E-commerce, italianità e qualità: i tre segreti per conquistare la Cina

E-commerce, italianità e qualità: i tre segreti per conquistare la Cina

10 Novembre 2017 Categoria: Un'Italia da Export Paese:  Cina

“L’e-commerce presenta spazi immensi in Cina, ma se l’Italia vuole avere successo deve cambiare le logiche tradizionali, a partire dal marketing, e puntare sull’italianità”. A parlare è Giuliano Noci, professore ordinario presso il Politecnico di Milano, dove insegna Strategia & Marketing ed è Prorettore del Polo territoriale cinese, che Exportiamo.it ha intervistato a margine del convegno “Dall’e-commerce all’e-shopping”, tenutosi martedì scorso a Milano, presso la sede di Regione Lombardia.

I numeri confermano le opportunità: nel 2016 le vendite online nel gigante asiatico hanno raggiunto la cifra di circa 1.000 miliardi di dollari, gli internauti in Cina sono 670 milioni e i cinesi che comprano online si attestano sui 400milioni.

Alibaba, la più grande azienda/piattaforma di e-commerce del mondo ideata in Cina, include 500 milioni di iscritti, registra 60 milioni di visite al giorno, 48.000 prodotti venduti ogni minuto, ed 1,47 milioni di negozi online. C’è poi la grande piattaforma di WeChat, dove, evidenzia il professore, “l’utente cinese compra ed è perennemente connesso”.

Professore, sul fronte dell’e-commerce Cina e Italia sono ai poli opposti: il gigante cinese è il primo mercato al mondo, mentre il nostro paese registra ritardi. Ma quali sono i punti di contatto?

Il consumatore cinese apprezza molto i prodotti italiani ed ha una opinione positiva sull’italianità. Le nostre aziende devono comprendere che oggi è possibile arrivare in Cina anche attraverso il commercio elettronico. Deve tuttavia essere chiaro che ‘fare e-commerce’ non vuol dire ‘avere un sito’, ma significa piuttosto avere un progetto di marketing in grado di attrarre al proprio sito aziendale. Se le imprese si muoveranno su queste basi, si prospetta un grande successo per eccellenze italiane come l’arredamento e il cibo, che sono straordinariamente ricercate dai cinesi, che attualmente hanno un potere di acquisto in grado di fare fronte ai prezzi dei prodotti italiani e occidentali.

Quali strategie suggerisce alle imprese italiane?

Il primo consiglio è focalizzarsi su qualità e italianità. Il cliente cinese non è disposto a spendere cifre elevate se non ha valore aggiunto. Secondariamente, è necessario approcciare il mercato digitale cinese tenendo conto delle sue specificità. In Occidente siamo abituati a Facebook e Twitter, mentre in Cina esiste la grande piattaforma di WeChat, dove l’utente cinese compra ed è perennemente connesso. Questo è un elemento molto importante per quanto riguarda la strategia di attrazione al sito e alle property aziendali. Ribadisco l’importanza di fare leva in modo significativo sull’italianità, soprattutto nel segmento food, senza fuorvianti frammentazioni riconducibili a logiche di marca territoriale che non hanno alcuno significato per i cinesi. C’è un unico grande brand che è riconosciuto e cercato dai cinesi: il Made in Italy. I prodotti italiani in Cina, dalla moda alla Ferrari, sono talmente apprezzati che alcuni prodotti francesi sono scambiati per italiani.

Come le nuove tecnologie stanno cambiando il marketing?

L’impatto dell’innovazione sta rivoluzionando il marketing, con enormi conseguenze. La fase dell’acquisto da parte dell’utente non è, ad esempio, più controllabile né temporalmente né spazialmente, perché oggi non si acquista solo in negozio in specifici orari, ma il consumatore compra dove vuole e quando vuole. Oggi il marketing deve quindi puntare l’attenzione sul punto dove si manifesta il bisogno del cliente. A cambiare è anche il mondo del retail: i negozi fisici non scompariranno, ma dovranno necessariamente trasformarsi qualificando lo spazio fisico in un quadro multicanale. Lo spazio fisico e quello virtuale diventeranno una cosa sola, con al centro il cliente. I commercianti dovranno ricostruire nuovi spazi di interazione, in Rete e nei negozi. A mutare è anche il ‘marchio’ che diventa ‘relazione’ e non più solo un logo fisso o un simbolo. Le imprese dovranno allora diventare capaci di costruire un sistema di relazioni virtuoso, online e offline, in grado di rispondere alle esigenze dell’individuo.

Fonte: a cura di Exportiamo, Francesca Morandi, redazione@exportiamo.it

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