Contraffazione online: responsabilità e possibili rimedi (parte II^)

Contraffazione online: responsabilità e possibili rimedi (parte II^)

18 Ottobre 2016 Categoria: Proprietà Intellettuale

Il ruolo chiave dei provider nella lotta alla contraffazione online è stato sottolineato, negli ultimi anni, anche dalla giurisprudenza di merito.
Con la sentenza emessa dal Tribunale di Milano a margine del caso Yahoo (2011) è stato stabilito che già la ricezione di un primo atto di diffida “determinerebbe, anche in assenza di una previsione legislativa, l’insorgenza in capo al prestatore di servizi dell’obbligo di attivarsi, ancor prima della ricezione da parte dell’autorità giudiziaria dell’ordine di rimozione del contenuto illecito” (Trib. Milano, 9/9/2011, in Dir. Industriale, 2011, 6, 559 nota di TROTTA).

Una recente pronuncia del Tribunale di Roma chiarisce ancor meglio i contorni della questione. Il beneficio dell’irresponsabilità concesso all’Internet Service Provider, per i fatti illeciti commessi dai destinatari dei servizi per la mera fornitura dei servizi di accesso, è configurabile nel caso in cui quest’ultimo si attivi per ottimizzare la presentazione di offerte o contenuti digitali e per promuovere offerte o contenuti digitali e, quindi, abbia dato un pur minimo contributo all’editing del materiale sulla rete lesivo di interessi tutelati (cfr. Trib. Roma Sez. Specializzata in materia di imprese, 27/4/2016). Nel caso in cui ciò non avvenga, il provider potrebbe essere considerato anch’esso responsabile dei fatti illeciti commessi da chi usufruisce dei suoi servizi in rete (ad esempio, da chi carica un video su YouTube o pubblica un annuncio su eBay, ecc.).

Dal momento, però, che non può imporsi al provider l’utilizzo di sistemi di filtraggio dei contenuti digitali a tutela dei diritti di proprietà intellettuale riguardanti tutte le comunicazioni elettroniche che transitano sui suoi servizi (di tutta la sua clientela) e “comportando ciò una grave violazione della libertà di impresa”, non può però escludersi la responsabilità di quest’ultimo “ogni qualvolta venga messo a conoscenza, da parte del titolare dei diritti lesi, del contenuto illecito delle trasmissioni, di cui deve, pertanto, rispondere se non si attiva per rimuovere le stesse e prosegua invece nel fornire gli strumenti per la prosecuzione della condotta” (Trib. Roma, cit.).

E ciò poiché alla base v’è la considerazione che l’attività svolta dal provider di diffusione in rete di opere protette da diritto d’autore e i connessi diritti di utilizzazione e sfruttamento economico, vada pur sempre qualificata come mera intermediazione, con eventuale responsabilità da inquadrarsi in quella del prestatore di servizi di ospitalità di dati (hosting), che non propone, quindi, altri servizi di elaborazione dati, offrendo ai propri clienti un mero servizio di accesso a siti (cfr. App. Milano Sez. Specializzata in materia di imprese, 7/1/2015, in Corriere Giur., 2016, 6, 811 nota di BASSOLI).

La giurisprudenza maggioritaria è dunque orientata ad escludere ipotesi di responsabilità oggettiva in capo ai provider, non potendosi imporre forme di controllo nei confronti dell’uso indiscriminato da parte di un numero indeterminato di persone di una piattaforma telematica (cfr. Trib. Roma, 9/7/2014, in Quotidiano Giuridico, 2014 nota di AGNINO). Altro aspetto da considerare nell’ambito della materia trattata concerne la quantificazione del danno derivante dalla contraffazione online.
La direttiva 2004/48/CE (c.d. “Direttiva Enforcement“), il cui contenuto è stato recepito anche dall’art. 125 del D.lgs.10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) considera nell’ammontare del danno “tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici realizzati illegalmente dall’autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione” e consente all’autorità giudiziaria di “fissare, in casi appropriati, una somma forfettaria in base ad elementi quali, per lo meno, l’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l’autore della violazione avesse richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale in questione” (le cd. royalties).

