“Rispetto al consumatore italiano, o a quello europeo più in generale, l’israeliano è considerato più aperto e meno fedele a marchi tradizionali”, questo è solo uno dei tanti temi trattati nell’intervista rilasciataci da Massimiliano Guido, Responsabile Ufficio ICE-Agenzia di Tel Aviv, il quale ha tenuto a sottolineare che “la condivisione di valori comuni e la vicinanza geografica tra Italia e Israele, sono senza ombra di dubbio, fattori di estrema importanza che hanno contribuito alla creazione della piattaforma sulla quale operano gli imprenditori dei due Paesi”.

Come sono cambiate nel tempo le relazioni economiche bilaterali fra Italia e Israele?

Le relazioni economiche bilaterali fra Italia e Israele sono cambiate, e in meglio. Sino agli inizi degli anni ‘90, il mercato israeliano era considerato poco significativo per le aziende italiane a causa di fattori quali le dimensioni, i vincoli di natura geo-politica e una scarsa competitività rispetto ai mercati occidentali. Tuttavia, due importanti fenomeni hanno contribuito ad un profondo cambiamento di questa situazione: l’intenso sviluppo dell’industria ad alto contenuto tecnologico (divenuta ormai la forza trainante dell’economia locale con grandi investimenti diretti esteri) e le profonde riforme strutturali volte a liberalizzare il mercato. L’immagine di Israele come un Paese agricolo fondato sul socialismo dei kibbutz è stata quindi sostituita da quella di una nuova Silicon Valley, che vanta un elevatissimo numero di imprese in fase di start-up, sostenute da un flusso crescente di investimenti diretti esteri. Una Silicon Wadi, come è chiamata comunemente (wadi significa valle) che in questi anni è riuscita a consolidare un importante rapporto di collaborazione con l’Italia, grazie all’Accordo intergovernativo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica, entrato in vigore nel 2002 e le continue azioni promosse dalla nostra Ambasciata e dal nostro Uffficio. Negli ambienti imprenditoriali italiani è cresciuta, quindi, la consapevolezza del rilievo assunto dall’high-tech israeliano e delle opportunità che offre, mentre l’Italia è vista come un valido partner nella fase di industrializzazione dei prodotti e delle tecnologie, grazie a diversificazione, flessibilità ed estensione del nostro sistema industriale.

Qual è la percezione dell’Italia e del Made in Italy in Israele?

I prodotti italiani godono di una penetrazione consolidata sul mercato israeliano, grazie all’immagine molto positiva del Made in Italy in termini di qualità, prestigio, design e tecnologia. Inoltre l’Italia, grazie alla vicinanza geografica e culturale, rappresenta per Israele la porta ideale d’accesso verso il mercato UE. Vanno anche ricordate le comuni caratteristiche di propensione all’innovazione e alla flessibilità che derivano dalla forte incidenza di piccole e medie imprese in entrambi i sistemi economici.

Quali sono le categorie merceologiche dei prodotti Made in Italy più apprezzate dalla popolazione locale?

Quando si parla di categorie merceologiche di prodotti Made in Italy particolarmente apprezzati dai consumatori israeliani, si dovrebbe fare una distinzione tra i prodotti collegati al modo di vivere italiano, composto dalle famose tre “F” del Made in Italy (food, fashion, furniture) ed i prodotti che compongono effettivamente le voci di maggior rilievo delle nostre esportazioni verso Israele. Nel tessile-abbigliamento e accessori, così come nell’arredamento e nell’agro-alimentare, sono presenti, infatti, i principali marchi d’eccellenza del nostro Paese, ma questi non rappresentano le più consistenti voci del nostro export verso Israele. L’analisi statistica, rivela, infatti, che i tre settori di punta del nostro export nel 2015, rimangono sempre le macchine e gli apparecchi meccanici, con un totale esportato, secondo le stime dell’Ufficio Centrale di Statistica israeliano, di 673 milioni di dollari, i prodotti chimici ($ 266 mln), veicoli ed attrezzature ad essi associate ($ 243 mln), su un totale complessivo export di 2.5 miliardi di dollari.

Quali sono le tre ragioni principali che dovrebbero spingere un imprenditore italiano a scegliere Israele per fare affari?

