Nel mese di febbraio la celebre catena di ristoranti Subway ha intentato una causa da otto milioni di dollari nei confronti di una compagnia di sviluppatori indiana, la MobiQuest, accusata di aver utilizzato nei suoi lavori alcuni elementi grafici troppo somiglianti ai marchi della catena statunitense, al punto da “creare confusione” presso i consumatori indiani.

Il problema davanti al quale si trova Subway è il classico che si pone in questi casi: in assenza di strade migliori, il colosso americano ha dovuto invocare nelle sue carte l’infrazione di due fonti di diritto statunitensi, il Lanham Act e il Connecticut Unfair Trade Practices Act.

Tuttavia è abbastanza dubbio che tali regole siano realmente applicabili al caso di specie: la MobiQuest infatti risiede a Noida, nell’Uttar Pradesh, e almeno in princìpio non ci sono motivi per cui dovrebbe attenersi alle leggi di uno Stato estero mentre opera in India.

L’episodio, che è solo l’ultimo di una lunga catena, illustra bene quanto sia difficile oggi mantenere il controllo sugli asset intangibili di un’impresa come idee, identità visive e marchi. Se da un lato lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e la globalizzazione degli scambi agevolano l’espansione su scala mondiale dei prodotti di successo, dall’altro facilitano fenomeni come pirateria e falsificazioni.

Fenomeni che è spesso difficile contrastare in assenza di un quadro legale e di procedure unificate a livello internazionale; sebbene esistano diverse istituzioni e fonti normative dedicate alla materia (WIPO, WTO, ecc.) nella realtà dei fatti un’impresa non dispone ad oggi di mezzi concreti realmente efficaci per far valere i propri diritti in caso di furto dei marchi, e più generalmente della proprietà intellettuale, a livello internazionale.

A livello europeo la questione dei marchi è stato affrontato principalmente con il Regolamento CE 40/93 (consolidato nel R. (CE) 207/2009), che ha creato il Marchio Comunitario e il Disegno Comunitario Registrato, nonché l’ufficio europeo dedicato alla loro registrazione (l’UAMI, Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno) ed il CE 2868/95, che mette a punto le regole procedurali per accedere alla protezione IPR di livello europeo.

I due regolamenti hanno sostanzialmente gettato le basi di un “ufficio brevetti europeo”, permettendo alle aziende dei Paesi Membri di registrare i propri marchi con un’unica procedura valida sull’insieme dei territori dell’Unione. Un meccanismo che, pur non tutelando la proprietà dei marchi su scala globale, dà certezza su 28 (presto 27?) mercati in un colpo solo.

Nonostante l’impatto positivo (dal 1994 ad oggi sono stati registrati ben 105.000 marchi comunitari), un colossale studio effettuato nel 2011 dalla Commissione Eu e l’Istituto Max Planck indica come ci fossero ampi margini di miglioramento, specie riguardo all’agevolezza delle procedure e alla convergenza normativa.

Partendo proprio dalle proposte effettuate nello studio, nel Dicembre 2016 le istituzioni europee hanno approvato il Regolamento 2015/2424 e la Direttiva 2015/2436, due modifiche che pur riconoscendo l’attualità dell’ordinamento precedente apportano alcune novità, che riportiamo di seguito:

Cambiano i nomi:Il primo cambiamento riguarda le denominazioni: nel Regolamento 2015/2424 infatti il Marchio Europeo prende il posto del Marchio Comunitario (quelli già esistiti sono automaticamente assorbiti dalla nuova dicitura) mentre l’UAMI si trasforma nell’European Union Intellectual Property Office, o EUIPO.

