Turchia, la crisi è alle spalle?

Turchia, la crisi è alle spalle?

17 Dicembre 2018 Categoria: Focus Paese Paese:  Turchia

Se gli ultimi dati disponibili segnalano cospicui progressi per l’economia turca – che sta provando a recuperare almeno parte del proprio appeal agli occhi degli investitori esteri – il rischio di dover affrontare un 2019 molto duro a livello sociale è tutt’altro che azzerato.

Un sospiro di sollievo dagli indicatori economici

Negli ultimi mesi di questo travagliato 2018 la Turchia è tornata a respirare. I miglioramenti coinvolgono alcuni importanti indicatori: in primis il deficit, segnalato in contrazione dai 47 miliardi di euro del 2017 ai 36 previsti per l’anno in corso, indice di un miglior saldo commerciale fra export ed import e di un maggior afflusso di capitali verso Istanbul.

Buone notizie anche dal tasso di cambio fra lira turca e dollaro statunitense, arrivato a ridursi quasi del 50% durante la scorsa estate ed ora tornato su livelli meno drammatici ma comunque non di certo trascurabili dal momento che il deprezzamento della valuta turca rimane corposo, circa il 30%, rispetto all’inizio della tempesta finanziaria.

Infine, per la Turchia, anche il costo di finanziarsi attraverso il mercato azionario è sceso, dal momento che i tassi d’interesse riconosciuti a chi decide d’acquistare bond turchi sono calati rispetto ad agosto: quelli biennali sono passati dal 30,8 al 20,5% mentre la riduzione per quelli decennali è stata decisamente meno evidente, dal 21,5 al 18%.

Ma da cosa è scaturita la crisi finanziaria turca?

Secondo gli esperti è stata la politica monetaria restrittiva a stelle e strisce, che ha prodotto un forte rafforzamento del dollaro, a mettere in seria difficoltà le società private turche, fortemente indebitate in una valuta forte ma capaci di incassare solo in lire turche. Tale evento, unito al fatto che oltre il 20% del debito pubblico turco andrà in scadenza entro luglio 2019, ha scatenato il panico sui mercati finanziari che hanno cominciato a scommettere sull’incapacità di Istanbul di rispettare gli impegni assunti.

La forte avversione fra Trump ed Erdoğan ha fatto con il resto ma, oggi, alcune cose sono cambiate ed Istanbul e Washington sembrano essersi improvvisamente riavvicinate anche grazie alla liberazione di Andrew Brunson, padre evangelico arrestato e detenuto da ottobre 2016 con l’accusa di aver giocato un ruolo importante nel tentato golpe di luglio di due anni fa. Trump infatti si era speso in prima persona contro la detenzione di Brunson (“Sono più spia io di lui”) arrivando a minacciare sanzioni molto pesanti e provocando la fuga di ingenti capitali esteri. Inoltre, a dimostrare il nuovo corso nei rapporti fra Trump ed Erdoğan, c’è la decisione dell’esecutivo statunitense che ha inserito la Turchia fra gli 8 stati esclusi dall’embargo petrolifero nei confronti di Teheran, consentendole così di continuare a comprare il greggio iraniano.

Un’ottima notizia per il Paese della mezzaluna sul Bosforo, grande importatore di greggio (circa 2 milioni di barili al giorno), che si aggiunge a quella relativa al calo del prezzo del petrolio, sceso del 30% nel giro di poche settimane. Se le quotazioni dovessero stabilizzarsi sui livelli odierni il risparmio per Istanbul sarebbe di circa 18 miliardi di euro in soli dodici mesi (!).

Intanto però la politica monetaria della Banca Centrale, su cui Erdoğan intenderebbe esercitare una crescente influenza, ha prodotto il rialzo dei tassi d’interesse dal 17,75 al 24% con lo scopo di rafforzare la lira nei confronti del dollaro. Tale misura, fortemente osteggiata dal “Sultano”, sembra però essere l’unica strada percorribile per portare ad una stabilizzazione dei tassi di cambio e ad una conseguente tregua di lungo periodo con i mercati finanziari.

L’altra faccia della medaglia però mostra la persistenza di inflazione elevata, registrata al 21,6% a novembre e che dovrebbe mantenersi sopra al 15% anche nel 2019, e una modesta crescita del Pil, già quasi dimezzata nel 2018 rispetto allo scorso anno (dal 7,4 al 3,8%), e che nel 2019 non dovrebbe superare il 2,3%. Come se non bastasse ance il tasso di disoccupazione è previsto in crescita dal 10,9% del 2017 ad oltre il 12% del 2018.

Dati che certificano un ridimensionamento tout court per l’economia turca molto difficile da accettare per un personaggio come Erdoğan che ha costruito le proprie fortune sugli alti tassi di crescita del Pil e che rischia di veder erodersi buona parte del proprio consenso. Tuttavia il rischio di andare incontro ad una crisi ancor più profonda potrebbe convincere il Presidente della Repubblica turco a non calcare troppo la mano contro la politica della Banca Centrale Turca, anche se – visto il personaggio – non si può escludere nulla.

Benvenuti investitori!

Per tutte queste ragioni Istanbul sta provando ad aumentare la propria attrattività nei confronti degli investitori esteri, anche rendendo più facile ottenere il passaporto turco. Tale provvedimento figura infatti nel piano lanciato dal ministro dell’Economia Berat Albayrak per contrastare la crisi economica.
Fra le proposte del ministro c’è infatti quella di concedere il passaporto a chi: acquista in Turchia una proprietà di valore pari ad almeno 250mila dollari (oggi serve un investimento minimo pari ad un milione) mantenendola per almeno tre anni; investe almeno 500.000 dollari in bond nazionali o deposita lo stesso importo presso un istituto di credito turco; avvia un’impresa sul territorio turco assumendo almeno 50 (e non più 100) dipendenti.

Rapporti con l’Italia

I rapporti fra Italia e Turchia sono ottimi tanto che nel 2017 l’interscambio commerciale fra i due Paesi ha superato i 17,5 miliardi di euro con il Belpaese che ha realizzato un saldo commerciale positivo per quasi 2,5 miliardi.

Secondo Sace “malgrado un teso contesto politico interno e relazioni internazionali in peggioramentole prospettive per l’export Made in Italy sono di una significativa crescita delle esportazioni, stimata al +4,4% (tasso d’incremento medio) fra il 2018 ed il 2021. L’incremento previsto coinvolgerà principalmente i beni di consumo (specialmente food&beverage) e quelli intermedi (soprattutto metalli e prodotti della chimica), trainati dall’attività industriale del Paese, che presenta un grado elevato di diversificazione.

Inoltre a parere dell’istituto del gruppo Cdp le dimensioni dell’economia e la disponibilità di ampie risorse mitigherebbero i rischi connessi a un deterioramento dello scenario politico ed economico.

Tuttavia, dai dati sull’export relativi ai primi nove mesi del 2018, emerge una significativa flessione delle vendite di beni italiani in Turchia (-5%) anche se i positivi segnali economici degli ultimi mesi lasciano sperare in un parziale recupero dell’export della Penisola verso Istanbul nell’ultimo trimestre dell’anno.

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Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it

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