Regno Unito: come sta davvero l’economia più discussa del momento?

Regno Unito: come sta davvero l’economia più discussa del momento?

01 Aprile 2019 Categoria: Focus Paese Paese:  Regno Unito

Mentre crescono vertiginosamente le probabilità di una Brexit senza accordo cerchiamo di capire meglio, partendo da alcuni dati macroeconomici, le condizioni dell’economia britannica che ha già iniziato a “subire” i primi effetti post referendum ma che, a ben vedere, non sembra essere sull’orlo di un collasso come alcuni commentatori lasciano intendere.

Sono passati quasi 3 anni dal 23 giugno 2016, una data destinata a rimanere ben scolpita nella storia del Regno Unito. Quel giorno, infatti, il 52% dei cittadini britannici che si recarono alle urne optarono per l’opzione , “Leave”, dando così vita al complicato processo di abbandono di Londra dall’Unione Europea sul quale, ancora oggi, incombono enormi incertezze.

Ma a prescindere da quel che accadrà nelle settimane che ci separano dal 22 maggio – nuovo termine ultimo entro il quale decidere le modalità di “allontanamento” di Londra da Bruxelles – è interessante analizzare quale è la situazione dell’economia inglese e quali le prospettive per il futuro.

Innanzitutto è bene chiarire che qualcosa è già accaduto e che alcuni trend manifestatisi all’indomani del referendum dovrebbero continuare a presentarsi anche negli anni a venire. Fra questi spicca, senza dubbio, il percorso di indebolimento della sterlina che ha portato, fra il 2016 ed il 2018, ad una significativa crescita dell’export britannico (+18,8%), passato da 407,3 a 484 miliardi dollari.

Fra il 2016 ed il 2017, sempre a causa della svalutazione della sterlina, sono cresciuti anche gli investimenti diretti esteri in Regno Unito (+11,8%), passati da 1858 a 2078 miliardi di dollari. In più anche il tasso di disoccupazione ha mostrato una dinamica al ribasso passando dal 4,9% del 2016 al 4,4% del 2017 per arrivare, a fine 2018, fino a quota 4%. Dunque, osservando i sopracitati indicatori, sembrerebbe che Londra non se la passi affatto male ma, in realtà, per tracciare un bilancio completo è necessario considerare anche l’andamento di altri indicatori. Fra questi il tasso di inflazione, cresciuto di ben due punti percentuali fra il 2016 ed il 2017 e passato dallo 0,7 al 2,7%; una dinamica che si è poi parzialmente attenuata tanto che, a dicembre 2018, ha toccato il livello più basso da due anni a questa parte attestandosi al 2,1%.

La crescita del costo della vita ha inevitabilmente avuto ripercussione sul reddito dei cittadini britannici che hanno cominciato a toccare con mano quello che, secondo numerosi esperti, sarà uno degli effetti di lungo termine più negativi della Brexit: l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie. Ad oggi comunque i salari reali dei cittadini britannici rimangono in crescita e rappresentano il principale driver della crescita del Pil anche se, secondo Pwc, ci sono ottime possibilità che la spesa delle famiglie rallenti nel 2019 con un conseguente aumento della propensione al risparmio.

Inoltre anche il Pil britannico sta mostrando un rallentamento: se dal 2016 al 2017 la differenza non si è praticamente sentita (da +1,8 a +1,7%) va invece sottolineata la performance negativa del 2018, dal momento che la crescita della ricchezza britannica ha frenato al +1,4% anche se, il dato più allarmante è quello relativo all’anno in corso con una crescita prevista ancora pari all’1,1%.

Secondo i principali osservatori internazionali ad avere un impatto negativo sul Pil è stato il calo degli investimenti delle imprese derivante dall’incertezza economica e politica in corso per l’esito incerto del processo di uscita del Regno Unito dall’Ue. Una situazione che potrebbe ulteriormente peggiorare dinanzi all’ipotesi di una Brexit “disordinata”. Fino ad oggi comunque, a risentirne è stata, in particolare, la crescita del settore delle costruzioni che ha mostrato un andamento lento negli ultimi 18 mesi proprio a causa della debolezza degli investimenti immobiliari commerciali.

Londra: come se la passa la capitale?

In un contesto così incerto ed intricato è tuttavia interessante analizzare l’andamento di Londra che, ormai da diversi anni, ha una storia a sé stante rispetto al resto del Paese come confermato anche dall’esito del referendum: non dimentichiamo infatti che il 60 percento dei londinesi si sono espressi in favore dell’opzione “Remain”. Il dato da cui partire, secondo Pwc, è che la crescita di Londra ha superato in modo netto quella delle altre regioni nell’arco degli ultimi 30 anni invertendo la tendenza evidenziatasi negli anni ’70 ed ’80 quando il tasso medio di crescita di Londra era inferiore alla media del Regno Unito.

Gran parte di questo boom si è legato allo sviluppo impetuoso dei servizi finanziari e commerciali in seguito alla deregolamentazione finanziaria della metà degli anni ‘80 e alla indubbia capacità di attrarre brillanti migranti internazionali. Ultimamente però la crescita della capitale è stata meno forte rispetto al passato e si prevede che questo trend prosegua anche nel biennio 2019-2020, con Londra che dovrebbe accontentarsi di una crescita solo leggermente più veloce del tasso medio del Regno Unito.

Cosa aspettarsi?

Il Regno Unito, dunque, sta dimostrando una buona capacità di resilienza al cospetto di una situazione di fortissima incertezza che avrebbe messo alle corde quasi tutte le economie del “Vecchio Continente”. Tuttavia ciò non significa che l’isola sia “immortale” e, al contrario, bisogna riconoscere il manifestarsi di alcuni importanti trend negativi: in effetti il Paese, a dispetto di quanto si possa credere, possiede degli elementi di criticità non secondari come l’elevato debito delle famiglie (124%), il basso tasso di produttività e le innegabili disparità tra Londra (più la parte sud-est del Regno Unito) ed il resto del paese, in particolare in termini di trasporti e infrastrutture energetiche. Il governo, conscio di quanto la situazione sia delicata, ha per questo deciso di mettere in campo una politica fiscale accomodante per il 2019 (dopo anni di politiche economiche di consolidamento) che dovrebbe avere un effetto espansivo stimato in 0,3 punti percentuali di Pil. Le nuove misure comprendono in particolare un aumento della spesa di 10,9 miliardi di sterline (0,5% del PIL), due terzi dei quali saranno assegnati al servizio sanitario nazionale, mentre il resto andrà all’istruzione, all’assistenza sociale e alla difesa e servirà a implementare tagli all’imposta sul reddito delle famiglie. In definitiva è difficile dire che futuro attende l’economia britannica senza conoscere i dettagli della Brexit ma è certamente bene avere la consapevolezza di quali siano i principali trend già visibili su quella che, al netto delle difficoltà, rimane comunque la quinta economia più grande – in termini di ricchezza prodotta – su scala globale.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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