Mentre nel panorama internazionale si addensano nubi sempre più fitte sul futuro del libero commercio, c’è un’area del mondo che sembra voler proseguire nel solco della liberalizzazione intrapresa negli anni passati e che vanta inoltre ottime prospettive di crescita economica.

Stiamo parlando dell’ASEAN, un’area che fra il 2011 ed il 2013 ha avuto tassi di crescita medi praticamente pari a quelli dell’India (+5,4%) e che, malgrado la forte esposizione all’andamento dell’economia cinese, viene stimata dall’OECD in crescita del 5,2% annuo fra il 2016 ed il 2020.

Secondo la Commissione UE, ogni anno la zona assorbe già € 84 mld di beni e € 19 mld di IDE del “Vecchio Continente”, che si attesta come secondo partner commerciale e primo investitore estero nell’area.

I dati macroeconomici si affiancano poi ad elementi favorevoli come la forte crescita della classe media (nel 2030 le persone con un reddito superiore a 15.000$ dovrebbe aumentare del 170%) e della penetrazione di Internet (già il 25,8% della popolazione totale).

Ma il potenziale commerciale degli scambi fra le due zone è ancora in larga parte sottoutilizzato, vuoi a causa di fenomeni di tariff escalation (che colpiscono le importazioni in maniera proporzionale al grado di lavorazione) vuoi per la presenza di vincoli legali su scambi di servizi e IDE

ASEAN ed UE cercano un’intesa commerciale di ampio respiro dal 2007, ma gli incontri sono stati sospesi già nel 2009 a causa delle abissali disparità economiche, infrastrutturali ed istituzionali che caratterizzano la regione (nell’ASEAN convivono economie moderne come Singapore e Paesi in via di sviluppo come il Laos).

Per accelerare la convergenza economica e legislativa necessaria all’accordo, l’Unione ha lanciato diversi progetti volti ad assistere la nascita di un mercato unico fra i Paesi dell’area.

Come da tradizione europea, buona parte è orientata alla cooperazione su ambiente, diritti umani o sviluppo rurale (comunque legati a doppio filo con i destini economici di una nazione).

Ma altri, come l’ARISE o l’ECAS III, hanno una vocazione più commerciale: ARISE punta ad accelerare la transizione verso il mercato unico AEC attraverso la convergenza di standard tecnici e doganali, potenziamento delle reti logistiche e capacity building, mentre l’ECAS III opera sul consolidamento della protezione degli IPR, da sempre un tasto dolente nella regione.

È plausibile affermare che tali programmi si concretizzino nella trasmissione di parte dell’esperienza UE: basti pensare al sistema ASSIST, ispirato al SOLVIT europeo.

Nel frattempo l’UE continua a coltivare i rapporti con l’ASEAN scegliendo la formula bilaterale, sicuramente la più adeguata per conciliare le importanti disparità che sussistono nell’area con la necessità generale di assicurarsi un miglior accesso ai mercati asiatici.

Per ora ci sono trattative aperte con quattro dei Paesi membri mentre con altri due si è già giunti alla firma di accordi di ampia portata.

Ecco la situazione aggiornata:

Filippine-> Le Filippine sono un’ottimo mercato per il settore costruzioni, grazie sia alla crescente domanda residenziale che alle opportunità create dall’istituzione delle Public-Private Partnerships aperte anche ad investitori stranieri.

Sono stati facilitati gli investimenti con nuove regole sull’accesso di istituti finanziari esteri e su obblighi di trasparenza bancaria. La linea politica di avvicinamento alla Cina e le tensioni sorte con l’UE in seguito alla guerra al narcotraffico del nuovo presidente Rodrigo Duterte non hanno intaccato la forte crescita economica (+6,4% nel 2016; la ADB prevede un ulteriore +6,2% nel 2017) né la domanda di beni esteri, dove il Made in Italy si posiziona bene sia nei settori meccanica ed automotive che beni di consumo.

I consumi domestici, sostenuti in maniera non marginale dalle rimesse degli emigrati, rappresentano il 70% del PIL.

Indonesia-> Diverso il discorso dell’economia indonesiana, dove le nostre esportazioni si concentrano nel settore della meccanica (nel 2016 il 58% dell’export italiano totale in Indonesia).

Il basso PIL pro capite infatti indica la presenza di un mercato in cui la penetrazione di prodotti di consumo di fascia medio-alta come quelli italiani risulta difficile, e dove le principali voci di import consistono in materie prime (petrolio, metalli) e intermedie (filati, componentistica, chimica).

L’importanza del settore Oil&Gas e della manifattura aprono potenzialmente la strada alle aziende attive sia nell’estrattivo che nella meccanica strumentale, e la carenza di infrastrutture offre possibilità nel settore edile.

Il periodo 2015-2016 ha visto tassi di crescita del 4,8% (inferiori rispetto all’obiettivo del 7%) che il governo sta cercando di stimolare con l’innalzamento dei tetti alle partecipazioni estere in diversi settori. Le trattative con l’UE, iniziate nel luglio 2016, sono ancora in fase esplorativa.

Malaysia-> Riguardo al trattato EU-Malaysia, il carattere tradizionalmente interventista dello Stato in economia sta rallentando i negoziati. Nel suo ultimo discorso, Cecilia Malstrom ha esortato il Paese ad aprire di più sull’accesso ai mercati (tariffe, public procurement), a diminuire le tasse sull’export e ad irrobustire gli sforzi nel campo della tutela agli IPR e alle IGP.

La diffusione dei benefici della crescita economica, aiutata da politiche redistributive (nel 2016 il governo ha disposto un aumento del salario minimo) potrebbero determinare in futuro un aumento dei consumi ed aumentare la quota di questo tipo di beni sulle esportazioni italiane, per ora dominate da meccanica, chimica e mezzi di trasporto.

Thailandia-> I tassi di crescita thailandesi sono inferiori alla media asiatica (+3,2% nel 2016) e le ineguaglianze reddituali rimangono relativamente alte rispetto alle altre principali economie ASEAN. Malgrado questo il Paese promette bene in termini di domanda di beni di consumo specie nella capitale Bangkok, che vanta redditi sopra la media e costi abitativi contenuti.

Le importazioni dall’Italia restano per il momento marginali (0,79% del totale) e si concentrano nei settori meccanica, farmaceutica e trasporti. I negoziati con l’UE sono stati interrotti in seguito al colpo di stato del 2014.

Singapore e Vietnam-> Sono invece entrati nella fase di ratifica gli accordi con Vietnam e Singapore.

L’accordo con Ho Chi Minh sostituisce lo schema GSP e i 21 precedenti BITs vigenti con un insieme più stabile di concessioni reciproche, fra cui l’abbattimento del 99% dei dazi vietnamiti sui beni UE e l’apertura agli IDE europei specie nel settore manifatturiero. Per l’Italia questo significa opportunità per la meccanica e per gli IDE in attività di trasformazione.

Nell’accordo con Singapore (EUSFTA) invece, l’abbattimento dei dazi dovrebbe aumentare la domanda di beni di consumo europei (buone notizie per il lusso italiano) ed avvicinare maggiormente l’Europa all’ASEAN con l’introduzione delle regole d’origine “ASEAN cumulation”.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it

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