Nonostante si preveda che la crescita ceca abbasserà i propri ritmi nei prossimi anni, Praga continua a dimostrare un’interessante vitalità economica unita ad un diffuso sentiment anti-europeo.

La Repubblica Ceca, come tutta l’economia mondiale, rallenta la sua corsa. Non si tratta però di uno stop preoccupante poiché, come dimostrato dalle previsioni di crescita per il 2019 diffuse recentemente dalla Commissione Europea, il Paese est europeo rimane sopra il tasso di crescita del Pil medio stimato del Vecchio Continente (+2,46%), con un incremento che dovrebbe scendere al +2,9%, dopo il +3,1% registrato nel 2018 e, soprattutto, il +4,5 del 2017.

L’unico fattore che, al momento, sembra poter incidere in modo significativo sul Pil di Praga è il verificarsi di una Brexit senza accordo: secondo gli analisti di Atradius infatti questa ipotesi potrebbe costar caro ai cechi riducendone il Pil del 2019 da un minimo di 0,6 ad un massimo di 0,8 punti percentuali. Tuttavia tale contrazione sarebbe solo temporanea e con effetti evidenti specialmente nel breve termine perché invece “nel medio termine, il ripristino di una crescita dinamica sarebbe favorito da aggiustamenti del tasso di cambio e dallo spostamento della domanda verso il mercato interno”. Al contrario i rischi non sarebbero azzerati nel lungo termine dal momento che “la crescita potrebbe nuovamente rallentare a causa della maggiore chiusura dell’economia”.

La Brexit dunque rappresenta una minaccia per l’economia di Praga che, comunque, deve fare i conti anche con un raffreddamento della crescita Ue e della domanda interna. D’altro canto però i dati relativi alla produzione industriale ceca del 2018 hanno certificato un incremento del 3 per cento rispetto al 2017, facendo registrare la quinta variazione annua consecutiva.

Insomma a Praga e dintorni non se la passano per niente male a tal punto che, secondo il Fmi, nel 2022 il Pil pro capite ceco potrebbe toccare i 37.000 dollari superando quello italiano che invece continua a registrare performance sotto la media e che potrebbe addirittura piombare, nel prossimo futuro, in una nuova preoccupante fase recessiva.

Ad oggi però permangono anche delle zone d’ombra sull’economia ceca che riguardano in particolare il bassissimo tasso di disoccupazione che a gennaio 2019 si è attestato sul 3,3%. Un dato che certifica le forti difficoltà per molte imprese di locali di reperire manodopera e che ha portato il mondo industriale a chiedere a gran voce al governo di rendere più semplici le procedere per assumere lavoratori stranieri, ed in particolare extracomunitari (ucraini), nonostante la ferma opposizione dei sindacati, preoccupati per la possibile evoluzione al ribasso dei salari. Quel che è certo è che tale situazione sta portando il Paese ad aprirsi all’ingresso di forza lavoro straniera con addirittura alcune centinaia di italiani e spagnoli che si sono trasferiti nello stato dell’Est per lavorare.

Un altro fattore di rischio per l’economia nazionale è poi rappresentato dal rapporto fra esportazioni e Pil, superiore al 75%, che rende Praga estremamente vulnerabile rispetto ad un eventuale ridimensionamento delle entrate derivanti dal commercio estero. Tale riduzione potrebbe esser dovuta ad una serie di fattori come: un rapido apprezzamento del tasso di cambio (ad aprile 2017 la Banca centrale del Paese ha abbandonato il tasso di cambio fisso della corona rispetto all’euro), sensibili contrazioni della domanda estera che potrebbero verificarsi in caso di Brexit senza accordo, un’improvvisa escalation delle controversie commerciali internazionali o un ulteriore rallentamento economico nell’area dell’euro.

Nonostante tutto però la situazione del bilancio pubblico è buona e conserva un outlook positivo grazie alla costante crescita dei redditi nazionali che stanno portando i cittadini ad un maggiore rispetto degli obblighi fiscali. La percentuale di debito rispetto al Pil rimane molto contenuta (intorno al 30%) e ciò significa che il Paese avrebbe tutte le carte in regola per poter portare a compimento il processo di adesione all’area euro. Tuttavia la maggior parte dell’opinione pubblica è contraria all’ingresso di Praga nell’Ue, come dimostrato dalle elezioni dell’ottobre 2017 in cui i partiti contrari all’adesione hanno raccolto circa il 60 percento dei consensi.

La solidità della situazione economica non è però accompagnata da un contesto politico altrettanto affidabile visto che il premier miliardario Andrej Babis (patrimonio personale di circa 3,5 miliardi di euro), vincitore dell’ultima tornata elettorale con il 30% dei voti, non possiede una solida maggioranza in parlamento ed anzi è costretto a governare con l’appoggio esterno del partito comunista ceco filorusso. Ciò ha portato a una oggettiva difficoltà di governo palesatasi lo scorso anno quando, per diversi mesi (da gennaio a luglio), l’esecutivo Babis rimase in carica “ad interim” non essendo stato capace di ottenere la fiducia del Parlamento.

Inoltre l’ex ministro delle Finanze è accusato di frode nell’utilizzo di fondi europei (nello specifico 2 milioni di euro) utilizzati per costruire un wellness resort a circa 60 chilometri da Praga. Lo scorso 19 gennaio il Parlamento gli ha tolto l’immunità parlamentare ma, pochi giorni dopo, il 27 gennaio la conferma del capo dello Stato uscente Milos Zeman, alle presidenziali ceche, ha di fatto salvato Babis a cui sarà affidato un nuovo incarico per formare il governo (il 17 gennaio l’esecutivo aveva formalizzato le proprie dimissioni in seguito al fallimento di un voto di fiducia). La più alta carica dello stato ha infatti sempre sostenuto Babis ed ha intenzione di rinnovargli l’incarico anche perché il consenso del discusso primo ministro continua ad essere assai elevato in patria come confermano alcuni sondaggi relativi alle elezioni europee che si terranno a maggio: il suo partito liberale Ano sarebbe infatti in testa con il 32% dei consensi (fonte istituto Kantar).

Opportunità per l’Italia

I rapporti commerciali fra Roma e Praga sono buoni e quello ceco ha rappresentato, nel 2017, il 17esimo mercato di destinazione delle esportazioni Made in Italy, con un ottimo trend di crescita che si è confermato anche nei primi 10 mesi del 2018, in cui v’è stato un avanzamento del 7,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo Sace tale andamento positivo sarà confermato anche negli anni a venire con percentuali di crescita, fino al 2021, che dovrebbero restare vicine al 7% annuo. Sicuramente a giocare un ruolo decisivo nella crescita delle richieste di Made in Italy da parte dei consumatori cechi ci sono l’accresciuto potere d’acquisto medio dei quasi 10,7 milioni di cittadini locali ed il conseguente abbassamento, sotto la soglia del 10%, della fetta di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà.

Infine un ulteriore elemento che, nei prossimi anni, potrebbe giocare a favore di un rafforzamento delle relazioni sull’asse Roma-Praga è il forte orientamento filo-russo ed anti-europeista che sta emergendo nella politica ceca e che potrebbe trovare una sponda nel governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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