Secondo Confindustria la crescita del Pil per il 2018 sarà pari a +1,3%, in calo rispetto al +1,5% stimato a dicembre 2017 a causa di diversi fattori fra cui guerre commerciali, tensioni geopolitiche ed instabilità dei mercati finanziari dei Paesi in via di sviluppo. E’ quindi plausibile che l’Europa chieda al Belpaese una manovra correttiva da 9 miliardi di euro nel 2018 e di quasi 11 miliardi per l’anno prossimo. Alla luce di questi dati, il Centro studi di Confindustria suggerisce di muoversi lungo quattro direttrici principali.

L’Italia cresce ma non abbastanza e rischia una manovra correttiva. Questo è ciò che si evince dal Rapporto “Dove va l’economia italiana e una proposta per l’Eurozona” presentato lo scorso 27 giugno presso il Centro studi di Confindustria (CsC) da Andrea Montanino, il Direttore del Centro Studi Confindustria. Durante l’evento, hanno preso parte anche Marco Buti, Direttore Generale DG Economic and Financial Affairs della Commissione Europea, Carlo Cottarelli, il Direttore Osservatorio Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Fabrizio Saccomanni, Presidente del Consiglio di Amministrazione Unicredit. Il convegno è terminato con l’intervento di Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria.

Il Centro studi di Confindustria prevede un rallentamento dell’economia italiana nel biennio 2018-2019. Il tasso di crescita del Pil è previsto quest’anno all’1,3% (in rallentamento di uno 0,2% rispetto alla precedente stima) e dovrebbe decelerare ulteriormente all’1,1% nel 2019 (dal +1,2%). Si tratterebbe di un tasso di crescita nel biennio inferiore a quello previsto nello scenario incluso nell’ultimo DEF (Documento di Economia e Finanza) pari a +1,5% e +1,4%.

Dunque, la crescita, ha evidenziato il CsC nel rapporto, si presenta più debole del previsto. A frenare l’economia italiana ci sono molti fattori, tra questi:
- rallentamento degli scambi a livello globale;
- dazi Usa;
- incremento dell’instabilità geopolitica;
- turbolenze sui mercati finanziari di alcuni Paesi emergenti;
- faticoso avvio della nuova legislatura italiana;
- calo dell’export italiano e degli investimenti privati.

Ad alimentare l’incertezza internazionale, sicuramente ci sono le nuove politiche protezionistiche degli Stati Uniti e le tensioni geopolitiche (in particolare l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare con l’Iran) che stanno influenzando in negativo gli scambi mondiali e rallentando l’export italiano.

Infatti dal Rapporto si può osservare che le esportazioni cresceranno meno della domanda mondiale nel 2018 per la prima volta dal 2013.

I trend dell’occupazione

Il Rapporto ha analizzato anche i trend dell’occupazione constatando che “il mercato del lavoro italiano non è più tonico come prima: la risalita dell’occupazione ha perso slancio e quella dipendente torna a essere trainata dal temporaneo“. La ripresa occupazionale prosegue ma con un’intensità inferiore rispetto all’aumento del Pil e quindi inferiore all’1,0% sia nel 2018 che nel prossimo anno.
Dal Rapporto si può osservare come lo scorso anno e nei primi cinque mesi del 2018 il lavoro a tempo indeterminato abbia subito una significativa battuta d’arresto, mentre quello a termine ha registrato un’impennata, trainando la risalita dell’occupazione dipendente.

Il deficit pubblico

Il deficit pubblico resta su un sentiero di lenta discesa, dal 2,3% del Pil nel 2017 all’1,9% quest’anno e all’1,4% nel prossimo, incorporando l’annullamento delle clausole di salvaguardia, compensato da un aumento delle imposte dirette e di quelle in conto capitale. E il rapporto debito pubblico/Pil è in leggera diminuzione al 131,6% nel 2018 (dal 131,8% del 2017) e al 130,7% nel 2019. Si tratta di un livello “ancora molto alto, frutto anche del risanamento solo parziale dei conti pubblici avvenuto negli ultimi tre anni di ripresa economica”, evidenzia il CsC.

Tra il 2014 e il 2017 l’Italia è stato uno dei pochi Paesi europei che non è stato in grado di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil e per questo oggi rischia di dover affrontare il rallentamento dell’economia globale e nazionale senza aver messo in piena sicurezza i conti pubblici.