Il danno risarcibile dovrebbe dunque comprendere, secondo le regole generali, tanto il danno emergente (tra cui sono state fatte rientrare anche le spese di pubblicità ricostruttiva, necessaria per combattere il cd. annacquamento del marchio) quanto il lucro cessante (la perdita di profitto subita dal titolare a causa della contraffazione). Interessanti le argomentazioni fornite dal Tribunale di Voghera, ove è specificato che quello derivante dalla condotta di contraffazione è un danno in sé: “Nel caso di contraffazione di marchio, la colpa del contraffattore è presunta e il danno è in re ipsa sicché accertata la contraffazione, deve essere accolta la domanda di condanna generica al risarcimento del danno. Il danno da contraffazione del marchio-titolo periodico, deve commisurarsi alla mancata percezione delle royalties ed al discredito causato dalla erronea associabilità del proprietario del titolo ad una pubblicazione realizzata da terzi fuori controllo del primo” (Trib. Voghera, 10/12/1994, in Riv. Dir. Ind., 1995, II, 140 nota di FAZZINI; argomentazioni analoghe in materia di indebita utilizzazione di brevetto in App. Genova Sez. I, 21/03/2006).

Dal lato della componente non patrimoniale, ritroviamo, dunque, il danno all’immagine o alla reputazione commerciale, riconosciuti anche nel caso di vendita di prodotti contraffatti a un prezzo inferiore a quello praticato dal legittimo titolare o nell’ipotesi in cui i prodotti siano qualitativamente inferiori. Abbiamo considerato, dunque, tutti i possibili strumenti di tutela offerti anche dalla giurisprudenza che, seppur non adeguati a fronteggiare il fenomeno della contraffazione online, costituiscono un punto di partenza per lo sviluppo di una legislazione più puntuale.

Ma quali attività di natura preventiva possono essere, invece, attuate per evitare un contenzioso evidentemente complesso?
Come sottolineato da un recente studio del gruppo Google relativo alla contraffazione online (How fights piracy 2016), ogni sforzo dovrebbe essere diretto a:

i) “creare maggiori e sempre migliori alternative legittime alla pirateria” fornendo visibilità ad un numero sempre più crescente di piattaforme legali da cui fruire di contenuti leciti ;

ii) colpire le fonti finanziarie (come i sistemi di pagamento elettronici) e di investimento (come i canali pubblicitari) degli autori degli illeciti;

iii) essere efficienti, efficaci e scalabili;

iv) “contrastare gli abusi” e impedire un uso distorno dei diritti di proprietà intellettuale;

v) “fornire trasparenza”, in particolare in relazione alle attività concretamente prestate nella lotta alla contraffazione.

Si tratta, però, come è stato però sottolineato, di affermazioni di principio, non seguite poi da spunti per misure più concrete (cfr. GALLI C., Google pubblica uno studio sulla contraffazione on line, ma per prevenire serve molto di più, in Quotidiano giuridico n. 3/109, 2016).
Quello che è auspicabile, comunque, è un nuovo approccio al fenomeno, culturale e di forte contrasto, con il massimo coinvolgimento delle amministrazioni locali e delle altre istituzioni competenti e con l’apporto delle associazioni di categoria. Da non sottovalutare, però, il ruolo delle stesse imprese a tutela dei propri diritti, con l’adozione degli strumenti preventivi più opportuni per avvertire il pubblico. Cui deve seguire il monitoraggio e la segnalazione degli illeciti ai gestori dei siti e la richiesta di rimuoverli utilizzando i dati forniti non solo in relazione alla specifica segnalazione, “ma anche a quelle dello stesso genere che dovessero nuovamente verificarsi, come di regola avviene, visto che i contraffattori cambiano solo il colore o la foggia del loro ‘passamontagna telematico’ e ricominciano da capo” (cfr. GALLI C., cit.).

Clicca qui per leggere la prima parte del nostro approfondimento.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Stefano Rossi, Avvocato RBM Studio Legale Associato, redazione@exportiamo.it
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