Sono trascorsi oltre sei anni dalla rivoluzione che ha spazzato via il regime di Ben Ali ma l’economia della Tunisia deve fare ancora i conti con diverse questioni irrisolte. Ne abbiamo parlato con Elisa Salazar, Direttore di ICE Tunisi, che ha spiegato come per accelerare lo sviluppo del Paese nordafricano siano necessari investimenti e partnership strategiche.

Il governo guidato da Youssef Chahed sta operando con l’obiettivo di stabilizzare i dati macroeconomici: con quali risultati?

E’ troppo presto per dare un giudizio sull’operato del Governo di unità nazionale, guidato da Mr. Youssef Chahed, considerato che è stato costituito a fine agosto 2016 e dunque è in carica da 9 mesi. Da qualche mese, comunque, il Governo si trova ad affrontare focolai di protesta che toccano diverse regioni del Paese. I tunisini reclamano sviluppo e occupazione e lamentano il fatto che i cambiamenti promessi tardano ad arrivare: la disoccupazione resta elevata (15,5% a livello nazionale, 31% quella dei giovani diplomati) ed i disequilibri regionali e la povertà persistono.

Nonostante il PIL in crescita permangono nel Paese una serie di situazioni sociali potenzialmente esplosive legate soprattutto all’elevata disoccupazione. Quali sono le prospettive future del Paese?

Nel mese di aprile scorso è stato adottato il Piano di Sviluppo economico e sociale 2016-2020 che mira anche ad aumentare l’attrattività dell’economia per rafforzare il ruolo motore del settore privato nella crescita e favorire gli investimenti, nazionali ed internazionali. Il Piano mira ad attirare 60 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi cinque anni.

Il Governo ha come priorità lo sviluppo regionale e sta lavorando per creare uno sviluppo decentrato. Alcuni dati del primo trimestre sono confortanti: + 46% della produzione di fosfati, sviluppo delle attività turistiche del 34% ma la situazione economica è complicata e vari indicatori sono allarmanti (inflazione al 4,8%, disoccupazione al 15,5% ed al 31% per i giovani diplomati) nonostante le riforme avviate, come quelle sugli investimenti e sul Partenariato Pubblico-Privato (PPP).

Gli IDE nel primo trimestre hanno avuto una crescita del 16,6% (462 milioni di DT contro 396,2 milioni di DT nello stesso periodo del 2016) ma la bilancia commerciale ha un deficit che si è aggravato. Si sta parlando di attuare misure protezionistiche per proteggere il tessuto industriale, l’occupazione ed i settori strategici. O meglio, di ricorrere all’applicazione della “clausola di salvaguardia” prevista negli accordi che la Tunisia ha firmato con alcuni Paesi, inclusa l’UE, per proteggere l’industria tunisina.

E’ opportuno sottolineare come l’economia informale rappresenti più del 50% del PIL e, come evidenziato più volte dall’Utica (la Confindustria tunisina), ciò minaccia le imprese che lavorano nella legalità. C’è quindi bisogno di misure efficaci che consentano di lottare contro il commercio parallelo, il contrabbando e la contraffazione.

Un altro problema è la riforma delle casse sociali che soffrono di un grande squilibrio. E’ fondamentale rilanciare gli investimenti per spingere la crescita e l’inclusione sociale. La legge sugli investimenti, approvata il 1° aprile u.s., è un passo avanti ma serve anche un grosso impegno del governo per migliorare il “clima degli affari” in modo che gli investimenti riprendano in modo significativo.

La nuova legge sugli investimenti ha i seguenti obiettivi: aumento del valore aggiunto, della competitività e del contenuto tecnologico, il rafforzamento delle esportazioni, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo regionale integrato ed equilibrato e lo sviluppo sostenibile. Recentemente è stato firmato l’Accordo con il FMI per sbloccare la seconda tranche del prestito (l’accordo deve essere ora sottoposto al CdA del FMI) e cio’ è molto importante perché evidentemente il FMI ha ritenuto che la Tunisia ha fatto progressi nella realizzazione delle riforme strategiche; esso inoltre viene in aiuto delle finanze pubbliche che stanno attraversando una delle più gravi crisi della storia del Paese.

Che tipo di consumatori sono i tunisini?

Il consumatore medio tunisino, non avendo ancora una disponibilità economica elevata, è molto attento al prezzo. La fascia alta rappresenta circa il 5% della popolazione, la media e medio-bassa del 70%. Il Made in Italy è molto apprezzato ma i beni di consumo di fascia alta sono ancora fuori della portata del consumatore medio che non dispone ancora di un potere di acquisto molto elevato. La recente svalutazione del dinaro ha ovviamente peggiorato la situazione.

A che livello si attesta oggi l’interscambio commerciale fra i due Paesi?

L’Italia è il secondo partner economico-commerciale della Tunisia, dopo la Francia, con una quota di mercato nel 2016 del 14,5% (quella della Francia è stata del 15,5%). Nel 2016, le importazioni della Tunisia dall’Italia sono ammontate a 6071 MD (circa 2730 milioni di euro), in aumento del 2,7% rispetto al 2015 (5910 MD, circa 2659 milioni di euro) mentre le esportazioni della Tunisia si sono attestate sui 5075 MD (circa 2283 milioni di euro) contro i 5093 MD (circa 2292 milioni di euro) del 2015 (un calo dello 0,4%). Nei primi 3 mesi del 2017, le importazioni tunisine dall’Italia sono state pari a 1.760,2 milioni di dinari (circa 704,4 milioni di euro) mentre le esportazioni tunisine verso l’Italia sono state pari 1.297,8 milioni di dinari (circa 519,1 milioni di euro), registrando un saldo negativo per la Tunisia pari a 462 milioni di dinari (circa 184,8 milioni di euro).

