Playcast, il gesso Made in Italy in 3D che guarda ai mercati asiatici

Playcast, il gesso Made in Italy in 3D che guarda ai mercati asiatici

03 Ottobre 2018 Categoria: Un'Italia da Export

Con Davide Ranaldo, chirurgo ortopedico e cofondatore di PlayCast, abbiamo parlato della startup padovana che intende rivoluzionare il mondo dell’ortesi proponendo un gesso ortopedico e su misura che si stampa in 3D.

Da dove nasce l’idea di PlayCast?

L’idea nasce sempre da una necessità ed in questo caso dal connubio tra due professionisti, entrambi già con esperienze innovative alle spalle che si sono posti il problema di come migliorare la qualità di vita dei pazienti immobilizzati per trauma. L’Arch. Lazzaro aveva da tempo in mente di applicare la tecnologia e la stampa 3D in ambito sanitario, ma gli mancavano le competenze mediche. Nel febbraio 2015 grazie, ad un’amicizia in comune, ci conosciamo e nel giro di qualche mese iniziamo ad elaborare alcuni prototipi di apparecchio gessato stampato in 3D che, di lì a poco, diventeranno utilizzabili su vasta scala. Entrambi decidiamo anche di brevettare alcune delle caratteristiche del progetto.

Da chi è composto il vostro team e quali sono le competenze più importanti per lo sviluppo e la crescita della vostra idea imprenditoriale?

Da un architetto figlio d’arte con la passione informatica e il talento per il mondo del 3D già fondatore di Mentalab che si occupava di totem dimostrativi basati sulla realtà aumentata, Jacopo Lazzaro e da me che sono un Chirurgo Ortopedico con alle spalle una start-up fondata a 18 anni, la Ra.Da.Netsation (realizzava postazioni multimediali per l’accesso ad Internet quando esisteva al massimo una connessione ISDN nel 1998). Da febbraio 2018 si è aggiunto al team Nicola Trevisan, ex Amministratore di Veneto Nanotech che si occupa della parte finanziaria. Il progetto è quindi diventato una S.r.l. ed è in fase di capital increase per la commercializzazione su scala nazionale.

Quali sono le principali difficoltà che una startup incontra nel mercato italiano?

Nonostante molte cose stiano lentamente cambiando, le criticità maggiori sono inerenti alla ricerca di fondi, linfa vitale per poter sperimentare e validare un progetto. La maggior parte degli investitori si basa solo ed esclusivamente su dati economici che per attività come la nostra – che non hanno alcun precedente di mercato – è difficile portare alla luce. Manca da parte di queste persone, aziende, fondi ecc. la capacità di intuire, chiaramente non solo nel nostro caso, che l’idea funzionerà per motivi che vanno al di là degli importantissimi ma a volte troppo vincolanti numeri.
Abbiamo avuto un esperienza all’estero presso il Vivatech 2018 di Parigi, dove invece ci è parso che – oltre alle politiche economiche nazionali più flessibili ed accattivanti per gli imprenditori – vi sia una mentalità diversa: ci è stato chiesto molto sul nostro progetto, le persone si appassionavano ad esso prima ancora di chiederci un business plan. Nessuno pretende che si faccia o sia dia niente per niente, però in Italia c’è quasi sempre la corsa all’investimento “sicuro” e redditizio!

Quali mercati internazionali pensate siano più attrattivi per il vostro business e quali quelli dove trovare più facilmente investitori o finanziamenti?

Certamente i mercati del Centro Europa e quelli del Sud-est asiatico sia perché, pur avendo dei competitor nessuno è arrivato ad un livello qualitativo e tecnologico pari al nostro (come è invece avvenuto in Nord Europa o in America Centrale/Usa) sia perché c’è più volubilità economica, intesa come voglia di azzardare ed investire. Le popolazioni asiatiche infatti sembrano più propense rispetto ad altre ad attingere dal know-how europeo per poter diventare più competitive.

Partecipare a programmi di supporto e tutoraggio offerti da incubatori ed acceleratori italiani genera un’utilità̀ ed un vantaggio competitivo per una startup?

Attualmente siamo incubati da START CUBE, incubatore padovano grazie al quale siamo entrati in contatto prevalentemente con altre startup e commissionato loro alcune parti del nostro progetto. Gli incubatori da un punto di vista formativo sono molto interessanti perché anche se siamo professionisti affermati, c’è sempre da imparare. Anche come rete di contatti e conoscenze restano un valido strumento. Invece è difficile, dispendioso in termini di tempo e quindi spesso inutile a nostro giudizio, partecipare alle competizioni dedicate al settore delle startup perché si guadagna solo in visibilità, nel 90% dei casi. Visibilità che però si può ottenere anche con semplici pubblicazioni o attraverso un corretto utilizzo dei social network.

Quale consiglio dareste ai giovani startupper che intendono sviluppare una propria idea in Italia?

Senza dubbio non abbattersi ai primi ostacoli, cercare di generare un prototipo della loro idea senza troppi fronzoli, ma pianificare sempre i miglioramenti senza attuarli in prima battuta. L’obiettivo è a nostro giudizio arrivare a dimostrare l’efficacia, anche su piccoli campioni, della loro idea. E’ opportuno ricordare sempre che l’idea nasce da una necessità: dimostrare di aver risolto quella necessità è prioritario. Riguardo al fatto che poi l’idea resa concreta si debba sviluppare in Italia non posso al momento consigliarlo: per noi è “necessario” in quanto al momento abbiamo una carriera già avviata ma se non avessimo avuto nulla da perdere saremmo sicuramente emigrati in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.

Obiettivi per il futuro…

Diventare un’azienda o trovarne una che ci permetta di esserlo come ramo d’azienda, magari sempre in ambito medicale. Chiaramente le due strade hanno percorsi diversi ma portano entrambe, seppure con difficoltà, al cambiamento che da 150 anni ci si aspettava nel mondo dell’ortesi e degli apparecchi gessati legati all’ortopedia ed alla traumatologia (l’apparecchio gessato risale al 1890). Il nostro vero obiettivo è quello di poter rendere fruibile Playcast a tutti, anche a persone che non hanno accesso a strutture sanitarie adeguate, soprattutto nei Paesi sottosviluppati, dove a volte un apparecchio gessato è l’unica soluzione non essendo praticabile la chirurgia.

Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it

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