La domanda è: in un arco temporale di soli quattordici anni è possibile pensare di riconvertire un’economia basata principalmente sugli introiti derivanti dalla vendita delle proprie risorse petrolifere?

Stando alle dichiarazioni rilasciate dal reale saudita - vice principe ereditario dell’Arabia Saudita e ministro della difesa - Principe Mohammed bin Salman in occasione della presentazione di “Saudi Vision 2030”, il piano lanciato con l’obiettivo di riuscire a diversificare gli investimenti per ridurre la dipendenza economica del Regno dal petrolio, la meta potrà essere raggiunta addirittura prima della scadenza:

Già nel 2020 penso che saremo capaci di vivere senza petrolio: ne avremo bisogno ma potremo vivere senza”.

II crollo verticale dei prezzi del petrolio nel 2015 ha prodotto un deficit di ben 98 miliardi di dollari e la tendenza - a detta degli analisti del Fondo Monetario Internazionale - sembra non subirà inversioni di tendenza nel breve periodo ed anzi si prevede che il prezzo del petrolio tornerà a risalire intorno a quota 50 dollari al barile solo alla fine del decennio.

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Colonna portante della strategia di diversificazione economica sarà l’istituzione di un fondo sovrano che dovrà spingere gli investimenti in alto, ad oggi Riyad è l’unico paese del Middle East a non possederne uno e ciò comporterà contestualmente un aumento di tasse e tariffe e una sforbiciata a sussidi e spese nel comparto militare.

Con lungimiranza la nuova Arabia Saudita sembra dunque decisa a voltare pagina e nel voler ridimensionare l’importanza della risorsa capace di produrre circa l’80% del reddito complessivo.

La patria della Mecca, potenza regionale ed epicentro del sunnismo in costante contrapposizione con l’Iran sciita, conta su un’economia capace di produrre ricchezze enormi - ben 1.681 miliardi di dollari nel 2015 (+3,4%) - ma inefficiente nel redistribuirle e così i poveri nella stragrande maggioranza dei casi restano poveri, con possibilità di ascesa sociale praticamente annullate, mentre migliaia di principi e principesse vivono nel lusso più sfrenato.

Il PIL pro capite rimane comunque altissimo (oltre i 54.000,00 dollari) e, anche se i 2/3 degli occupati sono statali, il tasso di disoccupazione si attesta all’11,4%, anche se bisogna ricordare che per poter migliorare lo stato delle cose, Riyad ha la fortuna di poter contare su altre risorse altrettanto abbondanti fra cui oro, zinco, fosfati ed uranio.

Oltre all’evidenza della ricchezza di risorse è altrettanto lampante come in realtà un cambiamento sarà possibile, solo con una trasformazione innanzitutto socio-culturale.

Oggi le donne sono praticamente escluse dal mondo del lavoro e dunque non producono ricchezza così come decine di migliaia di giovani - il 60% della popolazione ha meno di 21 anni - che reclamano libertà e diritti civili e che sembrano non più disposti a rimanere in silenzio in cambio dei generosi sussidi, incrementati dalle autorità dallo scoppio della Primavera Araba proprio per tenere a freno le istanze portate avanti dalle generazioni più giovani.

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Nel Paese non è garantita la libertà di parola e di espressione, ogni forma di dissenso è combattuta con ferocia e le donne sono confinate in casa e spesso condannate a morte di fronte a presunti episodi di adulterio che spesso sono nella realtà stupri e deliberate violenze.

Al momento comunque - a livello economico - il governo saudita sembra non avere scelta e anche dai dati sull’export emerge preoccupazione dal momento che nel 2015 il valore delle esportazioni (222,6 miliardi di dollari) è stato ben al di sotto dei risultati del 2014 (342,3 miliardi di dollari) com’era prevedibile, con un calo di circa il 35% in soli dodici mesi.

I rapporti del Regno Saudita con il nostro Paese sono invece buoni e Riyad ha dimostrato di essere assolutamente propensa ad intensificare le relazioni commerciali con Roma in ragione del fatto che il “Made in Italy” rimane per la popolazione locale una certezza per soddisfare la voglia di ostentare lusso, qualità ed originalità.

A fare gola oggi però è il know-how delle imprese italiane per poter imprimere un’accelerazione al processo di sviluppo e diversificazione dell’economia che si sta provando a sostenere.

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Sono invece circa 70 le aziende italiane che operano nel Paese attraverso joint-ventures o partner locali e gli investimenti sono finora si concentrano in quattro settori dove il nostro Paese sa dire la sua, energetico, petrolchimico, militare e costruzioni.

L’interscambio commerciale fra i due Paesi è stato invece nel 2015, superiore ai 6 miliardi di euro e l’Italia ha esportato prodotti in territorio saudita (soprattutto macchinari, apparecchiature, coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio) per oltre 5 miliardi di euro, mentre i settori d’investimento più promettenti per il futuro, appaiono healthcare, rinnovabili ed infrastrutture.

Le previsioni economiche per il 2016 parlano di un rallentamento dell’economia saudita che dovrebbe crescere ad un ritmo dell’1,8% ed il piano “Saudi Vision 2030” altro non rappresenta che il tentativo del Paese di vincere la sfida per rimanere il più rilevante attore regionale del Middle East, nonostante il crollo del valore della sua più importante risorsa economica.

Al di là del prezzo del barile forse a Riyad bisognerebbe però avere più coscienza che la sfida più importante da affrontare si gioca sul piano interno e riguarda i diritti e le possibilità di ascesa sociale negati alla popolazione saudita e la situazione di disuguaglianza estrema, unita alla crisi economica, potrebbe rendere il Paese instabile, minando ulteriormente un’economia che in ogni caso sta provando a mettersi alla prova per cambiare sé stessa.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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