Se lo scorso anno, ci eravamo lasciati con un Paese descritto come la “patria del capitale inagito” e l’invito era alla consapevolezza proprio perché si ammoniva:

“Non é pensabile una ripresa dello sviluppo senza un’adeguata riflessione della base reale su cui operiamo; come tutte le società complesse, la nostra società cambia non attraverso “svolte” (momenti magici decisivi), ma attraverso processi di “transizione”, necessariamente lenti e silenziosi.”

Le transizioni che siano lente e silenziose o dirompenti e chiassose, devono essere costanti nel loro dispiegarsi, il Paese che emerge dall’istantanea del Censis con il 49^ Rapporto sullo Stato Sociale del Paese è invece un paese in letargo e ancora incompiuto anche se alcuni passi sono stati fatti, senza incidere però nell’essenza dei legami sociali.

Già perché anche se emerge un rilancio del primato della politica, in sé e per sé positivo che ha prodotto alcuni tentativi di riforme più o meno incisive nella realtà andando oltre gli annunci, a fallire è il coinvolgimento collettivo rispetto al consolidamento della ripresa e anche se c’è stata la ricerca del consenso d’opinione sulle politiche avviate, per innescare nella stessa collettività la mobilitazione verso il cambiamento, questo sforzo è fallito e la dialettica tra società e politica continua ad essere in crisi proprio perché non in grado di produrre un progetto generale di sviluppo del Paese, e di conseguenza una nuova classe dirigente.

Quello che ha contraddistinto i fasti dell’Italia, quella del miracolo economico capace nel giro di qualche decennio di collocarci tra le più importanti economie mondiali partendo dalla distruzione materiale e sociale, è stato quello che una volta un generale di lunghissima esperienza ha definito durante un’interessante conversazione intergenerazionale, “il geniaccio italiano”, il problema però come ammoniva lo stesso generale è che solo fino a un certo punto è stato messo virtuosamente a sistema, poi - a partire dalla fine degli anni settanta - si è ritratto su stesso e il circolo è diventato vizioso e non più virtuoso.

Le parole dello stesso direttore del Censis, Giuseppe De Rita, sintetizzano senza mezzi termini una situazione coerente a questa interpretazione:

“Nella nostra storia il resto del mito della grande industria e dei settori avanzati è stata l’economia sommersa e lo sviluppo del lavoro autonomo. Il resto della lotta di classe nella grande fabbrica è stata la lunga deriva della ceto-medizzazione. Il resto della spensierata stagione del consumismo è la medietà del consumatore sobrio. Il resto della lunga stagione del primato delle ideologie è oggi l’empirismo continuato della società che evolve”.

Ci rimangono insomma “i resti” della grandezza e della virtù di un tempo che riflettono una società sconnessa e a bassa autopropulsione.

A perdersi è il gusto del rischio, ma il “dramma” è che mentre nella nostra storia la povertà ci ha reso pro-attivi e visionari, oggi siamo vittime dell’agiatezza che ci rende apatici e statici, è “l’Italia dello zero virgola” in cui le variazioni congiunturali degli indicatori economici sono ancora minime, continua a gonfiarsi la bolla del risparmio cautelativo avendo paura del futuro e avendo perso la capacità di sfidarlo e così la casa torna a essere il bene rifugio come sembra segnalare il boom delle richieste di mutui (+94,3% a gennaio-ottobre 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014) e si diffonde la propensione a mettere a reddito il patrimonio immobiliare con 560.000 italiani che dichiarano di aver gestito una struttura ricettiva per turisti, come case vacanza o bed&breakfast, generando un fatturato stimabile in circa 6 miliardi di euro, in gran parte sommerso e dettato anche dalla richiesta di scongelare quote del proprio reddito aspirate dalla fiscalità come dimostra il fatto che oltre la metà degli italiani (55,3%) vuole il taglio delle tasse, anche a costo di una riduzione dei servizi pubblici.

In questo quadro di criticità il turismo verso l’Italia rappresenta invece un record positivo e il “Belpaese - e in questo caso non potrebbe essere altrimenti pur impegnandoci il più possibile per valorizzare meno possibile il nostro patrimonio - siamo tra le destinazioni più ambite dagli stranieri con le presenze cresciute del 47,2% tra il 2000 e il 2014.

In realtà però ancora per 5 milioni di famiglie i conti non tornano e non riescono a coprire le spese con il proprio reddito e anche se ripartono i consumi, si riapre e continua a crescere la forbice sociale. Si intravede qualche dato incoraggiante e per la prima volta dall’inizio della crisi, il rapporto registra un numero maggiore di famiglie italiane che nell’ultimo anno hanno aumentato la propria capacità di spesa rispetto a quelle che l’hanno diminuita (25,6% contro il 21,3%) così come aumenta la propensione all’acquisto di beni durevoli nonostante le incertezze sul futuro.

Andando alle raccomandazioni e alle visioni per il futuro proposte dal rapporto, la piattaforma di ripartenza del Paese deve essere l’ibridazione, oggi necessaria di settori e competenze tradizionali perché il confronto è con la globalità, sempre più profondamente modificato dall’abbattimento delle barriere e dei costi di ingresso anche grazie al digitale.

