Nei processi di internazionalizzazione il digitale assume sempre più importanza, sia quando si tratti di condurre studi ed analisi nella scelta dei mercati più idonei all’impresa esportatrice, sia come veicolo di vendita diretta (ecommerce). È la fine delle tradizionali strategie basate sulla presenza ed il contatto fisico con gli stakeholders di un mercato, o vi è ancora spazio per la tradizionale “stretta di mano”?

In un mondo sempre più digitalizzato un’impresa che desideri impostare un processo di internazionalizzazione ha il compito di utilizzare tutti gli strumenti più idonei per raggiungere gli obiettivi prefissati. Se in molti casi la presenza fisica su un mercato tramite attività tradizionali e collaudate sia di promozione (fiere, eventi, demo in store, presentazioni, etc.) che di vendita continuano ad essere privilegiate da parte di molte imprese, non si può prescindere dal supporto che gli strumenti digitali possono offrire a tutto il processo per renderlo più sicuro e veloce.

È pertanto sul sapiente mix delle attività off-line ed on-line, che si può determinare il successo o meno di un progetto oltre confine. L’Export Manager è chiamato ad uno sforzo ulteriore rispetto al passato, perché deve avere una conoscenza degli strumenti digitali soprattutto quelli di analisi in grado di guidarlo al meglio verso i mercati esteri migliori per l’azienda che rappresenta.

Non c’è quindi una contrapposizione tra le due strategie, anzi l’una è di supporto all’altra ed entrambe possono coesistere per permettere di raggiungere gli obiettivi con maggiore efficacia ed efficienza in tutte le fasi del processo di internazionalizzazione. Il vero problema è che molte imprese italiane non sono sufficientemente digitalizzate e sebbene il nostro sia ancora il secondo Paese manifatturiero in Europa dopo la Germania, è solo agli ultimi per conoscenza ed utilizzo degli strumenti digitali (Fonte: Ocse Skills Outlook).

Nel 2020 questa discrasia risulta essere particolarmente grave e pericolosa perché significa per molte imprese non saper dove, come e cosa proporre nei mercati internazionali più appetibili. Tecnologie come l’Internet of things, l’intelligenza artificiale, la robotica, la realtà aumentata o la blockchain presentano un immenso potenziale per rafforzare la produttività e il benessere, ma possono anche ampliare le disparità ed aumentare il gap soprattutto nei confronti dei nostri diretti competitors o peggio ancora verso gli operatori economici nei mercati di destinazione del nostro export.

La questione non è se utilizzare o meno gli strumenti digitali ma dotarsi di quelle conoscenze tecniche in grado di applicarli in modo sapiente e profittevole per aumentare i margini e razionalizzare le risorse. Pochissime imprese hanno al proprio interno la figura del Chief Digital Officer altre non sentono nemmeno l’esigenza di avere un Data Analyst. Ed invece questi ruoli dovrebbero essere centrali e ben ricoperti soprattutto da quelle imprese che abitualmente si interfacciano con i mercati internazionali.

Per evitare di affidarsi alla casualità degli eventi o a lunghe ed a volte farraginose e costose trattative commerciali che l’off-line correttamente genera, è opportuno vagliare digitalmente i mercati selezionando quelli dove le performances possono essere più facilmente raggiunte e gli interlocutori individuati a priori magari prima di un evento fieristico.

Gli strumenti offerti dal digitale sono molteplici e nella sezione digital export del nostro portale sono trattati in appositi articoli di approfondimento alla cui lettura e trattazione si rimanda.

Si vuole semplicemente suggerire come ad esempio, nell’organizzazione di una fiera internazionale (attività tipicamente off-line), si possano utilizzare strumenti di digitalizzazione per renderla maggiormente fruttuosa e ricca di opportunità. Premettendo che l’organizzazione di una fiera inizia molti mesi prima della data prevista per il suo svolgimento (e non solo per l’allestimento), si potrebbe pensare di utilizzare il digitale per stimolare potenziali interlocutori come importatori, distributori, e/o agenti ad entrare in contatto anticipatamente con l’impresa esportatrice tramite: call to action e moduli di contatto previsti nell’area blog o in altre sezioni del sito (comunemente definito Inbound Marketing).

Attraverso apposite campagne sui social (facebook, linkedin, etc.), indicizzate al mercato geografico di interesse così come ad uno specifico target di utenti professionali, si potrebbero promuovere i propri prodotti e/o servizi invitando l’interlocutore a scaricare un catalogo o una presentazione aziendale o a prendere direttamente un appuntamento durante i giorni della fiera. In questo modo si potrebbe creare un database ex-novo, da alimentare e filtrare nelle edizioni successive, e cosa ancora più importante, prima dell’inizio della fiera stessa. Si eviterebbe di arrivare all’appuntamento promozionale affidandosi solo alla casualità degli incontri che si generano fisiologicamente nei giorni di un evento fieristico. Al termine della manifestazione a cui si è partecipati come esibitori, si potrebbe integrare il CRM con i dati acquisiti off-line ed organizzare le attività di follow-up verso tutti i contatti post fiera che dureranno nei mesi successivi.

Molto spesso le imprese giungono impreparate all’appuntamento fieristico sperando (come in parte è giusto che sia) di riuscire ad intercettare il cliente ideale tramite la posizione, la bellezza del proprio stand o l’appeal del proprio brand.

Insomma l’atteggiamento è quello tipico della Pull Strategy (qualcuno verrà da me) che impegna di meno rispetto ad una strategia più Push (sono io che cerco qualcuno) ma produce anche minori risultati.

All’Export Manager (con poteri operativi e strategici, nonché con adeguato budget) è demandato l’arduo compito di migliorare i processi aziendali e di renderli più dinamici nello scouting di opportunità e nel generare business profittevoli.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Alessio Gambino, redazione@exportiamo.it

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