Esistono diversi motivi per i quali gli imprenditori italiani dovrebbero considerare Israele come mercato ideale per la promozione del loro business, ma se dovessimo sceglierne tre, dovremmo citare la vicinanza geografica e culturale, l’attitudine all’innovazione e la robustezza del sistema economico. La condivisione di valori comuni e la vicinanza geografica tra Italia e Israele, sono senza ombra di dubbio, fattori di estrema importanza che hanno contribuito alla creazione della piattaforma sulla quale operano gli imprenditori dei due Paesi. Le comuni caratteristiche di dinamicità, flessibilità ed innovazione esistenti nelle due culture, determinano nella stragrande maggioranza dei casi, un rapporto d’intesa, nel quale entrambi le parti si trovano a loro agio nel fare affari insieme. Anche la spinta verso l’innovazione è un fattore che lega i due Paesi e fa sì che Israele rappresenti un partner di grande interesse per le nostre imprese. Israele, infatti, si contraddistingue come uno dei Paesi più avanzati al mondo per quanto riguarda le attività di R&S in diversi settori, con nuove tecnologie applicate sia nei settori dell’high-tech che a quelli tradizionali. Israele è quindi considerato un Paese leader a livello mondiale per lo sviluppo di nuove tecnologie e le strategie del governo locale, collocano questo Paese al primo posto tra quelli che investono di più in ricerca e sviluppo, superando Paesi come Svezia, Finlandia e Giappone, con incentivi alla ricerca e sviluppo che raggiungono circa il 5% sul totale del PIL. L’eco-sistema, ormai consolidato, in cui operano le startup locali, facilita, poi, le possibiltà di fund raising da parte di venture capital locali ed esteri, attraendo investimenti diretti che comprendono attività di M&A.

Per quanto riguarda i rapporti Italia-Israele nella ricerca e nello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico, i due Paesi sono legati da un accordo di cooperazione intergovernativo, entrato in vigore nel 2002 e sempre rifinanziato fino a quest’anno. Nell’ambito di questo accordo, il cui scopo principale è il finanziamento da parte dei governi israeliano e italiano di progetti di ricerca congiunta, vengono anche organizzate ogni anno numerose iniziative quali conferenze, seminari e workshop su varie tematiche di interesse reciproco. A questi eventi partecipano docenti universitari, ricercatori, rappresentanti di imprese e di istituzioni pubbliche e private, che contribuiscono di fatto alla creazione di nuove collaborazioni con rispettivi partner israeliani. Il bando industriale scientifico Italia-Israele del 2017 la cui scadenza sarà il 16.1.2017 ne è una testimonianza.Il terzo motivo per il quale si ritiene che questo mercato sia di particolare interesse per le nostre aziende, risiede nella solidità e nella dinamicità del sistema economico. Se si considera il 2015, infatti, l’economia israeliana ha registrato una crescita del PIL pari al 2,5% (dato superiore alla media dei Paesi OCSE), con flussi IDE in aumento, così come le acquisizioni e gli investimenti in start-up locali. In discesa, invece, il tasso di disoccupazione (5,3%), un deficit pubblico del 2% ed un debito pubblico che si è ridotto nell’ultimo anno fino al 64,9% del PIL. Il tasso di inflazione (-1%), invece, non è dovuto a debolezze interne ma al calo dei prezzi mondiali delle materie prime. A confermare la stabilità dell’economia israeliana, sono le principali società di credit rating internazionali: basti menzionare che a novembre 2016 l’agenzia di rating Fitch ha innalzato il rating di Israele ad da A a A+ con un outlook stabile per futuro, allineandosi cosi alle previsioni di Moody’s e Standard&Poor’s.

Esistono difficoltà di rilievo per chi vuole fare business nel Paese?

Considerate le ridotte dimensioni del mercato interno e la situazione geopolitica, il commercio internazionale gioca un ruolo fondamentale nell’economia del Paese, la cui crescita è fortemente dipendente dalla performance dell’export e dai flussi di beni e servizi in entrata. La diffusione dei prodotti di importazione dall’Unione Europea non incontra qui particolari difficoltà: per quanto riguarda i prodotti alimentari, va considerata l’applicazione delle regole dettate dalla kasherut: molte imprese europee, tra cui le italiane, presenti su questo mercato, hanno tuttavia ottenuto il certificato rabbinico per prodotti identici a quelli venduti nei rispettivi Paesi di provenienza. Va detto, comunque, che i prodotti non kosher sono in genere liberamente importabili. I prodotti kosher sono distribuiti nelle principali catene di supermercati e negli alberghi e ristoranti annessi, anche se negli anni, sono state inaugurate anche catene di distribuzione di prodotti alimentari non-kosher. Nel corso del 2009, inoltre, Israele ed UE hanno raggiunto una nuova intesa commerciale, in vigore dal 2010, che prevede l’abolizione delle tariffe e delle quote su circa 95% dei prodotti alimentari scambiati. In prospettiva, l’accordo è servito a riequilibrare il traffico commerciale nel settore agroalimentare, squilibrato a vantaggio dell’UE, consentendo a diverse aziende di questo Paese di arrivare a competere efficientemente sul mercato europeo attraverso l’abolizione del dazio del 40%. Viceversa, si riscontrano per alcuni prodotti importati di genere alimentare, come formaggi e carne, problematiche di quote e dazi imposti dal governo, legati a regolamentazioni sanitarie e ad una volontà di tutela dell’industria locale, anche se negli ultimi anni Israele sta compiendo consistenti passi in avanti sul versante dell’apertura ai mercati e dell’eliminazione, o a quanto meno, della riduzione di queste barriere al commercio. Un’altra particolarità che emerge, (in particolare nel settore dei materiali elettrici), è legata ad ostacoli tecnici all’importazione di prodotti, attraverso l’imposizione di standard equivalenti ai criteri internazionali. In alcuni casi, per società estere che intendono inserire i loro prodotti sul mercato israeliano, emerge che, oltre agli standard europei, l’Istituto israeliano richieda che i prodotti esteri siano conformi anche ad uno standard locale, che spesso risulta essere più severo è complesso rispetto a quello Europeo con costi maggiori per le imprese italiane.