Nel definire la politica economica in vista della Legge di Bilancio, va evidenziato che gli spazi di manovra per l’Italia concessi dalle regole europee sono molto limitati. Al contrario, con i numeri presentati nel Def, quest’anno è molto probabile che il Paese non riesca a rispettare il Patto di Stabilità e Crescita ed è plausibile la richiesta di una manovra correttiva in corso d’anno.

Nello scenario previsto dal CsC, peggiore di quello del DEF, la correzione richiesta quest’anno sarebbe di 0,5 punti di Pil, pari a 9 miliardi di euro. Nel 2019 dovrebbe essere di 0,6 punti, quasi 11 miliardi, poco meno di quanto entrerebbe dall’attivazione della clausola di salvaguardia. Nello scenario previsto nel DEF, se si dovesse rispettare pienamente il percorso verso il pareggio di bilancio, per il 2018 sarebbe necessaria una correzione strutturale dei conti pubblici di 0,2 punti di Pil (circa 3,5 miliardi di euro) in corso d’anno, che farebbe scendere il deficit all’1,4% del Pil.

Infatti, secondo le regole, la correzione sarebbe dovuta essere di 0,6 punti di Pil e la Commissione Europea aveva accettato a fine 2017 che scendesse a 0,3 punti; ma nel DEF di aprile scorso la riduzione del saldo strutturale è di soli 0,1 punti di Pil. “Non ci sono molti margini, anche perché negli anni passati il percorso di risanamento è stato debole, a differenza della gran parte dei Paesi europei“, commenta il CsC.

È stata chiesta, e ottenuta, molta flessibilità dall’Europa (quasi 30 miliardi) e le clausole di salvaguardia sono state disinnescate per tre quarti in deficit, ma il debito pubblico non è calato. Molto dipenderà dalle scelte di politica economica che adotterà il Governo riguardo la clausola di salvaguardia, l’attuazione di alcune misure espansive indicate nella risoluzione al Def e nel Contratto di governo e l’intenzione di rispettare i vincoli di bilancio.

È evidente come l’Italia rappresenti oggi un rischio per l’intera Eurozona. L’aumento dello spread rispetto ai titoli tedeschi ha avuto infatti conseguenze anche negli altri Paesi del sud Europa. Lo spread tra il rendimento sovrano dell’Italia e quello della Germania è rientrato a metà giugno sotto i 220 punti base (pb) sui titoli decennali, da un picco di 283 a fine maggio. Resta, comunque, di circa 80 punti più elevato rispetto ai valori medi registrati nei primi 4 mesi del 2018. L’ampliamento dello spread italiano a maggio ha trascinato al rialzo anche quelli dei paesi europei della cosiddetta “periferia” (come il Portogallo e la Grecia). Perciò, con l’aumento dei tassi di interessi, si rende più difficile l’accesso al credito per aziende italiane, rendendole così meno competitive rispetto a quelle straniere.

La carota e il bastone

Analizzando i risultati ottenuti dal Rapporto, il presidente Vincenzo Boccia ha dichiarato che “serve un’Europa diversa e un’Italia forte in una Europa forte. Significa un’Italia non divisiva, che lavori per l’interesse di tutti. Che sappia mettere al centro giovani, crescita, occupazione e che sappia costruire, nel rispetto del dialogo, un recupero del senso di comunità”. Da queste parole ha proposto “una maggior integrazione ben bilanciata tra carota e bastone”.

Sono quattro le principali direttrici che propone il CsC:

- Chiudere i cantieri aperti, a partire dal completamento dell’Unione bancaria e di quella dei capitali;
- Creare uno strumento europeo di stabilizzazione, complementare a quelli nazionali, che finanzi o co-finanzi investimenti e/o sussidi di disoccupazione, a fronte di shock economici negativi che colpiscono uno o più Paesi membri, fondato su un nuovo bilancio europeo;
- Finanziare un grande piano europeo d’investimenti in infrastrutture, ricerca e sviluppo, formazione;
- Rafforzare la funzione di salvataggio dei Paesi in crisi potenziando il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) con la trasformazione in Fondo Monetario Europeo (FME).

In conclusione l’Italia necessita di una proposta che consenta al Paese di tornare competitiva nel mercato globale aumentando strutturalmente il tasso di crescita della propria economia. L’alternativa è bassa crescita di Pil ed occupazione ma soprattutto elevata vulnerabilità dinanzi ad eventuali nuovi shock esterni che rigetterebbero il Belpaese nel caos e che farebbero rapidamente tornare lo spettro del default sulla Penisola.

Fonte: a cura di Exportiamo, Giancarlo Cabillon, redazione@exportiamo.it

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