Secondo l’Hávamál, l’antico manuale nordico del vivere la quotidianità in maniera virtuosa:

“Felice é colui che si é meritato lode e reputazione. Ben peggio é quando si dipende dal sentimento altrui.”

Nella realtà globale attuale gli Aiuti Internazionali allo Sviluppo rappresentano per gli Stati  uno strumento per guadagnare sul campo “lode e reputazione” così come, é innegabile, il fatto che spesso per i paesi beneficiari il confine con il “dipendere dal sentimento altrui” sia labile.

Il recente Dossier ISPI “La sfida degli Emerging Donors” rappresenta un’occasione di riflessione utile su un fenomeno parzialmente sottovalutato ma di portata non indifferente sul piano degli equilibri economici e geopolitici, attuali e futuri.

Il ruolo sempre maggiore che gli “Emerging Donors” prepotentemente ma anche naturalmente acquisiscono, favorisce l’affermazione di nuovi metodi e nuovi approcci, slegati dalle vecchie logiche e dettati da interessi e aspirazioni contingenti.

Ad essere in gioco é l’equilibrio tra il “Washington Consensus” e la “tradizione nordica” della “condizionalità” negli aiuti  e il “Bejing Consensus” che sostanzialmente - in una visione più pragmatica e retoricamente non gerarchica - fornisce aiuti e prestiti agevolati ai Paesi in Via di Sviluppo in cambio di risorse energetiche e minerarie.

CHI SONO GLI EMERGING DONORS?

Innanzitutto appare necessario definire le caratteristiche degli Emerging Donors, gli studiosi della Dalberg Global Development Advisors ne individuano 3:

1)Aver acquisito lo status di “Donor Country” negli ultimi 20 anni.
2)Non appartenere o avere recentemente aderito (negli ultimi dieci anni) al Development Asisstance Committee (DAC), l’organo in seno all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OECD) deputato ad analizzare le problematiche inerenti gli aiuti, lo sviluppo e la riduzione della povertà nei Paesi in via di sviluppo, da sempre autodefinitosi “luogo e voce” dei principali paesi donatori del mondo.  
3)Aver ricevuto nel recente passato o tuttora programmi di aiuto e assistenza, essere di conseguenza impegnati nella sfida di far crescere il livello di ricchezza e di benessere della propria popolazione in maniera concreta, sostenibile e duratura.

Individuate queste caratteristiche i tre studiosi - Paul Callan, Jasmin Blak e Andria Thomas – identificano come “Emerging Donors” un gruppo di paesi eterogeneo sul piano economico, sociale e culturale: Arabia Saudita, Brasile, Cina, Emirati Arabi Uniti, India, Polonia, Turchia, Sud Africa, Sud Corea e Ungheria.

Per quanto riguarda invece approccio e metodo nel fornire il loro contributo alla comunità internazionale, si possono osservare queste tendenze/evidenze:

1)Assenza “condizionalità politica”: equiparazione gerarchica tra Donor e Recipient e affermazione principio “South-South Cooperation” rispondendo alla logica dell’impegno comune di sviluppo e prosperità per le popolazioni di Paesi che affrontano sfide comuni sul piano storico, sociale, ambientale ed economico.
2)Approccio Business Oriented: l’aiuto finanziario rappresenta una parte di un più complesso e strutturato intervento di beneficio enfatizzato dallo sviluppo delle infrastrutture e dall’estrazione delle risorse naturali. Si tratta di un discorso ben più ampio del solo profilo finanziario e commerciale che si sostanzia in una cooperazione multidimensionale tesa all’esportazione dei propri modelli di sviluppo, dei propri prodotti e del proprio know-how. 
3)Aiuti low cost e Aiuti non monetari: i programmi di aiuto sono facilmente amministrabili e sono concessi in corrispondenza della precisa esigenza del paese beneficiario, spesso anche in forma non monetaria, attraverso la condivisione di conoscenze e tecnologie.

“Pechino punta a un mondo armonico secondo la formula confuciana della convivenza di una pluralità di entità politiche irriducibilmente eterogenee ma egualmente legittime.” ha dichiarato nel marzo 2013, il Presidente cinese Xi Jinping durante la Conferenza Stampa del V^ Vertice dei Paesi BRICS a Durban. 

In questa affermazione trova sintesi la visione che muove gli Emerging Donors nel relazionarsi al mondo e al contempo la sfida che lanciano al mondo.

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 LA “NEW DEVELOPMENT BANK”

Nell’ultimo lustro gli aiuti provenienti dagli Emerging Donors sono quintuplicati, attestandosi intorno al 7-10% (10-15 miliardi di $) del flusso di Aiuti finanziari globali (ODA) e, secondo le previsioni, entro il 2020 il loro contributo rappresenterà il 20% degli aiuti totali così come si assisterà al calo dei contributi dei Donatori Tradizionali (DAC – Countries).

Il World Investment Report 2014 UNCTAD dedicato quest’anno al tema “Investing in the sustainable development goals: an action plan” si propone di tracciare le direttrici per arrivare a un concreto coinvolgimento delle imprese private nel raggiungimento di una crescita inclusiva e sostenibile, tale da poter sopperire alle risorse che le istituzioni tradizionali non riescono più a garantire. Il rapporto, istantanea dell’andamento dei flussi di Investimenti Diretti Esteri (IDE) sul piano globale, fotografa una realtà che vede i Paesi Emergenti e le Economie in Transizione recitare un ruolo sempre più da protagonisti, rappresentando circa la metà della destinazione degli IDE in entrata e, nel 2013, generando il 39% degli IDE in uscita. (Per un approfondimento, consigliamo la lettura di un nostro precedente articolo).