Quali sono le previsioni di crescita del Paese nel prossimo triennio?

Un’indagine sulle previsioni di crescita del Paese per prossimi anni di fonte Banca Centrale e Ministero delle Finanze israeliano, mostra come la lenta ripresa delle economie sviluppate e l’assenza di una crisi significativa nei mercati dei capitali, dovrebbero favorire la crescita delle esportazioni di Israele, anche se con tassi leggermente inferiori rispetto al reale potenziale di crescita del 3% nel biennio 2017-2018. Anche il PIL dovrebbe registrare dati di crescita leggermente inferiori al 3% nel biennio 2017-2018, (2,7% nel 2017 e 2,8% nel 2018), dati, comunque superiori alla media OCSE. Come negli anni passati, anche nel periodo di previsione considerato, la crescita sarà guidata principalmente dall’aumento nei consumi privati, accanto ad una graduale ripresa degli investimenti. Anche i più generali scenari internazionali influenzeranno l’andamento dell’economia del Paese.

Come descriverebbe la cultura imprenditoriale israeliana?

La cultura imprenditoriale in Israele è molto dinamica e vivace, ed è caratterizzata da un forte spirito di iniziativa che si riscontra in quasi tutti i settori. Questo è dovuto, in gran parte alla relativa chiusura geografica e alle piccole dimensioni del Paese, due fattori che limitano il raggio d’azione degli imprenditori locali e li spingono ad assumere un atteggiamento proattivo che rende fluida e diretta la relazione di business. Un’altra caratteristica importante della cultura d’impresa locale, soprattutto nei settori dell’alta tecnologia, risiede nel fatto che il fallimento viene percepito quasi sempre come fenomeno positivo dal quale si può imparare e migliorare nel futuro. Tentare nuovamente con un nuovo approccio dove non si ha riscosso successo, viene visto, infatti, come parte del processo di studio e spinge a “non mollare” fino a che il successo viene raggiunto. Il dare legittimità al fallimento, differenzia la cultura d’impresa degli israeliani da altre culture dove un risultato negativo viene spesso associato ad una sostanziale inadeguatezza.

Secondo la sua esperienza, quali sono le differenze più evidenti fra consumatori israeliani e consumatori italiani?

L’esperienza del nostro Ufficio sul comportamento dei consumatori israeliani, insegna come essi siano alla ricerca di prodotti nuovi e funzionali, ma non a qualsiasi prezzo, fattore, quest’ultimo, capace di incidere in maniera significativa sulla scelta finale. La maggior parte dei consumatori locali nell’ambito dei beni di consumo preferisce, inoltre, che i nuovi prodotti siano proposti da marchi conosciuti, poichè questo contribuisce ad un senso di sicurezza e familiarità nell’atto di acquisto. Tuttavia, rispetto al consumatore italiano, o a quello europeo più in generale, l’israeliano è considerato più aperto e meno fedele a marchi tradizionali.
Per quanto riguarda, invece, la raccolta di informazioni prima dell’acquisto, le dimensioni del mercato e la sensazione che “in Israele, tutti si conoscano”, contribuiscono a che la maggior parte dei consumatori locali si affidino di più al passaparola rispetto ai consumatori di altri Paesi, oltre, naturalmente, alla consultazione di social media e alla pubblicità sui diversi canali, come accade in tutto il resto del mondo. Per quanto riguarda i beni strumentali, l’utilizzatore israeliano, si documenta e partecipa ogni anno a numerose fiere internazionali in Italia e all’estero. In questa attività l’Ufficio ICE-Agenzia di Tel Aviv ha organizzato, solo nel 2016, 26 missioni di operatori israeliani a fiere italiane e ha svolto attività di consulenza e accompagnamento per quanti hanno deciso di cogliere le opportunità di questo mercato.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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