La dimostrazione pratica è nella stessa esperienza di chi negli anni delle ristrettezze interne “ha vinto ogni pulsione protezionista o di pura trincea, ed è andato verso l’esterno assumendosene i rischi e accettando le sfide, adesso incassa il dividendo di tale scelta” e le nostre esportazioni valgono il 29,6% del Pil e nonostante il contraccolpo causato dalla crisi dei mercati emergenti, hanno continuato a crescere anche negli anni della crisi e nei primi nove mesi dell’anno segnano un +4,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il contributo dell’export sul PIL era del 25,6% nel 2000, ma era sceso fino al 22,5% nel 2009.

A vincere sui mercati internazionali sono non solo i settori tradizionali, come nel caso della meccanica (surplus di 50,2 miliardi di euro nel 2014) o il boom dell’export nell’agroalimentare (+6,2% nei primi otto mesi del 2015) e la riconquista della leadership nel mercato mondiale del vino (con oltre 3 miliardi di export) o ancora abbigliamento (+1,4%), pelletteria (+4,5%), mobili (+6,3%), gioielli (+11,8%); ma anche quello che rappresenta un settore trasversale, ovvero quello creativo-culturale, con 43 miliardi di esportazioni.

Le imprese esportatrici di beni sono attualmente circa 212.000 a livello strutturale va segnalata la scarsa incidenza, in termini di valore esportato, della pur massiccia partecipazione delle microimprese. La maggior parte degli operatori (64,2%) si addensa nella classe più bassa di valore esportato (sotto i 75.000 euro) ovvero sono necessari circa 136.000 esportatori per determinare un valore dell’export inferiore a 2,4 miliardi di euro, praticamente nulla rispetto al valore totale delle esportazioni italiane (0,6% e in media poco meno di 17.000 euro ad esportatore). I grandi esportatori, sono solamente lo 0,5% del totale (961 soggetti) e da soli realizzano quasi la metà dell’export italiano (circa 191 miliardi di euro). Un altro limite emerge in merito alla ristrettezza delle destinazioni per le nostre esportazioni con oltre 91.000 soggetti che hanno come riferimento un solo Paese mentre sono poco più di 4.300 le aziende che capaci di essere realmente globali e che vendono i loro prodotti e servizi in più di 40 Paesi esteri, realizzando infatti il 43% circa del fatturato italiano all’estero.

I limiti strutturali del nostro sistema imprenditoriale in termini dimensionali sono noti, ma probabilmente le precisazioni del Censis cercano di ridimensionare la forse eccessiva enfasi data ai numeri relativi alle attività internazionali delle nostre imprese. Di sicuro invece è proprio nei casi di successo che si intravede la soluzione, quella che servirebbe al sistema intero e che passa da una rinnovata ibridazione di settori e competenze tradizionali capace di dar vita a un nuovo stile italiano che va a trasformare i settori tradizionali in un’ottica di sempre maggiore integrazione tra territorio, prodotto e tradizione che si sostanzia nel racconto dell’essenza del Made in Italy. Questo avviene nel design e nella moda, ma oggi -anche grazie alla grande vetrina di Expo Milano 2015 - il successo della gastronomia italiana ha agganciato lo sviluppo della filiera agroalimentare, collegandola anche al turismo e alla valorizzazione delle bellezze paesaggistiche e culturali del Paese, proprio attraverso il contributo dato dall’ibridazione con piattaforme digitali, imprescindibile per poter contare su un’utenza globale.

In conclusione a me risuonano in testa alcuni versi di “Libera nos domine” di Francesco Guccini, un appello divino da - nella migliore delle ipotesi - una prospettiva laica in un momento storico, la canzone è stata scritta nel 1978, che eufemisticamente potremmo definire così, così:

“Dai poveri di spirito e dagli intolleranti,
da falsi intellettuali, giornalisti ignoranti,
da eroi, navigatori, profeti, vati, santi,
dai sicuri di sé, presuntuosi e arroganti,
dal cinismo di molti, dalle voglie di tanti,
dall’egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti,
libera, libera, libera, libera nos Domine!”

Anche oggi diciamo che il momento storico è abbastanza critico e criptico o forse troppo chiaro, non si capisce o non si vuole capire, quel che è certo è che tutti noi per risvegliarci dal letargo dobbiamo riprendere fiducia nei nostri mezzi e ricominciare ad affrontare il futuro, invece di attenderlo e bisogna essere capaci di uscire da quel guscio di agiatezza frustrante che potrebbe rimanere travolto dalla nostra stessa staticità.

Tutti dovremmo pensare e pensarci un po’ di più piuttosto che attendere passivamente la manna dal cielo e forse, invece di concentrarsi sui risvolti dei calzini, sarebbe più opportuno pensare a quelli della nostra società, anche perchè tra le pieghe della pigrizia e della disillusione, per fortuna ancora esiste e resiste la fiammella di quel “geniaccio italiano” e il “resto” da considerare e al quale dar peso è quello rappresentato da quei singoli che si interrogano e si applicano per rinvigorirlo e rivitalizzarlo, capaci di andare ben oltre la visione dell’interesse personale e gettando le basi per una rinascita da troppo tempo attesa.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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