Sharing Economy: rischi ed opportunità del modello economico del momento

Sharing Economy: rischi ed opportunità del modello economico del momento

10 Maggio 2018 Categoria: Marketing Internazionale

La “Sharing Economy” è un modello economico che promuove forme di consumo basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso piuttosto che sulla proprietà. Oggi nel nostro Paese produce un giro d’affari di 3,5 miliardi di euro ma tra soli 10 anni, secondo l’Università di Pavia, questo mercato potrebbe valere fino a 25 miliardi. Scopriamone insieme le caratteristiche principali, i pregi e le criticità.

La definizione di Sharing Economy

Ancora oggi non esiste una definizione univoca e condivisa del termine sharing economy e ciò genera, inevitabilmente, un po’ di confusione non solo tra gli esperti, ma anche tra i governi, le grandi imprese ed i cittadini.

Secondo Rachel Botsman di Collaborative Lab e Benita Matofska, founder del movimento globale The People Who Share, la sharing economy si può descrivere come “un nuovo modello che si fonda sulla condivisione di risorse materiali e immateriali, di tutto ciò che non è utilizzato dal proprietario – beni, servizi, dati e abilità, tutto quel che può produrre benefits – con un fine monetario o non monetario“.

Data la ricchezza linguistica italiana, per la “Sharexpo – Milano città condivisa per Expo 2015” (progetto nato con l’obiettivo di stimolare la riflessione culturale nelle istituzioni, nella società civile e nel terzo settore sul tema dell’economia condivisa e promosso da Collaboriamo, Fondazione Eni Enrico Mattei, ModaCult e ExpoLab e Secolo Urbano), la sharing economy può essere tradotta con due termini diversi, che ne indicano le manifestazioni principali:
1. COLLABORAZIONE ovvero una forma intermedia tra reciprocità e scambio: più persone si mettono in rete con l’obiettivo di realizzare un progetto da cui ognuno trarrà un beneficio anche individuale;
2. CONDIVISIONE ovvero una forma intermedia tra reciprocità e redistribuzione: un gruppo di persone mette in comune le risorse per la produzione di beni o servizi utili a tutta la loro comunità.

Quando è nata e perché?

Il fenomeno, partito durante la crisi economica del 2008 dagli Stati Uniti, ha conosciuto un vero e proprio boom in Europa (e in Italia) nel 2013.

Gli elementi che ne hanno determinato la diffusione sono diversi, tra questi lo sviluppo di nuove tecnologie e del Web 2.0 (social, geolocalizzazione, mobile).

Le tecnologie in effetti sono i veri abilitatori che hanno reso possibile l’emersione di questo nuovo sistema basato sulla condivisione di servizi e di beni inutilizzati o in eccesso. L’Internet of Things (IoT) ed i miliardi di sensori che collegano tra loro persone, oggetti e dati, grazie alla diffusione delle piattaforme e all’accesso costante alla rete, permettono di utilizzare ciò che serve solo per il tempo necessario.

Anche l’attenzione all’ambiente ed il desiderio di ridurre il proprio impatto ambientale sono elementi che hanno spinto le persone ad adottare le pratiche di condivisione, collaborazione e riuso.

Inoltre la crisi economica globale del 2008 ha messo in discussione i tradizionali postulati di crescita economica e sociale e l’intero sistema capitalistico, spingendo le persone a domandarsi di cosa avessero realmente bisogno. Il successo della sharing economy è quindi in parte legato proprio alle possibilità che questo nuovo approccio offre in termini di riduzione dei consumi e opportunità di guadagno, rendendo ogni persona un potenziale imprenditore.

Quali sono le relazioni che si creano tra i soggetti coinvolti?

