti se ne lamentano, molti - controvoglia - le pagano e più di qualcuno riesce ad evaderle tanto che, secondo Confindustria, nell’anno appena concluso ben 122 miliardi di euro sono stati sottratti alle casse dell’erario (circa il 7,5% del PIL), dei quali ben 40 solo di IVA.

É stato stimato che anche solo riuscire a dimezzare questo fenomeno, potrebbe portare enormi benefici al Paese in termini occupazionali come ben 335.000 posti di lavoro in più, oltre a liberare risorse che potrebbero essere investite in misure di sostegno alla crescita, ancora urgenti e prioritarie.

A mancare sono soprattutto i meccanismi di controllo dal momento che il 99% dei contribuenti può evadere dormendo sonni relativamente tranquilli ed in media le PMI, subiscono un controllo ogni 33 anni, mentre i liberi professionisti rischiano di subire un accertamento ogni mezzo secolo.

Eurostat, l’ufficio statistico dell’UE, ha recentemente pubblicato i dati ufficiali relativi al livello di tassazione nei Paesi membri per l’anno 2014 e, in questa speciale classifica, l’Italia è preceduta solo da cinque Paesi: Danimarca (50,8% del Pil), Francia (47,9%), Belgio (47,9%), Finlandia (44%) ed Austria (43,8%).

L’Italia condivide il quinto posto con la Svezia (43,7%), ma purtroppo per gli italiani non può contare né su un livello di servizi comparabile e né sul modello di welfare degli svedesi e più in generale dei Paesi del Nord Europa, tanto che l’insofferenza dei contribuenti del Belpaese deriva in buona misura anche dal fatto, che ad una pressione fiscale così elevata, non corrisponda l’erogazione di servizi adeguati.

Seppur con fatica, su questo tema il governo Renzi sta provando ad intervenire e da quanto emerge da una relazione tecnica effettuata dall’Ufficio parlamentare di Bilancio (UPB) le imprese torneranno a sorridere non già nell’anno in corso con un taglio previsto pari a “solo” 662 milioni di euro, ma nel prossimo biennio 2017-2018.

La legge di Stabilità dello scorso dicembre darà una sforbiciata alle tasse, non solo attraverso la celebrazione del fin troppo reclamizzato “funerale delle tasse sulla casa”, ma anche attraverso una serie di provvedimenti che dovrebbero portare un po’ di sollievo alle nostre imprese.

Gli imprenditori italiani dovrebbero giovarsi di un taglio complessivo che sfiora i 13 miliardi di euro (6 miliardi nel 2017 e 6,9 nel 2018) ottenuto attraverso una serie di misure fra cui:

• Diminuzione aliquota Ires (dal 27,5 al 24%);
• Aumento della deduzione imponibile IRAP;
• Maggiorazione degli ammortamenti del 40% per investimenti in macchinari ed impianti;
• Credito d’imposta per le aziende del Sud che investono in beni strumentali.

Le PMI possono essere solo parzialmente soddisfatte in quanto la nota dell’UPB sottolinea come:

“l’insieme di queste misure contribuisce a produrre un’ulteriore frammentazione del sistema di imposizione rispetto a quella già esistente. Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto alle politiche ispirate alla neutralità e alla uniformità di prelievo sostenute in passato, accettando e assecondando, anche da un punto di vista fiscale, la complessità e la differenziazione del mondo delle imprese”.

Più di un imprenditore ha inoltre rilevato che i risparmi d’imposta previsti favoriscono in particolare il settore manifatturiero a scapito degli altri, anche se dall’indagine condotta, circa tre quarti delle imprese dovrebbe beneficiare di una riduzione delle imposte.

Il “peso” di questa riduzione appare però sbilanciato: alle imprese più grandi che sono numericamente pochissime - in Italia circa il 95% delle imprese non superano i 10 addetti - andrebbe oltre il 41% del risparmio di imposta complessivo.

Nei piani del governo nel 2016 la riduzione del gettito dalle imprese è stimata in 800 milioni, crescerà nel 2017 a 1,5 miliardi, per toccare il picco nel 2018 (19 miliardi) e tornare infine gradualmente su livelli più contenuti (1 miliardo) nel 2022.

Ciò che lascia perplessi non è di certo l’alleggerimento del carico tributario sulle imprese, quanto il fatto che la parte sostanziale di queste misure sia stata rimandata al 2017-2018 preferendo privilegiare, per il 2016, il taglio delle tasse sulla prima casa.

La primavera è dietro l’angolo insieme alle elezioni amministrative e la tentazione di “passare all’incasso” con l’implementazione immediata di una misura che fa piacere ad un’enorme fetta di popolazione - oltre l’80% dei cittadini è proprietario di un immobile - ha dunque prevalso.

Probabilmente buona parte dei cittadini italiani accoglierà comunque con favore le misure in materia fiscale approvate dal governo anche se, le stesse risorse sarebbero probabilmente diventate più efficaci se investite in un taglio delle tasse su imprese e lavoro.

Il rischio più grande però è un altro, perché di fronte il mutare delle condizioni economiche a livello internazionale (rallentamento delle economie emergenti, minore flessibilità UE, etc…) per il governo diminuiscono le possibilità di attuare in toto le misure sopra descritte dal 2017 ed in quel caso l’Italia avrebbe perso un’ottima occasione per attivare quel moltiplicatore a livello fiscale, utile a rilanciare l’intero sistema economico.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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