D’ora in poi, quando presenteremo domanda per un posto di lavoro, a rivolgerci le prime domande per la scrematura iniziale potrebbe essere l’algoritmo di un computer, invece di una persona in carne e ossa. Di questi tempi, quindi, i curricula dei laureati farebbero bene a fare colpo su un robot, più che su un responsabile delle risorse umane.

Se l’idea di essere intervistati da un computer può sembrare deprimente, è sempre meglio che non ricevere riscontro alcuno: l’85% delle domande presentate per un posto di lavoro cade infatti in una sorta di “buco nero” senza risposta. I selezionatori del personale devono gestire un flusso enorme di curricula, molto più grande che in passato: questo in parte è dovuto al fatto che si cambia posto di lavoro più spesso, e in parte al fatto che Internet facilita molto le cose a chi desidera cambiare le modalità con le quali presentare domanda per più posti di lavoro alla volta.

Ed è proprio a questo punto che subentrano l’intelligenza artificiale (IA) e i Big Data: un numero in costante aumento di aziende tecnologiche sta lavorando per perfezionare gli algoritmi che imitano le funzioni più semplici dei selezionatori, a cominciare dal trovare i curricula per una data posizione, l’abbinamento tra domanda e offerta, i primi contatti con i candidati.

Le funzioni più meccaniche e ripetitive, quindi, potranno essere gestite dagli algoritmi, ma non è verosimile, almeno per il momento, che i selezionatori del personale spariscano del tutto: ci sarà sempre bisogno di un essere umano per valutare se un candidato è adatto alla posizione offerta perché per le macchine sarà difficile riprodurre i colloqui faccia a faccia, interpretare il linguaggio del corpo di un candidato o giudicarne personalità e valori.

Inoltre, se da un lato si presume che gli algoritmi trattino tutte le candidature con la massima imparzialità, dall’altro gli esperti sono divisi sulla possibilità che la selezione del personale attuata dai robot possa porre fine sul serio ai pregiudizi umani impliciti in tale processo. Non tutti i sistemi di IA sono imparziali in assoluto: anche se i criteri insegnati alla macchina non sono discriminatori, un sistema efficiente di apprendimento automatico ben presto sarà in grado di replicare le caratteristiche dei lavoratori esistenti. Se dunque un’organizzazione ha privilegiato lavoratori maschi laureati presso università prestigiose, l’algoritmo imparerà a selezionarne altri di questa stessa tipologia.

La sfida per il futuro è quindi far sì che gli algoritmi escludano a priori qualsiasi pregiudizio.

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