La prima relazione che andiamo ad analizzare è il Peer-to-Peer (P2P), che prevede relazioni alla pari tra persone nello scambio/vendita di prodotti e servizi e che può essere considerato il modello più comune di condivisione nell’economia collaborativa. Si veda ad esempio BlaBlaCar. Il primo modello di mercato P2P è stato introdotto addirittura negli anni ’90 da Ebay, Craiglist e Napster e consentiva alle persone di condividere, vendere o dare via i propri beni direttamente ad altre persone senza intermediari.

Un altro approccio è quello del Business-to-Consumer (B2C). L’interazione avviene tra le aziende e il consumatore finale in modo diretto attraverso piattaforme online sulle quali le aziende rendono disponibili i propri prodotti ai membri di quello specifico servizio. Car sharing e bike sharing ne sono esempi significativi: l’azienda gestore mette a disposizione il proprio parco auto/bici ai membri iscritti a quel servizio, così pur non possedendo una auto/bici è possibile accedervi in caso di necessità, sgravandosi dei costi di acquisto e manutenzione.

Il modello Business-to-Business (B2B) fa invece riferimento al commercio interaziendale e consente ad un’azienda di fornire un servizio ad un’altra azienda. La fornitura del servizio avviene unicamente online e mette le imprese nella condizione di condividere qualsiasi informazione, ad esempio il proprio inventario. Si veda United Rentals, iniziative di condivisione di attrezzature industriali.

Infine, l’approccio Consumer-to-Business (C2B), consente alle imprese di estrarre valore dai consumatori e viceversa. Sono i consumatori stessi ad offrire un determinato bene/servizio da loro prodotto (gratuitamente o ad un prezzo concordato) alle imprese, attraverso appositi siti intermediari, blog o forum. Ne sono un esempio eBay, AirBnB, Uber.

Un altro soggetto che accede alle pratiche di condivisione di cui tenere conto è la Pubblica Amministrazione. Normalmente interagisce con i cittadini, le imprese e altre amministrazioni e, nella sharing economy, può rappresentare un player di eccezione, particolarmente influente e di valore.

Quali sono le criticità?

L’economia della condivisione sta però crescendo con regole frammentarie o contraddittorie, sia sotto il profilo fiscale che su quello più generale dei vincoli e dei diritti. Mancano ad oggi delle direttive chiare sulla tassazione, così come assicurazioni adeguate a forme nuove di uso condiviso di beni e manca una regolamentazione sullo scambio diretto di servizi e prodotti tra privati. Le vecchie regolamentazioni non sono adeguate e rischiano di limitare lo sviluppo di sistemi innovativi. Sarebbe quindi necessario intervenire con delle regolamentazioni che non soffochino lo sviluppo ma che diano spazio alle sperimentazioni che si stanno diffondendo.

Un’altra critica riguarda la tendenza ad attivare processi di gentrification vale a dire il processo di riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili, ad opera in special modo di AirBnb. Se aumenta il rendimento di un immobile grazie agli affitti a breve termine di AirBnb ne aumenta anche il suo valore immobiliare.

Anche il tema dello sfruttamento del lavoro è un punto critico. Se da un lato ciascuno può mettere a disposizione il proprio tempo, competenze e proprietà, dall’altro, nell’essere piccoli imprenditori di sé stessi per le nuove piattaforme di sharing economy, esiste il rischio di non avere potere di controllo se dall’alto vengono cambiate tariffe e procedure.

Questo fenomeno porta alla nascita di una nuova classe di persone ricche che trasforma i propri vantaggi economici in ulteriore fonte di guadagno, e dall’altro un’esasperazione della figura del self-made man che porta una nuova ondata di precari con tantissime responsabilità e nessuna forma di protezione.

Non bisogna dunque ignorare la crescita dei grandi venture capitalist che sfruttano la bandiera della condivisione per trarre profitto dal lavoro delle persone, alimentando così il precariato. Per questo è necessario un richiamo alla politica affinché tuteli tutte le parti coinvolte nella sharing economy, attraverso una regolamentazione chiara ed adeguata.

Fonte: a cura di Exportiamo, Giancarlo Cabillon, redazione@exportiamo.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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