La pandemia in corso ha portato ancora di più alla ribalta il ruolo della Cina a livello mondiale, tema che già prima appariva al centro dell’attenzione ma che oggi sembra ancora più importante viste le sue implicazioni nella ridefinizione del nuovo ordine politico ed economico globale.

Il Paese del Dragone continua a sorprendere e a distinguersi dalle altre economie per via della sua rapidissima ripresa economica post-Covid. Difatti, come ha recentemente stimato il FMI, la Cina è l’unico Paese in crescita nell’anno in corso (+1,9% secondo le stime di ottobre) e sta risentendo meno delle ormai sature economie occidentali o filo-occidentali degli effetti della crisi.

Non è, quello sul Pil, l’unico segnale di forza dell’economia asiatica. Altri indizi arrivano infatti dalla conferma della forte ripresa della produzione industriale, che a settembre è cresciuta per il sesto mese consecutivo totalizzando il risultato migliore registrato quest’anno, ad un ritmo del 6,9% su base annua, al di sopra del 5,8% atteso dagli analisti. Questa, insieme allo stop della pandemia, ha permesso agli investimenti fissi di registrare una prima ripresa dopo il calo del 1,6% del periodo gennaio-luglio.

Incoraggianti anche i dati dei consumi interni: dopo il crollo superiore al 20% di gennaio, le vendite al dettaglio sono cresciute del 3,3% a settembre, superando le aspettative di un +1,8%, e registrando un segno positivo per il secondo mese consecutivo, dopo il +0,5% di agosto scorso.

Per incentivare ulteriormente la ripresa, la Banca Centrale Cinese (Pboc) ha adottato una prudente risposta monetaria, iniettando nel sistema 600 milioni di yuan tramite strumenti di prestito a medio termine ed ha mantenuto invariato al 2,95% il tasso Mlf ad un anno.

Nonostante la positività dei dati e le vincenti scelte di politica economica, monetaria e di strategia politica, molti analisti mettono tuttavia in risalto la possibile crisi del debito, con una esposizione pubblica e privata arrivata al 335% del PIL nel secondo trimestre. Lo stato emergenziale ha portato infatti ad un deterioramento del debito degli enti locali cinesi (ormai quasi il 20% del PIL). Il suo ammontare, nonché la sua gestione –soprattutto in alcune provincie sottosviluppate- potrebbe essere un problema secondo Jin Liqun, presidente dell’Asia Infrastructural Investment Bank (AiiB). Il debito dei governi locali si potrebbe trasferire non solo agli enti pubblici ma anche alle grandi imprese private o veicoli finanziari portando ad un downgrade generale del debito cinese. Tuttavia, secondo Thomas Orlik (Chief Economist di Bloomberg Economics), pur esistendo una bolla del debito in Cina, questa non dovrebbe esplodere visto che la sua base di liquidità è molto stabile e data la volontà del governo di affrontarla prima che esploda.

Tuttavia, la decisa ripresa economica della Cina non è ascrivibile solamente alla sua forte vocazione manifatturiera e alla sua integrazione nella catene del valore globali, ma ha molto a che vedere anche con il suo “autosostentamento, ribadito anche dal 14° piano di sviluppo cinese 2021-2025 presentato la scorsa settimana.

L’invecchiamento della società cinese, l’aumento del protezionismo, lo scontro tecnologico con gli Stati Uniti e la crisi del Covid-19 hanno infatti reso necessario definire nuove basi per la crescita della Cina.

Il tema centrale è la cosiddetta “strategia di doppia circolazione” che promuove un ruolo più forte della domanda interna nel guidare la crescita e, allo stesso tempo, non chiude la porta agli scambi internazionali ma intende attrarre investimenti e tecnologia dall’estero aprendo ulteriormente i mercati finanziari e l’accesso al mondo delle imprese.

Questa voluta doppia circolazione, che fa tendere il centro di gravità dell’economia cinese sul mercato interno -consentendo ai mercati interni ed esterno di rafforzarsi a vicenda- tenderà ad aumentare sempre di più, rendendo la Cina probabilmente più forte.

Questa nuova strategia di autonomia industriale potrebbe avere ripercussioni negative sui partner commerciali. Secondo Heuler Hermes, l’Eurozona dovrebbe contenere l’effetto attorno allo 0,9%. L’Italia, che potrebbe subire perdite fine all’1% del Pil, è in linea con la media dei partner comunitari, dove si va dallo 0,3% di perdite tedesche all’1,9% della Slovacchia o all’1,8% dell’Irlanda. Le ricadute per la penisola si avrebbero in particolare su macchinari, costruzioni e agroalimentare.

Di contro, sempre secondo Euler Hermes, le perdite potrebbero essere bilanciate da una politica di investimenti diretti cinesi nelle economie che dimostrano un maggiore tasso di innovazione.

E d’altronde, come sostenuto da Carlo Filippini, professore emerito di Economia all’Università Bocconi di Milano, grazie alla sua ampia integrazione commerciale con gli altri mercati mondiali ed il suo ruolo cardine nella comunità economica globale, la ripresa della Cina potrebbe addirittura fungere da driver per il rilancio economico di tutto il mondo.

Inoltre, come evidenziato da Javier Noriega, Chief Economist della banca di investimento Hildebrandt & Ferrar, così come la portata della crisi è stata amplificata dalla profonda interconnessione tra i Paesi, allo stesso modo proprio un rafforzamento di questi legami potrebbe determinare la ripresa economica mondiale.

In conclusione, ci sono tutti i presupposti perché la Cina diventi il polo più importante dell’economia mondiale, anche se bisognerà fare attenzione alla qualità della crescita, evitando di finanziare inefficienze e di superare soglie pericolose di debito.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Gianluca Totaro, redazione@exportiamo.it

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