“La prosperità come la pace é indivisibile. Non possiamo permetterci di averla sparsa qua o là tra i fortunati o goderne alle spese degli altri. La povertà, ovunque esista, sta minacciando tutti noi e mina il benessere di ognuno di noi.”

Queste parole potrebbero essere attribuite al portavoce di una qualsiasi ONG impegnata a lottare contro la disparità della condizione umana sul globo terracqueo, così non é . In realtà sono state pronunciate da Henry Morgenthau, Segretario del Tesoro statunitense, durante la Conferenza di Bretton Woods con l’intento ben preciso di far comprendere la necessità di andare oltre i totem della politica di aumento dei redditi, piena occupazione e sicurezza sociale per le economie sviluppate. L’impegno con la storia - nell’interesse di tutti – andava preso nei confronti dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS), favorirne l’integrazione nel commercio internazionale e ciò ha portato all’adozione di misure finalizzate ad espandere lo spazio politico per una industrializzazione guidata dallo stato e per aumentare livello e affidabilità del sostegno finanziario multilaterale ai PVS.

In realtà settanta anni fa, con “l’età della catastrofe” quasi al tramonto, in New Hampshire si progettava la struttura economica internazionale post-bellica che avrebbe dovuto innanzitutto impedire il ripetersi di contagi dannosi come quelli che avevano portato al crollo del commercio e dei pagamenti internazionali dopo la crisi del ’29.

Vent’anni dopo – con il processo di decolonizzazione in atto – per far fronte all’emergere dello scontro Nord-Sud e rendere più effettiva la partecipazione dei PVS nella definizione di regole e dinamiche del commercio internazionale in un sistema multilaterale più inclusivo, fu istituita la United Nations Conference on Trade And Development – UNCTAD che da allora rappresenta l’organo principale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per gli aspetti legati a commercio, investimenti e  sviluppo.

Quest’anno il 50° anniversario dell’UNCTAD coincide con un momento di “depressione” e tutti noi siamo chiamati a nuove sfide tenendo conto degli errori pregressi.

In realtà - come ci ricorda il “Trade and Development Report 2014. Global governance and policy space for development.” - la necessità di conciliare esigenze di sovranità politica a livello nazionale con gli imperativi di un’economia mondiale interdipendente non é un problema nuovo. Da due secoli si esprimono diversi punti di vista e si accendono (e si spengono) dibattiti come quello tra le due guerre deragliato poi nel tempo e non recuperato all’inizio degli anni settanta dopo il crollo del sistema creato a Bretton Woods e sacrificato sull’altare della finanziarizzazione del commercio che ha coinciso con periodi di grandi squilibri, instabilità e disuguaglianze, ancora oggi irrisolte.

Il rapporto pubblicato annualmente dall’UNCTAD in occasione della riunione annuale “Trade and Development Board”, tenutasi a Ginevra dal 15 al 26 settembre scorso, parte dal presupposto che sicuramente é impensabile mettere in dubbio come durante i cinque decenni passati, le nuove tecnologie hanno contribuito a far oltrepassare le frontiere tradizionali tra le nazioni aprendo nuove aree di opportunità economica, e come, nel tempo, un panorama politico meno polarizzato abbia fornito nuove possibilità per un costruttivo impegno internazionale: é lo stesso potere economico oggi ad essere più diffuso soprattutto a causa dell’industrializzazione e della rapida crescita in Asia orientale, con tutte le sue conseguenze.

Tuttavia é altrettanto evidente come il legame tra le evoluzioni tecnologiche, politiche ed economiche e un mondo più prospero, pacifico e sostenibile non sia così automatico. 

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“New Development Agenda”

Nel 2014 l’economia mondiale pur registrando, secondo le stime, una leggera crescita (+2,5-3%) sarà ancora lontana dai livelli pre-crisi e ciò avrà ripercussioni anche sul commercio la cui crescita nei primi mesi del 2014 é inferiore alla produzione globale ed é ormai evidente che far ripartire il commercio non sarà sufficiente per ridare slancio all’economia. La Comunità Internazionale si trova di fronte alla necessità di lanciare un programma di sviluppo ambizioso, un nuovo “New Deal” internazionale che potrà realizzare la promessa di creare “prosperità per tutti”. Secondo il rapporto che é molto critico e al contempo propositivo nei confronti della realtà attuale, ci sono tre sfide principali da affrontare nel definire una “New Development Agenda”:

