Un'Italia da export: intervista con Monte delle Vigne

Un'Italia da export: intervista con Monte delle Vigne

14 Giugno 2017 Categoria: Un'Italia da Export

Oggi abbiamo il piacere di ospitare l’intervento di Andrea Ferrari, socio fondatore di Monte delle Vigne, cantina della provincia di Parma che da quasi 35 anni lavora duramente per produrre vini d’eccellenza. Oggi il brand è presente in varie parti del mondo (Europa, Nordamerica ed Asia) ma non per questo trascura il mercato domestico “che rappresenta la vetrina più importante per ogni nuovo mercato estero in cui ci si voglia espandere”.

Ci racconti brevemente la storia della sua azienda…

Nel 1983, sulle prime colline che dalla Pianura Padana portano al passo della Cisa, Andrea Ferrari fonda l’azienda vitivinicola Monte delle Vigne.
Alla base di questo progetto enologico c’è la convinzione di poter produrre grandi vini lavorando sui vitigni autoctoni e così, nel 199,2 nasce Nabucco, il primo rosso fermo realizzato a Parma che diventa un simbolo per Monte delle Vigne.

Trascorso un ventennio dalla nascita, nel 2003, inizia la collaborazione con Paolo Pizzarotti che porta alla realizzazione di nuovi impianti vitati tanto che nel 2006 viene inaugurata la nuova cantina, un magnifico complesso produttivo totalmente integrato con la natura circostante.

Quali sono gli elementi e le condizioni che hanno decretato il successo della sua azienda sul mercato attuale?

Uno su tutti è sicuramente la peculiarità dei nostri vini che si distinguono per personalità, struttura ed eleganza. Ogni vino di Monte delle Vigne è un vino prima pensato e poi realizzato, per cui ogni prodotto rappresenta un segno distintivo di quest’azienda. Altro elemento è la costanza qualitativa che, pur essendo ogni annata a sé stante, rimane sempre in un ambito elevato. Infine mi piace evidenziare la corrispondenza perfetta tra vigneto e cantina, tra ciò che raccontiamo e ciò che si trova nella bottiglia.

In questi anni di crisi, quanto la ricerca del successo sui mercati internazionali è stata una scelta e quanto una necessità per la sua azienda?

Indubbiamente in questi ultimi anni l’espansione commerciale sui mercati esteri si è trasformata in una necessità perché quello italiano è un mercato difficile e con consumi calanti. In questo panorama il mercato estero è diventato una necessità. Soprattutto quello rappresentato da consumatori consapevoli, che ricercano la qualità vera del prodotto, esenti da schemi preconfezionati.

Quale metodologia di ingresso ha adottato per fare business all’estero ed in quali mercati siete oggi presenti?

Abbiamo individuato i nostri potenziali clienti e siamo andati a raccontarci, iniziando dal piccolo consumatore fino all’importatore nazionale, facendogli capire che il nostro prodotto è unico con una grandissima qualità intrinseca e con una grande corrispondenza. Siamo presenti nei più importanti mercati internazionali. Da quello europeo, Svizzera e Germania, al mercato asiatico, Thailandia e Cina, a quello americano con Usa e Canada. Abbiamo approcciato ognuno di questi mercati partecipando a fiere ed eventi ed abbiamo raccontato le peculiarità della nostra terra spesso conosciuta solo per alcuni grandi prodotti tipici come Prosciutto di Parma e Parmigiano Reggiano.

Qual è il “peso” delle attività internazionali oggi sul suo business?

L’estero ha un peso specifico sempre più elevato anche se non rappresenta in termini quantitativi la maggioranza delle bottiglie vendute. All’estero infatti vengono molto apprezzati i prodotti di alto livello ed il prezzo spesso non costituisce un grosso ostacolo: in questo modo si riesce a salvaguardare anche il margine aziendale.

Nel vostro percorso di espansione all’estero siete stati supportati da strutture pubbliche e/o da società di consulenza private?

Purtroppo no, siamo sempre andati “con le nostre gambe e la valigia in mano”, quindi abbiamo sfruttato le classiche fiere e altri momenti in cui potevamo incontrare gli importatori internazionali. È importante evidenziare come, soprattutto per le aziende medio-piccole come la nostra, manchino quasi sempre strutture che possano aiutare nell’inserimento dei nostri prodotti nei mercati.

Com’è il rapporto con la burocrazia all’estero e, più in generale, quali sono state le principali difficoltà riscontrate?

Molto spesso non è facile adeguarsi alle regole di ogni Paese ma una volta superata una prima fase di studio ed analisi l’operatività diventa lineare e le problematiche sono di facile soluzione. Tutto questo si trasforma così in chiarezza operativa che permette una migliore organizzazione del lavoro ed un serio rapporto continuativo basato sulla serietà commerciale.

Quali sono i vostri piani futuri di sviluppo? Avete già in mente nuovi mercati da conquistare?

Più che nuovi mercati da conquistare è necessario dare profondità a quelli in cui si è già presenti creando una struttura distributiva che permetta di coprire aree strategiche e quindi arrivare direttamente al consumatore. Rendendo la distribuzione capillare l’azienda e il brand diventano riconoscibili ed in questo modo si può ottenere una migliore espansione commerciale.

Quale consiglio si sente di dare agli imprenditori che intendono affacciarsi nello stesso contesto estero?

Il consiglio è quello di affacciarsi sui mercati esteri solo se si possiedono le condizioni produttive adeguate. Bisogna sicuramente avere una certa struttura, una produzione minima che possa garantire una quantità di bottiglie all’eventuale importatore che si va ad individuare mantenendo una certa costanza qualitativa nel tempo. Comunque è necessario essere visibili anche sul mercato domestico che rappresenta la vetrina più importante per ogni nuovo mercato estero in cui ci si voglia espandere.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Riccardo Ciabattoni, redazione@exportiamo.it

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