Una Nuova Costituzione per il Cile

Una Nuova Costituzione per il Cile

24 Giugno 2021 Categoria: Focus Paese Paese:  Cile

Il 15 e il 16 maggio 2021 i cittadini del Paese andino sono stati chiamati alle urne per eleggere l’Assemblea costituente che redigerà la nuova Costituzione in luogo di quella attuale. L’Assemblea  sarà inaugurata il 4 luglio ed avrà 9 mesi di tempo per sostituire l’attuale Magna Carta.

Il presidente del Cile, Sebastián Piñera, ha annunciato, domenica 20 giugno, che l’Assemblea costituente del Paese sarà inaugurata il 4 luglio per redigere una nuova Costituzione in luogo di quella attuale, figlia del regime autoritario del generale Augusto Pinochet, che governò la nazione tra il 1973 e il 1990. 

L’annuncio della data della prima sessione dell’istanza è arrivato dopo che, il 18 giugno, il tribunale di qualificazione elettorale ha ratificato i 155 costituenti eletti nelle elezioni del 15 e 16 maggio, incaricati di rappresentare il popolo nell’elaborazione di una nuova Costituzione, che sarà la prima scritta democraticamente.

I seggi sono stati distribuiti in modo equo tra uomini e donne e circa il 40% degli stessi è stato assegnato a candidati indipendenti e lontani dai partiti tradizionali. Tra questi ultimi, il blocco delle sinistre, composto dal Partito comunista, da Lista Apruebo e da Apruebo Dignidad, ha ottenuto il 33,2%, mentre la lista delle destre, ossia Vamos por Chile, si è fermata al 20,8%. La destra, che è sostenuta dall’attuale presidente Piñera, resta ancora al potere ma non ha abbastanza seggi per poter influenzare il contenuto della nuova Costituzione.

La Costituente avrà nove mesi di tempo per riunirsi e scrivere il nuovo testo costituzionale che sarà sottoposto ad un referendum di ratifica popolare a partecipazione obbligatoria nel secondo semestre del 2022. In caso di approvazione, la nuova Costituzione entrerà in vigore immediatamente, sostituendo automaticamente quella precedente. Gli accordi presi per redigere la nuova Costituzione necessiteranno di una maggioranza dei due terzi dei costituenti con il fine ultimo di consentire, come già successo in diversi casi storici, di produrre una sintesi tra le diverse parti politiche. Questo farà sì che la nuova Costituzione sarà innanzitutto la base del nuovo e “vero” patto sociale tra tutte le parti in Cile, scalzando definitivamente il peso politico e sociale della Costituzione “imposta” da un regime militare.

La Costituzione voluta da Pinochet nel 1980, infatti, malgrado fosse stata in buona parte emendata nel corso degli anni Novanta e Duemila, non ha mai smesso di generare insofferenza sia per la sua “legittimità” sia per aver acuito le già esistenti disuguaglianze e ingiustizie socioeconomiche.

Il malcontento ha raggiunto il culmine nell’ottobre del 2019, quando migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici, anche se in pochissimo tempo la protesta si è trasformata in una contestazione generale del “modello cileno”, delle sue profonde disuguaglianze sociali e infine dell’ordine costituzionale.

Difatti, malgrado l’exploit dell’economia cilena nell’ultimo decennio con l’aumento esponenziale dei consumi a credito, la drastica riduzione della povertà dal 30% del 1990 al 6,7% del 2018 e la presenza del Cile fra i Paesi OCSE, i principali servizi pubblici erano – e sono ancora – in mano a privati. Ciò ha montato la leggenda della crescita inarrestabile e dell’unicum cileno in America Latina mentre nel Paese reale, grazie anche a un sistema tributario regressivo figlio di una Costituzione ultra-liberista che relega lo Stato a spettatore, si moltiplicavano le differenze socioeconomiche – sistema scolastico e sanitario cileni ne rappresentano il catalizzatore principale – acuite dal pesantissimo aumento dell’indebitamento privato (circa il 70% della popolazione) e dei prezzi.

Per placare la rivolta, che ha segnato una profonda frattura tra la popolazione e la classe politica cilena, è stato deciso quindi di indire un referendum, lo scorso 25 ottobre, con cui i cittadini del paese andino, con il 78% dei voti, hanno deciso di abrogare la vecchia Costituzione e di demandare la redazione di un nuovo testo a un gruppo di costituenti estranei sia al governo che al parlamento.

La nuova legge fondamentale manterrà sicuramente un sistema di libero mercato che, a differenza dello Stato minimo e “spettatore” tanto celebrato in quella del 1980, verrà puntellato e completato con una maggior protezione sociale e con un modello più redistributivo per ottemperare a quel gravoso problema estesosi silenziosamente negli ultimi quarant’anni, ossia la diseguaglianza sociale. Malgrado le differenti proposte per risolvere il problema socioeconomico del Paese andino, la quasi totalità dei partiti che si si sono presentati alle elezioni di maggio ha in comune il profondo interesse a mettere fine all’idea di Stato che ha come priorità gli interessi dei privati rispetto alle reali necessità della popolazione e mettere sotto l’egida statale la sanità, la scuola e le pensioni.

Oltre a ciò, avrà particolare importanza il ruolo delle donne, che oggi rappresentano solo il 20% del parlamento e che si sono coraggiosamente schierate in prima linea durante le proteste, e delle minoranze amerinde presenti nel territorio cileno a cui è stato riservato di diritto un posto tra i 155 scranni della Costituente. Tali minoranze hanno proposto il cambio del nome ufficiale dello Stato come “Stato Plurinazionale del Cile” e un’attenzione maggiore al tema dei diritti umani, dei luoghi storici di tali popoli e un impulso all’inserimento dei temi ambientali nella Magna Carta cilena.

Verso le presidenziali

Quando mancano pochi mesi alle presidenziali di novembre, lo scenario delineato dalle elezioni per l’Assemblea Costituente potrebbe influenzare anche l’elezione del prossimo capo di Stato. Sebbene, per ora, la lista dei candidati per la presidenza veda una quota femminile ben al di sotto del 50%, non è da escludersi, infatti, una ristrutturazione dei nomi in corsa.

Lo scorso 19 maggio si sono chiuse le registrazioni per le cosiddette “primarie legali”, previste per il 18 luglio, che vedranno sfidarsi i candidati del Partito comunista e del Frente Amplio, nella coalizione della sinistra radicale, e i candidati dei partiti di destra e centrodestra che compongono la coalizione Vamos por Chile. Le primarie legali – meccanismo finanziato con fondi statali – tuttavia non comprende tutta la rappresentanza partitica cilena, che rimane libera di organizzare primarie “convenzionali” a proprie spese.

In ogni caso, alla luce del grande successo ottenuto dagli indipendenti nell’ultima tornata elettorale, si prevede una campagna elettorale più “autoreferenziale” da parte delle forze politiche tradizionali, incentrata sul rilancio della propria immagine di fronte ai cittadini piuttosto che su una battaglia politica tra schieramenti. Il trionfo delle liste indipendenti nella costituente, infatti, è stato tanto imprevisto quanto scottante e difficilmente sarà di nuovo sottovalutato.

L’appuntamento decisivo rimane quello del 21 novembre, in uno scenario di incertezza che rovescia quasi tre decenni di sorprendente tranquillità e prosperità rispetto ai paesi vicini.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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