Da Milano l’accademico Bo Ji della “Bocconi cinese” chiama gli imprenditori italiani: la Silicon Valley del futuro sta nascendo a Shenzhen, Pechino e Shanghai, venite a esplorarla come moderni Marco Polo.

“In Cina è in corso un boom della sharing economy, le aziende italiane colgano le opportunità di business che si stanno moltiplicando. Superino le incertezze immaginando di essere moderni Marco Polo”. L’invito viene da Bo Ji, docente della scuola di alta formazione cinese Cheung Kong Graduate School of Business (CKGSB), con base a Pechino ma presente anche in altre città asiatiche, a New York e Londra, che punta a diventare una “Università Bocconi d’Oriente”, in virtù della sua capacità di sfornare leader e imprenditori del calibro di Jack Ma, fondatore di Alibaba, gigante del commercio online in Cina.

Parlando da un seminario organizzato a Milano, presso lo spazio Brera-Hub, da CKGSB in partnership con lo studio di avvocatura Trevisan & Cuonzo, l’esperto ha esordito definendo quello attuale “il momento adatto per guardare al Paese asiatico per lo sviluppo del proprio business”. La Cina ha 1,3 miliardi di consumatori, con aumentato potere d’acquisto e 680 milioni di utenti di cellulari “costantemente” collegati a Internet ma non bisogna nascondere la barriere, che, di primo acchito possono frenare l’entrata in un mercato lontano. “Entrare nel mercato cinese a non è facile, perché la mole di risorse, tempo ed energie necessarie per iniziare a operare nel Paese è notevole non solo per le giovani startup, ma persino per le grandi aziende – ha esordito Bo Ji. Sono anche consapevole che la Cina è percepita dagli europei come un Paese lontano, dalla mentalità molto differente, una lingua incomprensibile e l’idea è quella di produzioni legate a articoli di scarsa qualità e a basso costo”. Ma, la Rete abbatte le distanza tra l’Europa e la Cina, dove l’e-commerce è in espansione continua, precisa il professore, ripetendo parole che ama dire ai suoi convegni: “La Silicon Valley del futuro sta nascendo a Shenzhen, Pechino e Shanghai”.

Attenzione a capire bene il consumatore cinese: pena fallire come Walmart e E-Bay

Per una efficace “entry strategy” in Cina è necessario conoscere la mentalità cinese, ben diversa da quello americana e europea. Lo spiega bene Bo Ji: “Nelle negoziazioni commerciali, è utile tenere presente che i cinesi non esprimono in maniera diretta le proprie opinioni, perché non amano dire di No, ma questo può portare a volte a fraintendimenti, e a lunghe negoziazioni, che rischiano di irritare la contro parte estera, che deve munirsi pazienza, il businessman cinese sa bene come raggiungere l’obiettivo, con i suoi tempi”. A essere raccomandata è l’attività di networking, “enormemente importante in Cina”, che include i cosiddetti “middle men”, ovvero intermediari, che spesso si fanno pagare, per “introdurre gli imprenditori stranieri a persone che contano”, anche perché, “presentarsi in maniera efficace a rappresentati del governo cinese, è importante, perché molte risorse alle imprese possono venire da fonti pubbliche”. Un’altra cosa da considerare è che “la società cinese è ancora molto gerarchica e il leader, in ogni aspetto, anche nelle aziende, esige un rispetto particolare”.

Per quanto riguarda il consumatore cinese, i suoi “comportamenti sono molto diversi da quelli, ad esempio, degli americani” – continua il docente della scuola CKGSB -. Se gli statunitensi amano comprare “grossi pacchi, grandi quantità in discount”, i cinesi amano acquistare “cose uniche e non in stock, a prezzo conveniente e con confezioni che fanno sembrare l’articolo prezioso”. Oltre al packaging, che “davvero può fare miracoli nella vendita, se si conoscono i gusti dei cinesi”, per vendere in Cina è importante anche una buona promozione del prodotto, spiega ancora Bo Ji, che sottolinea come, a suo avviso, il colosso della distribuzione Usa Walmart ha fallito in Cina perché ha applicato il modello americano, senza capire fino in fondo il cliente e il mercato cinese. Errori analoghi li hanno fatti, secondo Bo Ji, E-Bay e Apple. Per quanto riguarda l’insuccesso di E-bay, il professore cita un altro elemento importante per non fallire in Cina: non sottovalutare la competizione locale, cinese (Alibaba nel caso di E-Bay) e internazionale presente in loco.

Su fronte della sharing economy, i “cinesi si sono subito adattati al fenomeno, anche per mentalità, a non essere proprietari ma fruitori di uno stesso prodotto comune a un gruppo di persone”, osserva ancora l’accademico, che ribadisce: la sharing economy è in fase di boom in Cina, le aziende italiane non abbiamo paura, ce l’ha fatta Marco Polo 1000 anni fa, oggi tutto è molto più facile di quanto si pensi.

Circa la modalità per entrare nel mercato cinese, le vie sono due:

- Export (diretto o indiretto): agente distributore, rete franchising, licenza;

- Investimento con un ufficio rappresentativo, partnership, azienda a piena proprietà, joint venture.

Il Consiglio di Ji Bo? “Nel caso della joint venture il rischio è quello di non trovare il partner locale giusto e fare una brutta esperienza, personalmente consiglio assumere persona locale ben preparata che conosca bene il funzionamento del mercato locale e abbia un buon newtork, saprà così indirizzare l’imprenditore italiano nel migliore dei modi”.

Fonte: a cura di Exportiamo, Francesca Morandi, redazione@exportiamo.it

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