Russia, un'economia chiave per tutta l'UE

Russia, un'economia chiave per tutta l'UE

01 Maggio 2017 Categoria: Focus Paese Paese:  Russia

Un Paese ricco ma controverso, un’economia troppo dipendente dall’andamento dei prezzi del petrolio ma con un enorme potenziale di crescita. La Russia rimane quindi un importante mercato di sbocco per il Made in Italy e per tutta l’Unione Europea.

Ricchissima di materie prime (minerali, petrolio, legname), nel panorama internazionale la Russia è un esportatore chiave di commodities: nel 2015 il 60% dell’export russo infatti consiste in combustibili fossili (più precisamente 28% greggio, 18% petrolio raffinato, 8% gas naturale, 3,3% carbone) e contando anche i metalli (minerali grezzi e semilavorati) si arriva addirittura al 72% delle esportazioni totali.

Di conseguenza non deve sorprendere che i destini dell’economia russa siano stati (e siano ancora) fortemente influenzati dall’andamento dei prezzi internazionali delle commodities: la trasformazione della Russia in un’economia di reddito medio è infatti coincisa con il boom del prezzo delle materie prime fra seconda metà degli anni 2000 ed il 2008; e allo stesso modo la recente stagnazione del PIL va letta anche alla luce della recente petrolifera del 2014-2016.

Tuttavia, in uno studio del 2016, la Banca Mondiale valuta il crollo dei prezzi del petrolio come un possibile stimolo verso la diversificazione dell’economia del Paese. Gli alti prezzi dell’oro nero infatti hanno tradizionalmente sospinto la maggioranza degli investimenti verso le attività legate all’estrazione ma le recenti instabilità, se accompagnate da opportune riforme atte a facilitare gli investimenti privati, potrebbero dare slancio a diversi settori industriali (petrolchimico, agrotrasformazione) nei quali la Russia ha un vantaggio competitivo rivelato inaspettatamente alto.

A questo proposito non va neanche sottovalutato il potenziale russo a livello di produzione ed esportazione di servizi: sempre la Banca Mondiale calcola che dal 2000 in poi la vendita all’estero di servizi non solo è cresciuta a ritmi più sostenuti di quelle dei beni ma ha anche retto meglio l’urto della crisi del 2008. Negli ultimi 25 anni poi, gli scenari produttivi sono mutati: se nel 1994 quelli legati al commercio erano il 90% dell’export nazionale di servizi, oggi gli scenari si rivelano molto più sofisticati, con una quota di esportazioni crescente per trasporti, telecom, informatica e settore finanziario.

Va ricordato che a rendere vulnerabile l’economia russa non è solo la dipendenza dal petrolio ma anche le tensioni politiche, specie con la vicina Europa. In particolare il 2014 è stato un anno nero per la Russia: con la crisi petrolifera sullo sfondo, il sostegno fornito da Mosca ai separatisti della Crimea ha innescato la pronta reazione fra gli altri di Usa ed Unione Europea, che hanno adottato sanzioni relative al settore Oil&gas, al commercio di armi, allo scambio di alcuni titoli finanziari e al congelamento di asset di personalità e compagnie chiave nell’economia russa.

I danni sull’economia nazionale (amplificati dalle controsanzioni del Cremlino su molte importazioni, in prevalenza agroalimentare) sono stati pesanti: nel 2015 il PIL russo ha avuto un picco calante del -3,7%, che ha continuato a decrescere nel 2016 (-0,2%) e le previsioni della Banca Mondiale indicano per il prossimo triennio tassi di crescita inferiori all’1%. Sebbene le controsanzioni abbiano ammortizzato gli effetti sul saldo commerciale del Paese, è chiaro che rappresentano un forte freno alla crescita, se non altro perché inaspriscono i rapporti con un partner commerciale cruciale per la Russia, ovvero l’Unione Europea.

Metà degli scambi russi sia in ingresso che in uscita avvengono con i Paesi dell’Unione, e fra questi l’Italia, che sul mercato russo ha una quota mondiale del 4,2%. Va osservato come le controsanzioni russe non hanno attaccato direttamente le esportazioni italiane (rispetto ad altri Paesi la nostra composizione merceologica è rimasta sostanzialmente invariata, con meccanica, farmaceutico e automotive a fare la parte dei leoni e con quote dignitose dedicate a tessile e altre categorie di beni di consumo) anche se si è verificato un calo non trascurabile dell’interscambio fra Roma e Mosca fatto che dimostra come il benessere e l’apertura economica della Russia restino cruciali per il Belpaese.

L’OECD stima che dopo l’annus terribilis del 2014 la Russia è stata praticamente l’unico Paese a vedere un calo della spesa domestica finale di quasi 10 punti percentuali e ad assistere ad una picchiata della fiducia dei consumatori (il Consumer Confidence Index dell’OECD è calato del 5,6% nel solo periodo fra fra giugno 2014 e febbraio 2015).

Un peccato, dato che la Russia è caratterizzata da una classe di consumatori facili da raggiungere: il 73% dei russi vive in città, il 50% circa si considera membro della classe media, anche se è un numero in calo) e secondo una ricerca Nielson in buona parte dei casi si tratta di consumatori attenti alla qualità (sia per i consumatori di fascia alta alla ricerca di marchi prestigiosi, che per quelli a medio-basso reddito, interessati alla durevolezza dell’oggetto) tendenzialmente fedeli al brand ma anche impulsivi (il 47% degli acquisti sono rivolti al consumo immediato) e curiosi di provare nuovi prodotti.

Nonostante la flessione quindi, il Made in Italy resiste al gelo della congiuntura russa. Ma per poter approfittare pienamente del potenziale offerto dai mercati della Federazione, l’Italia non può che sperare in un miglioramento della situazione macroeconomica interna e in una distensione dei rapporti con l’UE. Quest’ultima non sembra essere un traguardo vicino, dato che nel febbraio 2017 è arrivato riconoscimento provvisorio del Cremlino dei documenti d’identità (inclusi titoli di studi) e delle targhe emessi dalle “Repubbliche del Popolo” nelle regioni del Donetsk e Lugansk, non più sotto il controllo di Kiev, denunciato da molti come prove tecniche di annessione.

E l’atteggiamento generale di Mosca nei confronti della propria politica commerciale (la Russia aderisce dal 2007 al WTO ma fatica a rispettarne le regole, al punto che la Commissione Europea identifica ben 28 ostacoli di cui 10 “gravi” alle importazioni), unito ai sospetti di un’intervento di Mosca nelle campagne elettorali statunitensi ed europee e il perseguimento di una politica aggressiva in Siria fanno pensare che siamo ancora lontani da una soluzione.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it

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