Non sono passati neanche due anni da quando i cittadini scozzesi decretarono con il loro voto (con percentuali superiori al 55%) il naufragio del sogno indipendentista portato caparbiamente dinanzi al giudizio popolare da Alex Salmond, ex Prime Minister e leader dello Scottish National Party (SNP).

Gli scozzesi, allora, non se la sentirono di lasciare il Regno Unito giudicando il distacco da Londra un rischio troppo grosso da correre e Salmond, fortissimo sostenitore dell’indipendenza della Scozia, ne trasse le conseguenze politiche dimettendosi il giorno stesso in cui si conobbero i risultati del referendum (19 settembre 2014) sia dalla segreteria del partito che dalla guida del Paese.

A succedergli fu Nicola Sturgeon, politica scozzese, eletta senza contendenti alla conferenza annuale del partito il 14 novembre e che, cinque giorni più tardi, prese anche il posto di Salmond anche in veste di Primo Ministro.

Oggi però l’attaccamento dimostrato dai cittadini scozzesi nei confronti dell’unità del Regno Unito sembra vacillare in seguito ai sorprendenti risultati del referendum sulla Brexit che hanno prodotto un’ondata di forte malcontento fra la popolazione scozzese. Le urne infatti hanno confermato l’inclinazione europeista della Scozia che si è pronunciata con percentuali plebiscitarie (circa il 62%) a favore della cosiddetta Remain tanto che da più parti si è cominciato a parlare dell’eventualità di un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia.

Il capo del governo Sturgeon all’indomani dei risultati aveva addirittura paventato l’ipotesi di invocare lo Scotland Act del 1998, ovvero l’atto legislativo che ha concesso autonomia alla Scozia, per evitare che la Scozia possa lasciare l’Ue. Nella sostanza il Parlamento di Edimburgo può negare il proprio consenso legislativo alla Brexit ma questa eventuale votazione sarebbe solo un segnale politico senza dirette e concrete conseguenze sul tema oggetto del dibattito.

Attenzione quindi perché sia la Sturgeon che il suo predecessore hanno spiegato che un nuovo referendum è “altamente probabile” vista l’inequivocabile volontà degli scozzesi di rimanere nell’UE.

C’è molto materiale su cui riflettere ad Edimburgo: meglio rimanere nell’UE abbandonando il Regno Unito o viceversa?

Bisogna considerare che la struttura economica scozzese resta ad impronta prevalentemente rurale anche se circa l’80% della popolazione vive e lavora in aree non rurali. Il turismo contribuisce in maniera fondamentale allo sviluppo del Paese ma si riscontra una crescita rilevante anche di altri comparti fra cui: servizi, energia, finanza e biotecnologie. Per quanto riguarda la produzione manifatturiera essa è costituita per la maggior parte da elettronica, industria tessile e whiskey.

L’economia scozzese ha già dovuto affrontare diverse trasformazioni affrontando, nel corso del XX secolo, una transizione da un’economia trainata dall’industria pesante e dominata dunque da settori produttivi come le costruzioni navali, l’estrazione di carbone e la siderurgia ad un considerevole spostamento di attività verso i settori dei servizi e della tecnologia.

A partire dagli anni ’70 una sempre maggiore importanza assunse lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel mare del Nord e dieci anni più tardi avvenne la grande crescita del settore dell’alta tecnologia nella cosiddetta Silicon Glen, situata tra Glasgow e Edimburgo, dove si insediarono molte grosse aziende operanti nell’informatica e nei settori tecnologici in genere.

Oggi però il tessuto economico scozzese è profondamente indebolito dal crollo del prezzo del petrolio ed il timore è che che l’economia della Scozia, come quella di tutto il Regno Unito, possa subire un ulteriore choc dati i fortissimi legami commerciali che intrattiene con l’Europa: il “Vecchio Continente” rappresenta infatti la meta principale dell’export Made in Scotland (circa il 46%), dando per di più lavoro a 330mila persone.

La Scozia inoltre è stata in grado di attrarre oltre mille imprese comunitarie negli ultimi anni ed ha ricevuto generosi aiuti e fondi dalla Ue.
C’è poi la questione della libera circolazione dei cittadini UE che si collega con quella dell’immigrazione (in particolare quella degli studenti) che Edimburgo è ritiene un elemento molto positivo per il Paese dal momento che esso dispone di un numero ristretto di lavoratori stranieri di cui invece ci sarebbe bisogno.

Un’altra questione spinosa che potrebbe aprirsi in caso di distacco dal Regno Unito è quella inerente la valuta che una futura Scozia indipendente adotterebbe (sterlina o euro) con le annesse conseguenze. Oggi comunque i sondaggisti concordano nel ritenere in vantaggio la fazione “separatista” su quella “lealista” ma è assai verosimile che l’esecutivo prima di prendere una decisione definitiva attenderà le evoluzioni della situazione a Londra e l’andamento del clima d’opinione nazionale.

E’ infatti ben impressa nella mente della Sturgeon la poco nobile fine politica dell’ormai ex primo ministro inglese David Cameron, costretto ad abbandonare la guida del Paese in seguito ad un calcolo politico clamorosamente sbagliato ed è dunque assai probabile che un nuovo referendum sarà indetto dall’esecutivo in carica solo se esso avrà la ragionevole certezza di vincerlo.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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