In una recente intervista Emma Bonino - al netto degli incarichi onorati, eccellenza del “Made in Italy” probabilmente più riconosciuta e apprezzata dal mondo che in patria - sulla scia dei tragici eventi di Parigi di inizio anno, riflettendo sul nostro oggi ha affermato:

“Senza dubbio ci sono buchi nella nostra rete di sicurezza da affrontare, ma sono peggiori i “buchi di conoscenza”.

Parole sante e consapevoli che fanno il paio con i clamorosi eventi che si sono succeduti nell’ultimo anno stravolgendo l’ordine internazionale post guerra fredda, relegato ormai ad essere passato senza un presente e con molti dubbi sul futuro o meglio i futuri possibili.

Non a caso l’Istituto per gli Studi di Politica InternazionaleISPI quest’anno ha scelto un titolo evocativo, emblematico ed al contempo ineccepibile per il Rapporto 2015 Scenari Globali e l’Italia: “In mezzo al guado”.

Il rapporto, disponibile gratuitamente sul sito ISPI - dopo la “prima romana” del 9 febbraio presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica - sarà oggetto di un ciclo di presentazioni in Italia: il guado da affrontare é multiforme e relega al suo interno tutti i settori della società così come dell’accademia e delle classi dirigenti (alla prova dei fatti incapaci di cogliere l’evolversi degli eventi) e proprio per questo, come ha auspicato Lapo Pistelli, Vice Ministro degli Esteri intervenuto a Roma in conclusione del suo intervento:

“Se non c’é un buon pensiero in partenza non ci si può aspettare buoni risultati.

La speranza é che nel 2015 l’Italia sarà in grado di andare oltre il guado, il più vicino possibile a una riva che ci piace”.

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I diversi saggi evidenziano come il mondo sia alle prese con un disordine crescente da tempo, percepito in maniera distorta e contrastato in maniera spesso inappropriata mentre sono le infrastrutture stesse delle relazioni internazionali dell’era post-bipolare ad essere state spazzate via mettendo tutti di fronte alla consapevolezza di come la dissoluzione di un ordine internazionale non ne generi automaticamente uno nuovo ed é quindi compito e dovere di tutti, prendere coscienza della situazione come aiuta la lettura del rapporto, utile strumento di analisi e foriero di spunti di riflessione per tutti quelli che hanno interesse a capire in che direzione va il mondo o meglio qual é il giusto sentiero da seguire per uscire dal guado senza ritrovarsi in una palude o peggio ancora nelle sabbie mobili.

Il Rapporto si compone di due parti, la prima dedicata ad “Europa e Mondo” con attenzione al contesto generale e specifici focus sulle questioni che l’agenda internazionale non può più rimandare (Ucraina, Minaccia dello Stato Islamico, Mediterraneo, Oriente vicino e lontano, Governance Economica Internazionale ed Europea, ecc.) ed una seconda parte dedicata alla “Politica Estera dell’Italia” e completata – novità di quest’edizione - dai risultati di un Expert Panel con la partecipazione di 120 esperti di politica estera italiana con l’intento di redigere una “pagella” dei risultati raggiunti nel 2014 dall’Italia in politica estera e dalla ricerca “Gli Italiani e il Mondo” promosso in collaborazione con RaiNews24 e realizzato da IPSOS per sondare il livello di coscienza nell’opinione pubblica nostrana della dimensione internazionale e del peso della stessa sui nostri “destini” come singoli e come collettività.

Nell’ultimo anno - alla timida euforia iniziale lievemente giustificata dall’emergere di segnali di ripresa per l’economia mondiale - é subentrato già in primavera il disincanto.

Il mondo é andato incontro all’azzeramento delle aspettative e all’affossamento delle speranze ancor di più messo di fronte all’aggravarsi delle minacce alla sicurezza internazionale con la prepotente e mal contrastata entrata in scena dello Stato Islamico – IS con tutto il suo terrore che l’Occidente ha imparato a conoscere, il riattizzarsi di focolai di tensione e di ambizioni regionali nel Mediterraneo, in Africa, Asia e Medio Oriente e la consapevolezza che nel terzo millennio, anche nel cuore della vecchia Europa, i confini possano essere messi in discussione come tristemente ci ricorda la “Crisi Ucraina”.

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Sergio Romano nel suo saggio la definisce una “crisi post-sovietica”. La situazione attuale é effettivamente la conseguenza “logica” (ma spiazzante nel suo crudo e novecentesco palesarsi) del tentativo di “andare oltre” con la NATO e dello scontro più con la paura che con la potenza della Russi di Putin - alle prese con crisi del rublo e crollo del prezzo del petrolio - ma comunque impegnata e determinata a non abbandonare sogni di gloria e reminiscenze egemoniche oltre ad avere ben presente i confini della propria sicurezza.

Guardando la situazione dalla nostra prospettiva, l’Italia ha provato nel corso dell’anno a percorrere soluzioni alternative, perché costa troppo la ritorsione commerciale nei confronti di Mosca e a pagare sono le nostre esportazioni, ma si é ritrovata obbligata a seguire la linea europea e la stessa nomina di Federica Mogherini a Lady PESC ha rischiato di essere messa in discussione mentre oggi come ieri noi ci opponiamo (giustamente) ad un’escalation militare.

La fine dell’ambizioso e coerente progetto di nuovo ordine internazionale nato dalla fine della guerra fredda e imperniato sull’egemonia militare statunitense é oggi quindi una realtà incontrovertibile.

