Esportare vino in Canada: trend, regole e opportunità

Il Canada rappresenta un mercato interessante e in evoluzione per il vino, con dinamiche uniche rispetto ad altri Paesi occidentali. Nonostante il consumo pro capite sia in leggera flessione – si è passati da oltre 14 litri annui a circa 12 – il valore delle vendite continua a crescere. Questo perché i consumatori canadesi stanno diventando sempre più selettivi: si beve meno, ma meglio. In altre parole, si assiste a un fenomeno di “premiumizzazione”, che apre interessanti spazi di manovra per chi punta sulla qualità, sull’artigianalità e sulla sostenibilità.
Uno dei principali ostacoli – ma anche elementi distintivi – del mercato canadese è il sistema distributivo. In quasi tutto il Paese, la vendita di alcolici è gestita da monopoli provinciali. In Ontario, per esempio, tutto passa per la LCBO (Liquor Control Board of Ontario), un’agenzia governativa che controlla cosa viene venduto, dove e a che prezzo. Lo stesso avviene in Québec con la SAQ (Société des alcools du Québec) e in British Columbia con la BCLDB.
Per un produttore italiano, questo significa che non è possibile semplicemente inviare vino a un importatore privato e iniziare a vendere. Serve passare da un sistema di approvazione centralizzato, fatto di cataloghi annuali o stagionali, listini fissati da autorità pubbliche e forti barriere all’ingresso. Tuttavia, il sistema sta lentamente cambiando.
L’Ontario, ad esempio, ha avviato un processo di liberalizzazione che dal 2024 consentirà a supermercati, negozi di alimentari e convenience store (oltre 8.500 nuovi punti vendita potenziali) di vendere vino e birra. Questo potrebbe rappresentare un vero spartiacque per i produttori stranieri, che avranno più canali a disposizione e meno vincoli burocratici.
Un altro elemento da tenere d’occhio riguarda le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Canada. A seguito di dispute legate ad accise e standard sanitari, il Canada ha imposto nuovi dazi sui vini americani, rendendo di fatto questi prodotti meno competitivi a scaffale. In alcune province, le vendite di etichette californiane sono già in calo, e i buyer locali – inclusi quelli dei monopoli – stanno cercando alternative valide.
Qui si apre un’enorme opportunità per l’Italia, e più in generale per i Paesi europei. I vini italiani sono già ben presenti nei canali premium (Chianti, Barolo, Prosecco), ma c’è ancora molto spazio di crescita per produttori medio-piccoli, specialmente se capaci di offrire un buon rapporto qualità-prezzo e di raccontare il proprio territorio.
Immaginiamo, ad esempio, una piccola cantina delle Marche che produce Verdicchio biologico o un produttore siciliano di Nero d’Avola a fermentazione spontanea: oggi ha molte più chance di ottenere attenzione da parte di un importatore canadese o dei buyer della LCBO rispetto a solo pochi anni fa. Questo perché la domanda si sta orientando verso vini autentici, leggeri, sostenibili, spesso meno noti, ma capaci di raccontare una storia.
Un altro trend da monitorare è il boom delle bollicine: i consumatori canadesi stanno scoprendo il piacere di bere vino frizzante non solo per festeggiare, ma anche a pasto o durante l’aperitivo. In questo senso, il Prosecco italiano ha un ruolo dominante, ma si stanno facendo strada anche altri spumanti regionali: Franciacorta, metodo classico trentini, Lambrusco secco e persino rifermentati in bottiglia.
Anche i vini biologici, biodinamici e vegani stanno crescendo in popolarità, soprattutto nelle fasce d’età più giovani. Le etichette chiare, trasparenti, magari con un racconto legato alla sostenibilità e al rispetto del territorio, sono sempre più premiate.
Inoltre, i wine lover canadesi stanno cominciando ad apprezzare vitigni autoctoni meno conosciuti: Fiano, Pecorino, Cannonau, Aglianico, Ribolla Gialla… nomi che qualche anno fa sarebbero stati ignorati, oggi diventano segni distintivi di una proposta raffinata e diversa dal solito.
Secondo i dati ISTAT e dell’ICE, l’Italia è stabilmente tra i primi tre esportatori di vino verso il Canada, assieme a Francia e Stati Uniti. Nel 2023, le esportazioni italiane di vino verso il Canada hanno superato i 430 milioni di euro, in crescita rispetto all’anno precedente, nonostante un calo generale nei volumi a livello mondiale.
In termini di quantità, l’Italia ha esportato circa 92 milioni di litri di vino, il che la rende il secondo fornitore per volumi dopo gli USA (che però stanno subendo un forte rallentamento a causa dei dazi). I principali prodotti esportati sono:
Le province con maggior domanda sono l’Ontario, che rappresenta circa il 40% delle vendite complessive, seguita dal Québec e dalla British Columbia. Inoltre, il valore medio per litro esportato è in crescita, a dimostrazione di una maggiore propensione dei buyer canadesi a investire su vini italiani di fascia medio-alta, non solo sul prezzo competitivo.
Un dato interessante: secondo Wine Monitor Nomisma, circa il 90% dei canadesi che bevono vino conosce almeno una denominazione italiana, il che conferma l’alto potenziale di riconoscibilità del brand “vino italiano” e il margine di crescita ancora disponibile, soprattutto per le cantine che vogliono approcciare il mercato per la prima volta.
Il mercato canadese non è semplice, ma è ricco di potenziale per le aziende italiane, anche medio-piccole, che ancora non esportano. Grazie all’evoluzione della distribuzione, alle nuove preferenze dei consumatori e alle tensioni commerciali con gli Stati Uniti, si stanno aprendo finestre uniche per chi è pronto a investire nel posizionamento, nella relazione con gli importatori locali e nel rispetto delle regole provinciali.
In definitiva, il Canada non è un mercato per tutti, ma è sicuramente un mercato per chi ha una storia da raccontare – e in questo, l’Italia parte avvantaggiata.
Fonte: a cura della Redazione di Exportiamo, redazione@exportiamo.it - Autore Alessio Gambino
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