Negli ultimi anni si è discusso molto su come le aziende possano sviluppare strategie per sopravvivere in un mercato internazionale sempre più competitivo. La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che per far fronte alla concorrenza globale, le aziende devono indirizzare prodotti e servizi a segmenti specifici e in diversi Paesi. In questo modo le organizzazioni che intendono commercializzare i loro prodotti o servizi oltre confine devono essere sensibili ai fattori culturali di ogni mercato di destinazione. Anche le differenze culturali tra i diversi paesi - o tra le diverse regioni dello stesso paese – pur sembrando piccole, possono, se sottovalutate, portare al fallimento nell’attuazione delle strategie d’internazionalizzazione.

La religione è uno dei fattori che influenza maggiormente le scelte d’acquisto dei consumatori e tra tutte la religione islamica ed i suoi valori prendono parte alle scelte dell’individuo musulmano in ogni singolo aspetto della sua vita. L’Islam, infatti, non è solo una religione, ma uno stile di vita, che fornisce linee guida anche nella conduzione degli affari. Basti pensare alla finanza islamica che da anni si evolve e muta per adattare i principi economici mondiali ad i precetti religiosi.

È proprio per questa ragione che si sente parlare spesso di marketing islamico, ovvero di quel processo di creazione di valore per i clienti appartenenti ad un target culturale specifico che non va in conflitto con i principi della religione islamica.

Il complesso di regole di vita e di comportamento dettato da Dio per la condotta morale, religiosa e giuridica dei suoi fedeli è detta Shari’a (letteralmente strada battuta), le cui sentenze rientrano in cinque categorie (al-aḥkām al-khamsa):

farḍ - obbligatorio
mandūb - consigliato
mubāḥ - neutro, che non implica il giudizio di Dio
makrūh - riprovevole
ḥarām – proibito

Ciò che non è proibito dal Corano è quindi lecito e ricade nella categoria Halal, a cui spesso ci si riferisce nel settore del food and beverage, ma che in realtà più correttamente riferisce a tutti i comportamenti della vita quotidiana e quindi interessa molti settori che vanno da quello farmaceutico e cosmetico fino ad arrivare al turismo.

Perché è importante fare marketing islamico?

Ci sono diverse ragioni per le quali l’interesse verso il marketing islamico è negli ultimi anni aumentato: prima di tutto, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite il 23% della popolazione mondiale è musulmana, e il numero è in costante crescita. Si prevede che nei prossimi due decenni il numero di musulmani aumenterà di circa due volte di più. In secondo luogo, come risultato di una crescita così rapida della popolazione musulmana, ovviamente aumenteranno anche il consumo e la domanda di prodotti Halal.

I paesi MENA rappresentano un’opportunità interessante per le esportazioni e gli investimenti italiani, con previsioni al 2020 molto incoraggianti. Tuttavia, tale potenziale risulta ad oggi non completamente espresso, alla luce di alcuni requisiti che le aziende italiane devono soddisfare per poter penetrare questi mercati strategici. Nonostante i rapporti che l’Italia ha intrattenuto per secoli con i popoli del mediterraneo e le più recenti migrazioni anche di matrice islamica che hanno interessato il Bel Paese siamo ancora lontani da una completa integrazione e conoscenza di questa cultura.

Pertanto, è importante che le aziende possano adottare delle strategie che interagiscano con i clienti musulmani, conformandosi costantemente alla Shari’a, infondendo sicurezza, incorporando moralità e coscienza e abbracciando infine un approccio “orientato al cliente”.
È quindi di fondamentale importanza raggiungere la comunità con strategie di marketing islamico, già adottate da molti Brand internazionali, tra cui Pepsi o Coca Cola, attraverso specifiche campagne dedicate al mese di Ramadan.

Per concludere le strategie marketing dovrebbero concentrarsi sulle pratiche quotidiane per le quali il prodotto può essere rilevante e generare soluzioni che aiutino i musulmani a vivere una vita islamica adeguata, con un approccio Human Centric.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Cristiana Oliva, redazione@exportiamo.it

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