Alle calzature Made in Italy serve una svolta (asiatica?)

Alle calzature Made in Italy serve una svolta (asiatica?)

15 Settembre 2016 Categoria: Retail

77mila occupati, 5mila aziende ed un giro d’affari da circa 7,5 miliardi di euro annui. Questi sono i numeri del settore calzaturiero Made in Italy che però si trova ad affrontare un periodo tutt’altro che semplice, specialmente dal punto di vista del commercio estero. I dati relativi ai primi 5 mesi del 2015 parlano infatti di un lievissimo aumento dell’export a fronte di una flessione nel numero di scarpe vendute sui mercati esteri ma il problema rimane la generale riduzione del turn over del comparto sperimentato negli ultimi anni.

Oggi Assocalazaturifici torna a chiedere provvedimenti specifici per il rilancio del settore (defiscalizzazione investimenti per la produzione di campionari, taglio del costo del lavoro, impegno a livello europeo per protezione e indicazione della provenienza delle merci, ecc.) che sta soffrendo moltissimo anche a causa delle sanzioni economiche comminate alla Russia dal momento che Mosca rappresentava il mercato di destinazione più importante per le produzioni italiane. Alla profonda crisi russa si sommano poi le performance al di sotto delle aspettative dei mercati del Far East e degli USA.

L’andamento del mercato interno, d’altro canto, non lascia spazio a visioni ottimistiche visto che nel 2015 si è registrata l’ennesima contrazione nella quantità di calzature acquistate (ottavo anno consecutivo). Le uniche note liete arrivano da tre mercati che hanno realizzato importanti trend di crescita: Corea del Sud (+37%), Cina (+30%) e Germania (+27%).

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