Quali sono, ad oggi, le principali opportunità e i maggiori rischi per le aziende italiane che vogliono fare business nel Paese africano?

La fase di transizione politica e le tensioni sociali continuano a pesare sulla situazione economica della Tunisia. Purtroppo la crisi economica internazionale ha penalizzato fortemente Paesi come la Tunisia la cui crescita dipende dalle esportazioni. Inoltre la Tunisia è strettamente legata come interscambio all’Unione Europea (il 70% si dirige verso l’UE) e soprattutto alla Francia ed all’Italia, paesi che hanno risentito molto della crisi. Se si proseguirà nella realizzazione delle riforme economiche e sociali e se saranno adottate misure severe contro il contrabbando e la contraffazione, allora il clima degli affari sarà veramente propizio e spingerà le imprese ad investire. Ovviamente nel Paese si dovranno continuare a garantire condizioni di sicurezza adeguate.

La Tunisia offre buone possibilità di investimento per una molteplicità di vantaggi localizzativi, tra questi la popolazione scolarizzata, il basso costo dei fattori di produzione, la posizione strategica che ne fa il trampolino di lancio per i mercati arabi e del medio-oriente a cui si aggiungono le recenti riforme contenute nel piano quinquennale di sviluppo 2016-20, la legge sul partenariato pubblico-privato, sulle energie rinnovabili e sugli investimenti. L’Italia è presente in Tunisia con oltre 800 imprese, nel settore manifatturiero, costruzioni e grandi opere, componentistica per automobili, bancario, trasporti, meccanico, elettrico, agro-alimentare. Significativa anche la rilevanza del settore energetico in quanto in Tunisia passa il gasdotto TTPC che collega Italia e Algeria.

Quali sono le realtà urbane in cui consiglierebbe di investire alle PMI italiane?

Gli IDE si concentrano in gran parte nelle grandi città ed in generale nelle zone costiere. Tuttavia negli ultimi anni si è assistito ad una lieve tendenza a spostarsi verso le regioni dell’interno che – oltre a beneficiare di misure specifiche di incentivazione – cominciano ad avere un livello adeguato di infrastrutture. Ed in questo senso va anche la recente legge sugli investimenti il cui obiettivo prioritario è di incentivare gli investimenti nelle zone “svantaggiate” del Paese. A seconda del settore e della tipologia di investimento, si dovrà comunque valutare caso per caso la convenienza ad insediarsi nelle diverse zone del Paese, considerando comunque che quelle con maggiori incentivi hanno anche diverse criticità.

Infine un accenno alla questione dell’olio tunisino: in che misura esso deve essere considerato un competitor per l’olio Made in Italy?

Il settore oleicolo occupa un posto strategico nell’economia tunisina. La produzione media di olio d’oliva in Tunisia è stata nel decennio 2006/2016 pari a 176.000 tonnellate all’anno con un minimo di 70.000 tonnellate ed un massimo di 340.000 tonnellate, registrate nella campagna 2014/2015. L’importazione di olio d’oliva, prodotto di cui alcuni paesi dell’UE (Spagna, Italia e Grecia) sono tra i principali produttori a livello mondiale, com’è noto, è soggetta a contingentamento ed il Regolamento applicativo CE 1918/2006 definisce un contingente tariffario a tasso 0% per 56.700 tonnellate all’anno, da introdurre secondo una tempistica precisa mese per mese.

Nel settembre 2015, la Commissione Europea ha aumentato il contingente esente da dazi a 91.700 tonnellate come misura di sostegno all’economia tunisina. La campagna olivicola 2014/2015 ha avuto un risultato eccezionale in termini di produzione ed esportazione. Durante questo periodo, infatti, per una serie di contingenze climatiche e fitosanitarie che hanno interessato Spagna e Italia, la Tunisia è diventato il secondo produttore mondiale di olio d’oliva dietro la Spagna ed il primo esportatore mondiale (311.000 tonnellate di cui circa 20.000 imbottigliato). Le esportazioni si sono dirette principalmente verso l’UE (228.000 tonnellate, pari al 73% del totale) ed i mercati del Nord America (56.000 tonnellate pari al 18% del totale).

L’Italia è tra i primi clienti della Tunisia: nel 2015 l’incremento delle importazioni è stato di circa il 735% complice l’andamento estremamente negativo dell’annata oleicola. Le statistiche riguardanti la campagna oleicola 2015/2016 indicano invece un ritorno alla normalità, con un risultato di circa 150.000 tonnellate. Per quanto riguarda l’olio d’oliva sfuso, il 42% delle esportazioni della Tunisia, al 31 ottobre 2016, si è diretto verso l’Italia (22% verso la Spagna ed il 19% verso gli USA, dati bollettino ONH, Office National de l’Huile).

Per rispondere alla sua domanda le cito alcune cifre: la produzione italiana di olio d’oliva nel 2016 è stata di circa 300.000 tonnellate (calo del 38% rispetto all’anno precedente) laddove il fabbisogno nazionale è di circa 600.000 tonnellate. Per quest’anno le previsioni indicano un calo del 58% rispetto al 2015 (circa 200.000 tonnellate prodotte). Credo, pertanto, che alla luce di questi numeri bisognerebbe pensare all’olio tunisino come un’opportunità piuttosto che come un pericolo.

Attualmente, tra l’altro, i produttori non dispongono di tecnologie avanzate in materia di trasformazione dell’olio (incluso l’imbottigliamento e l’imballaggio) e devono acquisire competenze nella commercializzazione ed esportazione. Credo che ci siano delle opportunità di partenariato per le aziende italiane, soprattutto per quanto riguarda l’apporto di tecnologia e know-how.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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