Gli Stati Uniti oggi sono il terzo mercato di destinazione dell’export italiano che nel 2015 ha raggiunto quota 36 miliardi di euro e che secondo SACE aumenterà fino a 40 miliardi alla fine del 2016, con un potenziale di crescita attorno ai 48,9 miliardi entro il 2019.

Ma quali sono le possibili strategie d’ingresso a disposizione delle aziende italiane per penetrare il mercato americano?

- Le Fiere

Nella maggior parte dei casi il primo approccio delle aziende italiane negli USA avviene tramite la partecipazione ad un evento fieristico che rappresenta un’occasione per conoscere da vicino il mercato, i competitor e gli stakeholder potenziali.

Il problema principale è che spesso si tratta di iniziative spot che alla fine dei conti producono poco in fase di follow-up soprattutto a causa delle seguenti criticità:

1. Mancata presenza “fissa” sul mercato target. In molti casi infatti l’interesse per il prodotto offerto non si sviluppa perché l’azienda non ha una propria presenza fissa sul mercato. La presenza in loco è spesso un elemento molto importante per i buyer in quanto esso è sinonimo di fiducia ed ottimizzazione delle tempistiche di approvvigionamento. Insomma in un mercato come quello americano dove le distanze sono ampie e il fuso orario gioca un ruolo importante è fondamentale esserci e ispirare fiducia nei buyer.

2. Assistenza post vendita, tempi di consegna e difficoltà promozionali. Può capitare anche che ai primi ordini andati a buon fine non ne seguano dei nuovi perché ci si scontra con problemi legati soprattutto ad assistenza post vendita, tempi di consegna e difficoltà di supporto per l’attività promozionale sul territorio.

3. Scarsa preparazione. Le fiere spesso non vengono preparate con cura, ovvero con un’attenta ricerca di contatti e potenziali clienti precedente all’evento al fine di creare interesse verso lo stand dell’azienda partecipante.

- Importatori e distributori

La maggior parte delle importazioni di prodotti italiani avviene attraverso importatori e distributori che intrattengono legami con supermercati, negozi alimentari, negozi specializzati e ristoratori.

L’importatore provvede a ricezione, stoccaggio e distribuzione della merce importata.

Il distributore, che si approvvigiona dall’importatore, provvede allo stoccaggio e consegna della merce, al ritiro dei prodotti difettosi e alle attività promozionali e di visual merchandising all’interno dei punti vendita.

Queste sono le figure preferite dalle aziende italiane, anche perché il mercato della GDO negli Stati Uniti è di difficile penetrazione a causa delle regole stringenti e del grande sforzo organizzativo e finanziario richiesto, che risulta difficilmente sostenibile dalle PMI italiane.

- Agenti e Broker

Sono altre due figure importanti che devono innanzitutto essere distinte:

1. L’agente opera per conto di una o più compagnie (monomandatario o plurimandatario). Riceve il mandato dall’azienda per cui lavora al fine di collocarne il prodotto sul mercato;

2. Il broker invece è un venditore indipendente che negozia i prodotti dell’azienda, la quale richiede la sua prestazione una tantum. Opera su aree geografiche prestabilite ed ha una conoscenza molto approfondita del mercato e dei sui stakeholder.

Non a caso nell’ultimo periodo è sempre più richiesta la figura del Food Broker, in particolar modo dalle aziende italiane impegnate nel settore agroalimentare.

- Struttura propria

Questa è sicuramente la strategia d’ingresso più onerosa in termini finanziari che richiede un investimento importante a seconda del tipo di presenza che si vuole stabilire.

Le aziende italiane che si sono insediate negli Stati Uniti lo hanno fatto soprattutto con uffici di rappresentanza (73%) perché queste strutture riescono a garantire quel tipo di presenza fisica fondamentale per portare avanti le relazioni di tipo commerciale. Seguono poi investimenti produttivi (7%), servizi (5%), trading (1%) ed investimenti di altro tipo (14%).

Tali aziende appartengono soprattutto ai seguenti settori: meccanica (34%), chimico e farmaceutico (22%), arredamento ed edilizia (13%), energia (11%), agroalimentare e ristorazione (7%).

Infine le zone preferite dalle aziende italiane (che in totale superano le 1000 unità) sono il Sud (406 aziende), il Nord-Est (306) ed il Midwest (238 aziende).

- L’ E-commerce

Infine un riferimento alla strategia d’ ingresso più in crescita soprattutto negli USA.

Basta dare uno sguardo alle cifre per rendersi conto della crescita di questo canale: l’ E-commerce infatti ha toccato nel 2015 quota 342,96 miliardi di dollari ed entro il 2020 il giro d’affari totale dovrebbe raddoppiare toccando quota 684,24 miliardi soltanto negli Stati Uniti.

Sempre lo scorso anno il canale online ha rappresentato il 10% delle vendite totali negli USA, tanto che il 53% della popolazione americana ha acquistato almeno una volta online spendendo mediamente 1.804$ per persona nel 2015.

Soltanto Amazon lo scorso anno ha fatturato 80 miliardi di dollari, seguito da Apple a Walmart. Nota particolare infine per la crescita esponenziale di Etsy, un portale dedicato interamente alle piccole-medio imprese che potrebbe rappresentare una grande opportunità per le aziende italiane.

Queste sono in linea di massima le possibili strategie d’ ingresso a disposizione di un’impresa che vuole entrare nel mercato americano.

Ciò che bisogna evidenziare al termine di questa analisi sono sicuramente l’esigenza di una presenza fisica sul mercato americano e la sempre maggior preferenza dei consumatori per i canali online. Questi sono certamente due fattori ai quali le imprese italiane dovranno prestare massima attenzione se hanno scelto o sceglieranno gli Stati Uniti come mercato di destinazione dei propri prodotti.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it

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