Non é un caso quindi che gli occhi degli “addetti ai lavori” siano stati puntati quest’estate sul Brasile non per i Mondiali di Calcio che hanno visto trionfare la “Vecchia Europa”, ma perché il 15-16 luglio a Fortaleza, in concomitanza con il “VI^ Vertice dei Paesi BRICS”, é nata la “New Development Bank” (NDB), la banca internazionale per lo sviluppo fondata da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica dando seguito alla decisione assunta durante il già citato Vertice di Durban.

La NDB avrà un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari e conterà su un fondo strategico di capitali di riserva per far fronte a eventuali crisi valutarie e alle pressioni a breve termine sulla liquidità chiamato “Accordo sui Fondi di Riserva” (Contingent Reserve Arrangement - CRA), con un potenziale di 100 miliardi di dollari, al quale gli stati contribuiranno in percentuale alle dimensioni della propria economia.

La nuova istituzione s’impegnerà a fornire prestiti a tassi più bassi del Fondo Monetario Internazionale e in linea di principio sarà anche aperta a possibili partecipazioni esterne.

L’istituto sarà attivo operativamente a partire dal 2016 con sede a Shanghai, mentre a Johannesburg verrà aperta una succursale per la regione africana.

A cambiare nel medio-lungo periodo sarà “la geografia dei centri del potere finanziario”, mettendo il mondo di fronte al fatto che, se ce ne fosse ancora bisogno, la realtà é multipolare e al giorno d’oggi bisogna analizzarla da questa prospettiva.

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LA VIA E’ LA META?

La rivendicazione principale delle economie emergenti é sempre stata la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, puntando l’indice contro il dominio del dollaro americano come valuta negli scambi internazionali. 

Dal 2012, i BRICS hanno avviato iniziative più pragmatiche in ambito finanziario offrendo in un primo momento un finanziamento di 75 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale per contrastare la crisi finanziaria globale in cambio di una riforma che riconoscesse il loro “peso decisionale”, ma non é stata accolta e da qui la scelta di istituzionalizzare il proprio dissenso con la creazione della New Development Bank.

I BRICS possono contare su asset economici e demografici impressionanti: 3 miliardi di abitanti, 18% dell’economia mondiale e l’aver contribuito negli ultimi 10 anni per più della metà alla crescita del PIL mondiale

Sul piano politico é più difficile individuare i BRICS come una forza coesa non solo per le differenze troppo profonde tra loro in termini di sistemi politici, ma anche per le rispettive alleanze.  Nonostante ciò, episodi come le Primavere Arabe, il nucleare in Iran e le turbolenze in Siria hanno messo i BRICS di fronte alla necessità di delineare una più definita agenda politica che vada oltre gli obiettivi economici che fino ad oggi hanno guidato le loro azioni e le loro rivendicazioni. 

Sicuramente la creazione della NDB, nonostante lo scetticismo degli ultimi anni, dimostra la vitalità e la dinamicità dei BRICS che pur con tutte le loro divergenze e contraddizioni hanno un obiettivo comune: lo sviluppo. 

Per molto tempo lo sforzo di questi paesi si concentrerà su come migliorare le condizioni di vita dei loro cittadini e - come abbiamo visto in precedenza – cercheranno di esportare il loro modello di sviluppo, da una prospettiva Win-Win nei paesi bisognosi di finanziamenti, infrastrutture e know-how. 

I dati fotografano questa realtà anche nel registrare il raddoppio degli scambi commerciali Sud/Sud dal 2007 al 2012 arrivando alla cifra record di 340 miliardi di dollari.

A dimostrazione di questa nuova consapevolezza da parte dei donatori tradizionali, durante il “IV^ High Level Forum on Aid Effectiveness” promosso dall’OECD – DAC, in Corea del Sud, a Busan, dal 29 novembre al 1° dicembre 2011, per la prima volta in un documento ufficiale si delinea un quadro concordato per la cooperazione allo sviluppo che abbraccia i Donatori Tradizionali, i Cooperatori Sud/Sud, i BRICS, le Organizzazioni della Società Civile e i finanziatori privati. 

E’ evidente come non solo tutti gli attori siano alla ricerca di “lode e reputazione” e i sentimenti in campo siano contrastanti e spesso inconciliabili, ma anche che si dovrà trovare una quadratura possibile per affrontare le sfide comuni che attendono l’umanità nel futuro prossimo per garantire una crescita sostenibile e inclusiva. 

Sarà fondamentale anche il coinvolgimento e il supporto delle imprese private, così come la ricerca di un modus vivendi con i grossi fondi sovrani d’investimento, per canalizzare verso fini virtuosi risorse e competenze necessarie.

Le sfide dei Paesi Emergenti possono e devono essere incanalate in un circolo virtuoso e probabilmente le paure di chi vede nella creazione della NDB una sfida all’ordine costituito, sono infondate: i fatti dimostrano come Cina e India siano stati forse i due più grandi beneficiari dell’apertura dei mercati mondiali.

La “concorrenza degli emergenti” probabilmente sarà una spinta verso una maggiore efficienza delle istituzioni finanziarie in toto, piuttosto che l’ennesima lotta tra filosofie economiche alternative.

Superata la fase iniziale quindi si potrebbe assistere a una maggiore collaborazione e a una complementarietà nell’azione delle diverse istituzioni finanziarie internazionali con grossi benefici per la qualità delle azioni messe in campo e per le aziende che saranno pronte a mettere a disposizione il loro know-how.

Ad aumentare é sicuramente il potere negoziale di chi spesso, in passato, dipendeva dal sentimento altrui: questo assolutamente non bisogna dimenticarlo. 

 

Fonte: elaborazione a cura di Exportiamo su dati da il Dossier ISPI “La sfida degli Emerging Donors”.

Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

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