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Washington obbedendo ad una visione dell’ordine internazionale gerarchica, estensiva, globale e densamente strutturata a livello istituzionale ha puntato a garantire al mondo -attraverso l’imposizione della “religione civile” libertà-democrazia-benessere nel nome del mercato e della più remunerativa “libertà economica” - sorti migliori per tutti e ovunque, salvo poi realizzare che la democrazia non é un valore assoluto e praticabile se a vincere le elezioni sono Hamas nei Territori Palestinesi o i Fratelli Musulmani nell’Egitto figlio della “primavera araba” così come ad emergere soprattutto nell’ultimo anno é stata la titubanza dimostrata di fronte alle dirompenti novità di scenario che - come ricorda il rapporto - anche Ed Luce dalle colonne del Financial Times ha portato a definire gli Stati Uniti: “il classico egemone in declino: indisponibili a dividere il potere ma incapaci di imporre i risultati”.


Il guado é dunque reale e intellettuale perché sono le categorie dell’analisi a essere superate e i difetti di interpretazione molteplici ed é evidente come il mondo sia in preda ad un palpabile disorientamento che non lascia nessuno indifferente ma soprattutto trova tutti impreparati non solo a Roma, ma anche a Washington, a Berlino, a Bruxelles e a Parigi, mentre la governance dell’economia mondiale cambia.

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Si riconoscono i limiti del “club di amici” che ha rappresentato il G8, per dare sempre più peso e in potenza anche incisività e effettività maggiore rispetto all’ONU stessa, al G20 la sede dove i paesi emergenti, BRICS in primis, fanno sentire la loro voce e - altra novità del 2014 già affrontata su Exportiamo - dove non si arriva all’accordo sull’esistente si creano reali alternative come dimostrato dalla nascita della New Developmente Bank – NDB (alter ego in formato BRICS della Banca Mondiale) e della Asian Infrastrucuture Investment Bank, la nuova sfida da Oriente lanciata lo scorso ottobre con la regia di Pechino,  ovvero l’impegno preso dai rappresentanti di 21 Paesi Asiatici con la firma del Memorandum d’Intesa per far entrare in scena entro la fine del 2015 un nuovo attore regionale tra le Banche Multilaterali di Sviluppo.

In sostanza quello che avviene oggi é agli antipodi rispetto al circolo virtuoso immaginato dagli architetti  chiamati a disegnare le infrastrutture dell’era post-bipolare.

Il Rapporto sottolinea come, oggi rispetto alle “certezze” del mondo bipolare e alle velleità del Nuovo Ordine Internazionale, le crisi divengono incontrollabili:

“L’intervento esterno si dimostra palesemente inefficace di fronte a conflitti e crisi o nella forma della paralisi diplomatica e militare (guerra civile siriana), o nella forma della sua improvvisazione come nel caso libico e in quello ucraino, o nella rincorsa senza fine tra fallimenti e tentativi di rimediare ai fallimenti come nel caso iracheno”.

Sullo sfondo e con un peso specifico non indifferente, rimane la crisi economica iniziata nel 2007 perché per troppo tempo si erano fatti troppi debiti per tutti per coprire le inefficienze di un sistema che solo apparentemente cresceva con successo sulla base di un modello ispiratore insostenibile, inefficiente, diseguale e ingiusto e per questo motivo la situazione attuale deve poter e saper rimediare congiuntamente e contemporaneamente, sia all’eccesso di debiti che alle inefficienze che questi coprivano e come sottolinea Franco Bruni nel suo saggio “Una crisi ancora incompresa”, per tutti:

“È un compito lungo e difficile, perché le riforme che accrescono l’efficienza comportano dei costi, nell’immediato, che rendono più faticoso ridurre l’indebitamento pubblico e privato. Ma se ci accordiamo sulla natura del problema, se usciamo dal guado almeno nel comprendere la crisi, é più facile che gradualmente troviamo il modo di superarla, senza attendere da un momento all’altro di ritornare al modello di crescita precedente, ma riuscendo a cambiarlo”.

I compiti sicuramente sono lunghi e difficili ma a fare la differenza sarà sempre la volontà che non può essere a senso unico ma deve essere anche mediata e incanalata nel solco giusto per garantire la maggior soddisfazione possibile e minimizzare i rischi.

A questo proposito, tornando all’impellente attualità, tocca anche porsi delle semplici domande.

Si può ridurre al gioco di stare ai patti, ad esempio, il negoziato attuale tra il governo greco e le istituzioni europee se sullo sfondo ci sono anni di allegra finanza (che a tutti ha fatto comodo) e lo spirito di un popolo e il suo rigetto ontologico, avendolo provato sulla propria pelle, delle politiche di austerità imposte dalla Troika?

Quanto bisogna davvero credere alla favolosa bacchetta magica del moltiplicatore forse un tantino sovrastimato del “Piano Juncker” per fare ripartire l’economia e gli investimenti in Europa?

Quanto gli squilibri commerciali e di deficit vanno considerati solo in negativo ma non anche in positivo?

Il gioco é sempre a somma zero no?

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Per concludere innanzitutto é doveroso lodare e apprezzare il prezioso contributo che offre quotidianamente l’ISPI con le sue ricerche e i suoi approfondimenti e certamente va annoverato tra i pochi esempi italici di luogo reale di discussione e approfondimento su come va il mondo che in parte colma il gap culturale in materia del nostro paese, tra l’altro non più abituato a fare politica estera e per il resto come spera Mario Deaglio in conclusione del suo saggio “L’Italia in un mondo più cattivo”. 

“Il 2015 si preannuncia quindi come un anno complesso e difficile. In situazioni simili del passato, in presenza di una diversa struttura demografica, l’Italia ha dato prova di saper compiere “scatti” positivi e inaspettati.

Non si può e non si deve escludere che questo avvenga anche in un futuro prossimo”.

Ciò che si deve escludere (e anche prevenire con tutte le forze e in tutte le sedi) é invece la miopia che invece di farci oltrepassare il guado, ci farebbe addentrare nella palude.

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

 

 

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