Norvegia: nel futuro più salmone e meno petrolio

Norvegia: nel futuro più salmone e meno petrolio

24 Giugno 2019 Categoria: Focus Paese Paese: 

Il Paese scandinavo sembra intenzionato a rivoluzionare la propria economia riducendo sensibilmente il peso del settore petrolifero e puntando con decisione su energie rinnovabili e reindustrializzazione. Tuttavia anche per uno dei Paesi più ricchi e felici al mondo portare a termine una transizione così radicale potrebbe rivelarsi un compito non semplicissimo.

Salmone, petrolio e gas naturale. Questo strano trittico che, ad oggi, costituisce il cuore pulsante dell’economia norvegese potrebbe presto cambiare pelle, lasciando spazio ad una diversificazione economica che prevede – oltre alla crescita esponenziale delle fonti rinnovabili (la Norvegia intende diventare un’economia a neutralità di emissioni entro il 2030) – anche l’avvio di un processo di reindustrializzazione che riduca sensibilmente la dipendenza di Oslo dalle proprie (ingenti) risorse di Oil&Gas. Quindi, nonostante la Norvegia rappresenti il Paese con la maggior dotazione di risorse petrolifere del Vecchio Continente, e sebbene proprio grazie a quest’ultime lo stato scandinavo sia riuscito ad assicurare elevatissimi standard di vita ai propri cittadini, Oslo sembra aver preso l’irrevocabile decisione di cambiare radicalmente il proprio modello di sviluppo.

Così, anche quello che è considerato il più grande fondo d’investimento sovrano su scala globale per masse di denaro gestite (per un valore di circa 1000 miliardi di dollari), ha iniziato a disinvestire dall’Oil&Gas, cedendo quote per circa 8 miliardi di dollari. Il premier conservatore Erna Soldeberg – che, solo dall’inizio del 2019, guida un esecutivo che può contare su una maggioranza assoluta per via dell’ingresso nella compagine governativa prima dei liberali (a gennaio 2018) e poi dei cristiano-popolari (a gennaio 2019) – ha infatti chiarito con schiettezza che non si può “pensare di vivere di rendita grazie al petrolio”, accelerando la svolta green di un petrolstato che si sta dimostrando estremamente previdente. Secondo la Soldeberg la ricetta da seguire è quella di una reindustrializzazione che si fondi su IT, sostegno alle startup, maggiore tutela dell’ambiente e pesca, un business che si sta dimostrando estremamente redditizio.

Nel 2016 infatti, secondo un sito web specializzato iLaks.no, il valore di un esemplare standard di salmone (peso di circa 4,5 chili) ha superato quello del barile di petrolio catturando le attenzioni di numerosi imprenditori impressionati dal forte incremento della domanda mondiale di salmone e dal conseguente innalzamento dei prezzi.

Indubbiamente essere in prima linea per la diversificazione economica del Paese rappresenta un grande merito per la classe politica norvegese, anche se la prosperità diffusa dello stato nordeuropeo rende più semplice assumere questo tipo di atteggiamento. La Norvegia è infatti uno dei Paesi più ricchi al mondo, con un Pil pro capite al di sopra dei 70.000 dollari annui, un sistema di welfare generoso e funzionante ed un tasso di disoccupazione che, nel 2018, è sceso di 0,6 punti percentuali arrivando al 3,8% (dati CIA). Visti gli invidiabili livelli di partenza è abbastanza comprensibile che la crescita del Pil non viaggi su ritmi forsennati (+1,9% nel 2017 e +1,4% nel 2018 - dati CIA) e, anche per il biennio 2019-2020, dovrebbe oscillare intorno all’1,5-2%. Un incremento che sarà sostenuto, secondo Coface, sia dalla spesa familiare – irrobustita dall’aumento dei salari – sia dalla crescita degli investimenti privati, stimolati dalla riduzione di un punto percentuale della corporate tax passata dal 23 al 22%.

Fra gli aspetti meno rosei dell’economia di Oslo si evidenziano invece un alto livello di indebitamento delle famiglie norvegesi (236% del reddito disponibile nel 2017) che frena gli investimenti immobiliari e la dipendenza dell’export norvegese dall’import del Regno Unito, che ne assorbe circa il 20%. Nel 2019 comunque il settore energetico, basato su Oil&Gas, rappresenterà ancora il 17% del PIL, il 19% degli investimenti e il 43% delle esportazioni (previsioni Coface). Infine, a dimostrazione che la spinta a diversificare l’economia debba ancora espletarsi in tutta la sua forza, si rileva che il deficit non petrolifero dovrebbe ammontare al 7% del PIL anche quest’anno, certificando che la dipendenza delle finanze pubbliche dalle entrate petrolifere è ancora molto elevata.

Tuttavia la decisione del governo in carica di non procedere alla trivellazione nell’area circostante le bellissime isole Lofoten (dove si stima siano contenute risorse Oil&Gas pari a 65 miliardi di dollari) almeno fino al 2021, evidenzia che le intenzioni norvegesi non sono solo vuote dichiarazioni d’intenti.

Inoltre l’intenzione del governo norvegese di ridurre l’esposizione nel medio periodo verso l’industria degli idrocarburi sta iniziando ad avere effetti concreti anche sul settore automotive per via degli incentivi attivati per agevolare il passaggio alla mobilità elettrica. Tali incentivi non riguardano solo agevolazioni fiscali ma anche misure supplementari come parcheggio gratuito, installazione di migliaia di punti di ricarica gratuiti, possibilità di circolare nei centri storici e lungo le corsie riservate ai mezzi pubblici, esenzione dal pedaggio autostradale e dal pagamento del biglietto dei traghetti. Così, a marzo 2019, il 58,4% delle nuove auto vendute in Norvegia sono state elettriche, solo il 22,7% a combustione interna ed il 18,9% hybrid. Dati già eccezionali ma destinati a migliorare ancora visto che si stima che il 100% delle nuove autovetture vendute ad Oslo e dintorni sarà spinto da un motore elettrico entro il 2025.

Rapporti con l’Italia

I rapporti fra Roma ed Oslo sono buoni con un interscambio commerciale che, nel 2018, si è attestato intorno a 3,15 miliardi di euro con un saldo commerciale a favore del Belpaese per circa 550 milioni di euro. I prodotti italiani sono apprezzati e richiesti dai consumatori norvegesi specialmente nei settori del fashion, food&beverage, meccanica ed arredamento con un incremento degli acquisti di beni di fascia medio-alta dovuti alla crescita del potere d’acquisto medio. Fra i prodotti Made in Italy che vantano un maggior livello di penetrazione commerciale in Norvegia emerge il vino italiano che detiene una quota di mercato del 35%.

Dal 2012 al 2018 l’export italiano in Norvegia è cresciuto del 12,4% e, secondo l’Export Opportunity Index di Sace, la Norvegia rappresenta – fra i Paesi avanzati – il 12esimo mercato più interessante in termini d’opportunità offerte alle Pmi italiane esportatrici. Per questo non stupiscono le previsioni della società del gruppo Cdp che indicano una crescita dell’export italiano in Norvegia del 3,5% nel 2019 e del 4,1% fra il 2020 ed il 2022.

Le Pmi italiane orientate all’export quindi non devono sottovalutare le chance offerte da un piccolo mercato (5,37 milioni di abitanti) come quello norvegese che può fornire una boccata d’ossigeno a molte delle realtà produttive italiane, soprattutto se impegnate nella commercializzazione di prodotti di fascia medio-alta che, vista la complicata situazione economica interna, faticano a trovare interessanti riscontri all’interno dei confini nazionali.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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