I risvolti di una eventuale guerra dei dazi sono tuttora imprevedibili: dopo i continui botta e risposta il rischio è che gli Stati Uniti finiscano per rimanere isolati. Un vero e proprio Trump contro tutti: prima la Cina, ora l’Europa. Ma l’incontro di ieri con Juncker alla Casa Bianca, in un clima disteso e cordiale, lancia segnali positivi.

Ultime settimane molto calde sull’asse Pechino-Washington. La guerra dei dazi iniziata già durante l’ultima campagna elettorale americana in cui Trump aveva più volte insistito sulla necessità di ridurre il deficit commerciale con la Cina (375,57 miliardi di dollari nel 2017) è oramai entrata nel vivo. Avevamo già parlato nelle scorse settimane del botta e risposta tra Stati Uniti e Cina.

Ma non è finita: in un’intervista lasciata nei giorni scorsi alla CNBC, Trump ha dichiarato di essere pronto ad alzare l’asticella con i dazi che potrebbero colpire tutto l’export cinese pari ad un controvalore di 505,47 miliardi di dollari nel 2017.

Stati Uniti e Cina rappresentano ad oggi il 39,3% del PIL mondiale in dollari correnti ed inevitabilmente la contesa sta tenendo tutti con il fiato sospeso. Va ricordato che la Cina è il principale detentore di buoni del tesoro statunitensi e, come affermato da Kristina Hooper di Invesco alla CNBC, un’eventuale stop all’acquisto delle partecipazioni (valutate 1 trilione di dollari dalla Federal Reserve nel 2017) potrebbe rappresentare una vera e propria “bomba nucleare”. Secondo il notiziario americano le armi a disposizione di Xi Jinping sono più potenti se paragonate a quelle degli USA: tra queste citiamo la svalutazione dello yuan e i diversi stratagemmi per rendere difficile la vita delle aziende americane legate a doppio filo con la Cina (Apple, per citarne una).

I risvolti di questo scontro sono tuttora imprevedibili con il rischio che gli Stati Uniti finiscano per rimanere isolati: non a caso il governo di Pechino ha avviato i colloqui con Unione Europea e Canada per favorire nuovi accordi di libero scambio. In questo contesto a pagare il prezzo più alto potrebbero essere proprio gli americani a causa di un inevitabile aumento dei prezzi.

Le (imprevedibili) conseguenze per l’Europa

Per quanto riguarda l’Europa la missione negli Stati Uniti del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e del commissario del commercio Cecilia Malmström ha l’obiettivo di scongiurare la guerra dei dazi che potrebbe colpire innanzitutto il settore automotive del Vecchio Continente. Infatti l’obiettivo annunciato del tycoon è quello di introdurre un dazio del 25% su auto e pezzi di ricambio importati dall’estero che peserebbe sui consumatori americani circa 7.000$ per veicolo.

Ultimo, disperato, tentativo dell’Europa per evitare il peggio con Juncker che, come precisato da Bruxelles, non ha un mandato per trattare e dunque non presenterà una proposta. In un tweet prima dell’incontro Trump ha dichiarato: “Gli Stati Uniti e l’Unione Europea eliminino tutte le tariffe, le barriere, i sussidi! Ciò finalmente si chiamerebbe libero mercato e commercio equo”. Ha però poi aggiunto: ”Spero lo facciano. Noi siamo pronti. Ma non lo faranno”. Durante il colloquio di ieri a Washington Juncker ha ribadito ai giornalisti che “Stati Uniti ed Unione Europea sono alleati, non nemici. Dobbiamo lavorare insieme per abbassare le tariffe, non per aumentarle”. Dal canto suo Trump ha prima riconosciuto il buon lavoro svolto fino ad ora dal presidente della Commissione in rappresentanza dei cittadini europei, sottolineando nuovamente di essere d’accordo sulla necessità di eliminare tutte le barriere al libero ed equo commercio. La chiusura del tycoon lascia comunque presagire ad un’apertura verso il Vecchio Continente: ”Stiamo facendo ottimi passi avanti, speriamo di raggiungere qualcosa di buono. Sarete i primi a saperlo”.

La Merkel trema

Nel 2017 l’UE ha esportato 37 miliardi di dollari di vetture negli USA, a fronte di 6,2 miliardi di importazioni dagli States. Secondo lo studio condotto recentemente da UniCredit Research un dazio del 25% sui veicoli importati (attualmente è al 2,5%) ed i pezzi di ricambio comporterebbe una riduzione dell’export europeo verso Washington del 50% (-29 miliardi di dollari circa). A pagarne le conseguenze sarebbe soprattutto la Germania che potrebbe fronteggiare perdite vicine ai 20 miliardi di dollari. Volkswagen, Mercedes-Benz e BMW sono già pronte a rivedere le proprie strategie aziendali per aggirare il problema dazi aumentando la produzione di veicoli negli stabilimenti attualmente operativi negli Stati Uniti a scapito del Made in Germany. Discorso diverso per Audi e Porsche che, non avendo siti produttivi oltreoceano, perderebbero inevitabilmente una fetta di mercato importante. Non a caso Angela Merkel ha fatto trasparire negli ultimi mesi una fortissima preoccupazione per quello che potrebbe rappresentare un colpo durissimo all’economia tedesca.

Infine ricordiamo che il primo provvedimento del nuovo Governo americano contro l’UE è stata l’applicazione, a partire dallo scorso giugno, dei dazi su acciaio ed alluminio (25% e 10%) a cui Bruxelles ha risposto tassando del 25% alcuni prodotti statunitensi come mais, arachidi, whiskey, jeans e motociclette per un valore totale di 2,8 miliardi di euro.

Insomma la guerra commerciale in corso sta assumendo la forma di un Trump contro tutti: prima la sfida alla Cina, poi all’Europa. E il rischio concreto per il tycoon è quello di rimanere isolato in questa guerra dei dazi condotta a colpi di tweet.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Anthony Pascarella, redazione@exportiamo.it

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