Il Premier giapponese Shinzo Abe ha vinto la sua scommessa.

Le “elezioni lampo” indette lo scorso 21 novembre per il rinnovo della Camera Bassa della Dieta giapponese hanno decretato il suo successo e garantito la maggioranza assoluta dei seggi per la coalizione guidata dal “suo” Partito Liberal DemocraticoPLD che può contare sull’appoggio del New Komeito Party - NKP (“Partito del Governo Pulito”), emanazione politica del movimento religioso di matrice buddhista noto come “Società per la creazione dei valori” e alleato della prima ora del Premier.

Il voto del 14 dicembre più che una consultazione elettorale é stato percepito in patria e all’estero come il referendum sulla cosiddetta “Abenomics”, la politica economica ultra-espansiva del premier, necessaria nella sua visione, per fare uscire il Giappone da due decenni di deflazione: il “decennio perduto” degli anni Novanta che nel frattempo ha raddoppiato la sua durata.

L’obiettivo é dare una spinta all’economia attraverso le “tre frecce” necessarie per poter cogliere il bersaglio: deprezzamento dello yen per incentivare le esportazioni, tasso di interesse in negativo per disincentivare il risparmio e aumentare i consumi, politica monetaria per aumentare l’inflazione e uscire dalla deflazione cronica.

In gioco c’é la rinascita e il riposizionamento del paese, oggi in recessione tecnica e che fa i conti con lo Yen arrivato al livello minimo da sette anni a questa parte, mentre il reddito delle famiglie diminuisce costantemente da oltre un anno.

Negli anni novanta il Giappone pesava per il 12% del PIL globale, nel 2030 la quota rischia di scendere al 5,5%: é questa la non troppo rosea prospettiva per l’economia giapponese e da qui la necessità di riforme strutturali e di un riposizionamento regionale che metta in discussione la stessa ontologia del Giappone del dopoguerra.

Secondo un’indagine dell’agenzia Kyodo, però, il 52% degli intervistati si é detto contrario alla politica economica del premier conservatore con un 37% che si é invece espresso a favore, mentre con riferimento all’ultima tornata elettorale, ben il 63% dei giapponesi non ne ha compreso le finalità e l’utilità.

Il risvolto pratico e concreto del sentiment della popolazione é stato un livello di partecipazione che é arrivato al 52,7%, il più basso dato dal dopoguerra ma che comunque ha mobilitato i sostenitori del premier facendogli raggiungere il suo obiettivo.

 

 

La stabilità politica qui in Italia non é il piatto forte ma anche nel paese del “Sol Levante” non é proprio un costume consolidato: la durata media dei governi giapponesi é di 16 mesi e così dal 1947 al 2012 sono stati 50 i governi che si sono succeduti alla guida del Paese con il PLD in grado di rimanere ininterrottamente al potere dal 1946 al 2009, riscuotendo sempre un grande consenso da parte del popolo. 

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Il nuovo mandato di Abe da forza alla coalizione per poter provare nei prossimi 4 anni a proseguire sulla strada delle riforme.

“Abenomics” finora, in realtà, é stata un’incompiuta ed una delusione dal momento che le riforme hanno avuto un carattere frammentario e limitato.

Per Abe si tratta del terzo mandato popolare dopo la sua prima esperienza nel 2006-07 quando a 52 anni divenne il premier più giovane dal 1941.

A causa di una crescente impopolarità e di problemi di salute personale, fu costretto ad abbandonare il governo solo un anno dopo e le successive elezioni hanno prodotto l’alternanza con la promozione del governo a guida democratica nel triennio successivo che non é riuscito, però, ad incidere sul benessere del paese.

Se nel primo mandato Abe si é concentrato principalmente su questioni politiche piuttosto che economiche, iniziando la sua battaglia sulla modifica dell’art. 9 della Costituzione giapponese del 1947 che vieta la ricostituzione di un esercito giapponese, il suo secondo mandato iniziato nel dicembre 2012 é stato fortemente incentrato sul rilancio economico e nel I^ trimestre 2013 i risultati non sono mancati con un mercato azionario in crescita, una crescita del PIL del 3,5% e un gradimento nei confronti del Premier che sfiorava il 70%.

Il problema é nel fatto che gli effetti sull’economia reale tardano ad arrivare.

Sul piano internazionale, nella visione di Abe i tempi sono maturi per una nuova soggettività politica e militare del Giappone in ragione soprattutto dell’assertività sempre maggiore dei tradizionali vicini ostili, Corea del Sud e Cina, vittime memori dell’espansionismo giapponese durante la seconda guerra mondiale.

Sul piano internazionale altro punto chiave é rinsaldare la partnership fondamentale con gli Stati Uniti con la conclusione del Trans Pacific-Partnership TPP, il mega accordo regionale di libero scambio in via di negoziazione anche con altri importanti attori regionali.

Naturalmente non mancano margini di manovra per ridare linfa all’economia e al sistema produttivo così com’é ben chiaro che Abe continuerà a portare avanti anche il riposizionamento regionale del paese, su nuove basi politiche, militari e strategiche.

 

Tra le misure che possono andare nella giusta direzione, sicuramente bisognerà favorire la crescita del basso tasso di partecipazione femminile al lavoro del Giappone (circa il 50%), un vero aiuto per alleviare il declino della popolazione attiva. Altre opportunità passano dall’apertura dei settori inefficienti e protetti dell’economia, in particolare al dettaglio e dall’incoraggiare l’afflusso di Investimenti Diretti Esteri – IDE, estremamente basso al momento.

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Nonostante la bassissima affluenza, Abe considera il voto come un segno di assenso del Giappone alla sua ricetta economica e durante il tradizionale rito della “sistemazione delle rose” sul pannello in corrispondenza dei candidati eletti ha affermato: “Credo che i risultati mostrino che abbiamo ricevuto l’appoggio politico per gli obiettivi raggiunti dall’amministrazione Abe negli scorsi due anni ma non dovremmo compiacerci”

Il premier inoltre ha promesso di voler “fare sistema” riunendo i leader della coalizione e del mondo imprenditoriale per delineare una strategia che, col rialzo dei salari, possa innescare “un circuito virtuoso sulla ripresa delle attività economiche” prima che l’ulteriore aumento al 10% della tassa sui consumi sia effettivo a partire dall’aprile del 2017. 

Sicuramente Abe con questa nuova sfida vinta entra ancora di più a pieno titolo nella storia politica giapponese e dal suo mandato potrebbe emergere un nuovo Giappone che nel frattempo, come noi italiani, ha subito l’ennesimo declassamento da parte delle agenzie di rating.

La strategia di Abe, che ha ora tutte le carte per poter essere il primo ministro più longevo dal dopoguerra, é stata vincente e con una opposizione in disarmo, l’elettorato non ha trovato opzioni credibili rifugiandosi nella disaffezione alla politica o nel voto di protesta come dimostra il buon risultato elettorale del Partito Comunista Giapponese che ha quasi triplicato i seggi.

 

 

Vedremo quanto saprà guardare lontano il nuovo Giappone dell’ormai “vecchio” Abe.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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