In una fase di “rallentamento controllato” del commercio mondiale con tassi d’incremento annui, per il biennio 2019-2020, che oscilleranno fra il 4 ed il 4,5% (dati Ice Prometeia), emerge con forza l’entrata in vigore dell’Accordo di partenariato economico (APE) fra Unione Europea e Giappone, ufficialmente operativo – dopo lunghe trattative – da oggi, 1 febbraio 2019. Scopriamone insieme i dettagli ed i possibili effetti sulle relazioni che intercorrono fra Bruxelles e Tokyo.

In piena tempesta da Brexit, con il governo May nel caos, l’Unione Europea lancia un chiaro messaggio in favore di un ampliamento degli accordi di libero commercio globali, attraverso l’entrata in vigore dell’accordo con il Giappone, il più grande accordo bilaterale di libero scambio firmato da Bruxelles in tutta la sua storia. L’ampiezza della popolazione (127 milioni di abitanti) unita all’elevato potere d’acquisto dei consumatori locali (circa 43.000 dollari pro capite secondo la PPP) rendono di fatto l’apertura del mercato giapponese un’occasione irripetibile per numerose Pmi italiane esportatrici operanti in svariati settori.

Da oggi è infatti garantita la liberalizzazione del 91% dell’import di prodotti europei sul mercato del Sol Levante, in una prospettiva d’ulteriore ampliamento in cui si procederà, gradualmente, verso la quasi totale eliminazione dei dazi. Tuttavia, è bene sottolineare che tale trattamento preferenziale varrà solo per i beni considerati originari di una delle due parti contraenti che dovranno avere:

a) l’attestazione d’origine;

oppure

b) la conoscenza del carattere originario del prodotto da parte del soggetto importatore, ritenuta una delle più importanti novità presenti nell’accordo.

Per quanto concerne l’attestazione d’origine la novità riguarda l’opportunità concessa al soggetto esportatore di emettere tale documentazione non solo per una singola spedizione di uno o più prodotti ma anche un’attestazione per spedizioni multiple di prodotti identici, entro un periodo specificato e comunque non superiore a 12 mesi. Ciò significa agevolare gli esportatori che inviano prodotti identici entro un determinato periodo di tempo, poiché sarà sufficiente produrre una sola attestazione che copra tutti i prodotti, invece di una molteplicità di dichiarazioni separate per ogni spedizione. Tuttavia si specifica che la dichiarazione d’origine per più spedizioni è valida solo se riguarda prodotti identici, ossia prodotti con caratteristiche simili a quelli indicati nella descrizione del prodotto e che acquisiscono il loro status originario nelle medesime circostanze. La descrizione del prodotto sulla fattura o documento commerciale utilizzato per il rilascio della attestazione di origine per più spedizioni deve pertanto essere sufficientemente precisa al fine di identificare chiaramente quel prodotto ma anche i prodotti identici che saranno successivamente importati e compresi nell’attestazione.

Per quel che concerne invece la conoscenza del carattere originario del prodotto si evidenzia che questa si basa sul possesso, da parte del soggetto importatore, di informazioni che dimostrino che il prodotto rivesta carattere originario e soddisfi i requisiti e le regole previste nell’accordo. Inoltre gli uffici doganali potranno richiedere all’importatore informazioni supplementari (documentazioni più specifiche) al fine di verificare il carattere originario del prodotto. Per questo motivo il soggetto importatore sarà tenuto a conservare, per un periodo minimo di tre anni, tutti le registrazioni che dimostrino il carattere originario dei prodotti oggetto di preferenza.

Si evidenzia poi che gli operatori nazionali e UE che intendano esportare per un valore superiore a 6.000 euro, sfruttando i vantaggi dell’Ape, dovranno necessariamente essere registrati al sistema REX ai fini della emissione delle relative attestazioni di origine mentre per spedizioni il cui valore non ecceda il limite dei 6.000 euro non sarà invece richiesta alcuna registrazione.

Riassumendo, l’Ape si configura come un accordo commerciale molto vantaggioso per le imprese italiane che esportano (o sono intenzionate ad esportare) una serie di prodotti agroalimentari fra cui carni bovine, prodotti lattiero-caseari, paste alimentari, cioccolata e vini che fino ad oggi erano sottoposti a normative e restrizioni così stringenti da costituire un deterrente per gli operatori interessati a fare business con il Giappone. Per avere ulteriori dettagli sull’abbassamento dei dazi si consiglia di consultare questo approfondimento.

L’accordo però non porta vantaggi solo per le Pmi italiane esportatrici operanti nel settore agroalimentare poiché prevede anche la rimozione di ostacoli di natura tecnica e normativa agli scambi di merci, mediante adozione di norme tecniche e principi normativi utilizzati nell’UE in altri settori quali veicoli a motore, prodotti elettronici, prodotti farmaceutici e dispositivi medici.

In conclusione è lecito aspettarsi, nei prossimi anni, un significativo effetto positivo per l’export italiano in terra nipponica che attualmente si aggira intorno ai 6,5 miliardi di euro annui, con quasi 15.000 aziende coinvolte e circa 90mila posti di lavoro direttamente dipendenti da questa relazione commerciale. Numeri destinati dunque ad aumentare e a costituire una piccola boccata d’ossigeno per un’economia che, proprio oggi, è entrata in “recessione tecnica”.

Infine si segnala che il testo integrale dell’accordo è reperibile sul sito della Commissione Europea al seguente link: http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=1684

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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