1)Allineare tutti i nuovi obiettivi a un nuovo paradigma politico che possa contribuire a migliorare la produttività e i redditi pro capite in tutto il mondo; generare un numero sufficiente di posti di lavoro dignitosi facendo incontrare domanda e offerta di forza lavoro su scala globale; garantire un sistema finanziario internazionale stabile in grado di aumentare gli investimenti produttivi e di fornire servizi pubblici affidabili che non lasciano nessuno dietro, in particolare nelle comunità più vulnerabili. E’ necessaria una nuova riflessione piuttosto che continuare a sacralizzare un sistema che non può più funzionare.

2)Lottare contro le diseguaglianze che il “sistema” ha contribuito a creare, non é solo una “questione morale”. L’accresciuta mobilità dei capitali ha ridotto non solo il potere contrattuale del lavoro - amplificando ulteriormente l’impatto negativo distributivo dell’attività finanziaria non regolamentata - ma ha anche reso più difficile tassare direttamente alcuni redditi, aumentando così la dipendenza dello Stato dalle imposte più regressive e dai mercati obbligazionari. Tutto ciò ha un impatto negativo anche sulla legittimità e l’efficacia del processo politico e delle istituzioni stesse. 

3)Garantire strumenti politici ai singoli Paesi per consentire loro di raggiungere gli obiettivi concordati e far avanzare l’agenda dello sviluppo, ripristinando un modello che favorisca l’economia reale sugli interessi finanziari e sia in grado di anteporre la sostenibilità davanti ai guadagni a breve termine.

A venire meno nel tempo é stato proprio lo “Spazio Politico” sempre più compresso ed eroso da impegni sovranazionali quali Accordi Bilaterali, Accordi Regionali sul Commercio (RTAs) o Accordi sugli Investimenti Internazionali (IIAs) che ne limitano fortemente la possibilità di gestire economia e fiscalità.

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Andare oltre le illusioni

In realtà la preoccupazione maggiore per l’UNCTAD é l’illusione e l’accettazione del “new normal” che sembra aver raggiunto il mondo oggi con una realtà caratterizzata da un’apparente stabilizzazione di relativamente bassi tassi di crescita nei differenti gruppi di Paesi e più in generale a essere criticate sono le politiche intraprese a livello macroeconomico in questi anni per combattere la crisi che, partita dalla finanza, ha avuto poi effetti disastrosi sull’economia reale. 

Il problema é nella non coincidenza tra i tempi della politica sempre più veloci e orientati al breve periodo per conquistare e garantire il consenso (…per tutto il resto ci sono i “governi tecnici”) e i tempi necessari per una reale riforma del “sistema” che non può fermarsi a una visione di breve periodo. Naturalmente tutto ciò é anche la conseguenza pratica della mancanza di istituzioni e meccanismi efficaci per un coordinamento internazionale delle politiche e in un’economia globale sempre più interconnessa servono politiche coerenti per il mondo intero per avere gli effetti sperati: ognuno deve dare e saper dare il proprio contributo anche a costo di andare apparentemente contro i propri interessi. 

Ad emergere sempre di più é la perdita della capacità da parte degli Stati di generare ricavi fiscali e di scegliere la propria struttura della tassazione dal momento che in una realtà deregolamentata e con un’ampia mobilità di capitali, questi fuggono dove vengono garantiti profitti maggiori e d’altronde i paradisi fiscali non mancano. La globalizzazione guidata dalla finanza ha innescato una dinamica di “concorrenza al ribasso” sul piano fiscale da parte degli Stati per attrarre Investimenti. 

E’ evidente come senza la capacità di generare ricavi non é possibile programmare e realizzare investimenti a livello nazionale per stimolare la domanda. 

La Comunità internazionale si dovrà quindi impegnare nel futuro prossimo pel garantire una regolamentazione del sistema fiscale internazionale coordinata e razionale e dimostrare di essere in grado di generare un nuovo modello di governance su base inclusiva in grado di saper e poter ponderare equamente tutte le risorse e tutti gli interessi in campo.

“Son dell’umana gente le magnifiche sorti e progressive”?  

Un’unica certezza: é il momento di reagire!

 

Fonte: a cura di Exportiamo, di Antonio Passarelli, redazione@exportiamo.it

 

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