A dispetto delle tensioni che governano le dinamiche economiche e geopolitiche nel Nord del mondo, tra Stati Uniti e Cina che si dichiarano guerra a colpi di dazi doganali sulle merci importate, nel Sud del mondo, quello che i più bistrattano, la scorsa settimana si è compiuto un passo di maturità: è stato siglato un protocollo che predispone la creazione di un’area di libero scambio dai contorni vastissimi, e si chiama AfCFTA, African Continental Free Trade Area Agreement.

È l’Africa a ospitare questo accordo e gli stati interessati sono ben 44, su un totale di 55 stati. Quella di aprire ciascuno la propria porta ai paesi confinanti è una storica decisione per il continente: questo patto impegna i paesi aderenti all’intesa ad eliminare i dazi doganali sulle importazioni e le barriere tariffarie sul 90% delle merci negli scambi che intercorrono tra i Paesi africani. Il rimanente 10% di dazi sui “prodotti sensibili” verrà eliminato in una fase successiva.

Questo accordo rappresenta la seconda più importante intesa commerciale internazionale dai giorni dell’istituzione della Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, per area interessata e numeri di nazioni coinvolte. L’area di libero scambio africana interesserà 1,2 miliardi di persone e un Pil congiunto che vale duemila miliardi di dollari l’anno. Per eredità coloniale e assenza di una vera industria di riferimento, la maggior parte dei prodotti in Africa arriva dalle importazioni, soprattutto dalla Cina che è il primo partner commerciale, dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente.

Uno studio dell’Unctad stima che l’eliminazione dei dazi ridurrà le entrate di 4,1 miliardi di dollari, ma sul lungo periodo si innescherà una spirale positiva che determinerà un guadagno in termini di welfareper tutti i cittadini africani stimato in 16,1 miliardi di dollari e si agevolerà la nascita dell’industria manifatturiera nazionale nei rispettivi Paesi, che implicherà più lavoro per i cittadini.

Una seconda fase di avanzamento dell’accordo prevede la libera circolazione delle persone, con visti gratis e permanenza diretta per lavoro negli stati visitati, gettando così le basi per quelli che potrebbero essere chiamati gli Stati Uniti dell’Africa. A firmare questo secondo protocollo sono stati 27 paesi. «È un giorno storico. Il Patto di Kigali – capitale del Rwanda- segna una nuova tappa nella nostra marcia verso l’integrazione» commenta MoussaFaki, presidente dell’Unione Africana.

Altre nazioni si sono dette favorevoli al libero commercio, ma non ancora pronte a consentire l’accesso all’interno del proprio territorio a cittadini stranieri, pur appartenenti allo stesso continente.

«Un continente che è stato diviso 134 anni fa dalla Conferenza di Berlino ha deciso di integrarsi e di unirsi. Ci sono 84mila km di frontiere, 84mila km di ostacoli che fanno sì che gli scambi intra-africani rappresentino oggi appena il 17% del totale. È un’occasione enorme per l’Africa» afferma il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou.

A muovere per primo le fila che hanno portato all’accordo è stato il leader ruandese Kagame. I nomi dei paesi che non hanno firmato – almeno per ora - sono Burundi, Uganda, Benin, Namibia, Eritrea, Sierra Leone e i due colossi dell’economia africana Nigeria e Sud Africa.

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