Cambiano le fees: Riguardo alle tasse di registrazione dei marchi, il Regolamento introducono il sistema “one fee per class” a partire dalla prima classe. Nel sistema precedente infatti le tasse di registrazione avevano una soglia minima di costo che copriva fino a tre classi: 900 euro per le pratiche telematiche e 1050 euro per quelle cartacee. Se prima le tasse addizionali per classe aggiuntiva intervenivano solo dalla quarta classe in poi, ora valgono dalla prima. In parole semplici per registrare l’uso esclusivo di un marchio su più categorie merceologiche bisognerà pagare 150 euro per ogni classe aggiuntiva dopo la prima. Sebbene questi aggiustamenti si traducano nella maggior parte dei casi in un aumento dei costi di registrazione, essi garantiscono anche un maggior flusso di cassa all’EUIPO, che dovrebbe in tal modo riuscire a coprire la maggioranza dei costi legati alla cooperazione tecnica con gli uffici nazionali in materia di convergenza normativa e procedurale (vedi Cooperazione rafforzata).

Cambiano le procedure: le norme diventano più stringenti riguardo all’identificazione del bene/servizio a cui sarà applicato il marchio; la nuova normativa prevede infatti che la richiesta di registrazione sia corredata da un’indicazione precisa di ciascun bene o servizio a cui sarà applicato il marchio. Indicare semplicemente le classi quindi non basta più ed è necessario andare più a fondo. Attenzione perché da ora le indicazioni giudicate imprecise possono determinare il rifiuto della domanda di registrazione da parte dell’EUIPO (da notare che in tal caso la somma versata dal richiedente viene restituita). A compensare questo appesantimento burocratico, il Regolamento 2015/2424 elimina il criterio della rappresentazione grafica del marchio, che d’ora in poi può essere trasmesso agli uffici europei in qualsiasi forma idonea utilizzando la tecnologia generalmente disponibile, e quindi non necessariamente mediante strumenti grafici, purché la rappresentazione sia chiara, precisa, autonoma, facilmente accessibile, intellegibile, durevole e obiettiva.

Cooperazione rafforzata: come in passato, il sistema europeo di protezione dei marchi continua a coesistere con quello degli uffici nazionali per la protezione degli IPR. Il mantenimento di un sistema di tutela duale è una misura fortemente voluta dalla Commissione; in teoria sarebbe un provvedimento a favore delle PMI che operano su uno o pochi mercati e che, non necessitando di una protezione su larga scala, possono registrare i propri marchi a livello nazionale contenendo i costi. Ma il nuovo assetto stabilito dalla Direttiva 2015/2436 prevede una maggiore uniformazione delle regole e procedure adottate dagli uffici nazionali e da quelli europei. In pratica la Direttiva impone agli uffici marchi di tutti i livelli dei criteri comuni per quanto riguarda l definizione dei marchi, le condizioni di registrazione, i motivi di nullità totale o parziale, di decadenza dei diritti esclusivi e via dicendo. In questo campo la Direttiva è affiancata dal Regolamento 2015/2424 che coerentemente con le raccomandazioni sviluppate nel 2013 dalla Commissione, in qualità di norma self-executing impone sostanzialmente la cooperazione fra tutti gli uffici marchi europei nella definizione di diversi aspetti procedurali fra cui sviluppo di criteri comuni di esame, creazione di banche dati e portali comuni, scambio di informazioni, competenze ed assistenza tecnica fra uffici (articolo 123 quater). Da notare a questo proposito come le banche dati elettroniche esistano già: quella eSearch Plus per i marchi europei e quella TMView per quelli registrati dagli uffici nazionali dei paesi dell’Unione; le nuove regole mirerebbero quindi a migliorare le modalità di aggiornamento delle stesse da parte degli uffici nazionali. Sebbene in generale la responsabilità di tale coordinamento ricada sull’EUIPO e sull’Ufficio del Benelux per la proprietà intellettuale, nelle intenzioni del legislatore europeo appare chiaro come il processo di convergenza non debba essere frutto di una decisione “calata dall’alto”; infatti qualora un ufficio marchi nazionale volesse sottrarsi al quadro di cooperazione comunitario avrebbe l’obbligo di inoltrare alle autorità europee competenti una motivazione scritta della propria decisione.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it

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