Strategie di comunicazione internazionale: come approcciare i mercati esteri?

Strategie di comunicazione internazionale: come approcciare i mercati esteri?

10 Ottobre 2016 Categoria: Marketing Internazionale

In ambito aziendale sono conosciutissimi gli aforismi di Henry Ford, il fondatore della omonima casa automobilistica e vero e proprio pioniere di un modo di concepire e fare impresa più moderno ed organizzato. Sono molte le frasi celebri in cui Ford faceva riferimento alla pubblicità, ma una delle più conosciute è la seguente: “Le anatre depongono le loro uova in silenzio. Le galline invece schiamazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina”. In poche parole e con un esempio abbastanza semplice, Ford ha dimostrato che produrre il bene o servizio migliore non serve a nulla se le persone non sanno che esiste (e quale miglioramento può portare nelle loro vite, aggiungiamo noi).

Un progetto di internazionalizzazione o anche di semplice esportazione richiede risorse ed investimenti importanti per un’azienda e per evitare di vanificare tutti gli sforzi compiuti vanno necessariamente pianificate delle azioni di comunicazione nel mercato di sbocco. Si va da quelle più soft e meno impegnative anche da un punto di vista economico (cataloghi, brochure, un sito internet multilingua) ad azioni più complesse che richiedono investimenti importanti ed una pianificazione attenta e di lunga durata (campagne stampa o tv, azioni di web e/o social media marketing, ecc.).

Tutte queste azioni hanno una cosa in comune: il background culturale in cui vanno ad inserirsi, ovvero il contesto culturale in cui vive il destinatario del messaggio.
La comunicazione è fatta di codici: senza un adeguato sistema di codificazione e decodificazione del messaggio non riusciremmo a capirci nemmeno tra di noi, figuriamoci tra culture diverse.

Sono molteplici i fattori ambientali che influiscono nella determinazione di una politica pubblicitaria all’estero anche se in generale possono essere raggruppati in tre categorie:

1) regolamentazione in materia pubblicitaria;
2) fattori culturali;
3) stili comunicativi;

Li analizzeremo ad uno ad uno inserendo degli esempi che mostrano quanto questi aspetti possano essere dei punti critici da valutare attentamente in una strategia di internazionalizzazione.

REGOLAMENTAZIONE IN MATERIA PUBBLICITARIA

Il più importante di tutti è quello legale: le normative in materia di pubblicità in giro per il mondo sono le più disparate; basti pensare alla pubblicità di bevande alcoliche:

- vietata in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Norvegia e Svizzera;
- soggetta a limitazioni in Italia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Spagna;
- consentita in Belgio e Grecia.

LA CULTURA LOCALE

Tuttavia il fattore legale è quello più facilmente “gestibile”. Esistono altri aspetti culturali che richiedono un’attenzione ancora maggiore onde evitare di incorrere in errori che pregiudichino le strategie di marketing e le performance di vendita di un prodotto. Tanto per fare un esempio vi sono Paesi in cui esiste una vera e propria “publifobia”, ovvero il rifiuto di ogni forma di pubblicità, vista come attività socialmente non produttiva, parassitaria e responsabile dell’aumento di prezzo dei prodotti (anni fa in Francia gli operatori del settore furono costretti a lanciare una campagna informativa contro i publiphobes per difendersi dai loro attacchi).

In molti Paesi la diffidenza nei confronti della pubblicità è dovuta alle ragioni più svariate: c’è ci teme che stimoli l’esibizionismo, l’edonismo, il consumismo, chi sottolinea la mancanza di credibilità di quanto in essa affermato, ma una delle maggiori forme di diffidenza nei confronti della pubblicità riguarda la pubblicità comparativa.

Questo tipo di pubblicità è molto sviluppata negli Stati Uniti dove si crede che la comparazione tra prodotti stimoli la concorrenza e sia la prima forma di tutela del consumatore. Sebbene lo scopo di tale forma di pubblicità debba essere semplicemente quello di informare sulle caratteristiche del prodotto non mancano esempi di pubblicità molto aggressive cosa che ha dato origine ad un atteggiamento molto più cauto in altri Paesi.

In Giappone ad esempio la pubblicità comparativa era vietata fino al 1987 ed ancora oggi non riesce a trovare grande diffusione. Anche in Europa la pubblicità comparativa è arrivata molto tardi, esattamente nel 1997 grazie ad una direttiva dell’Unione Europea, che ha posto comunque dei limiti che non ne hanno favorito l’attecchimento.

GLI STILI COMUNICATIVI

Il terzo fattore da gestire con cautela quando si progetta una campagna pubblicitaria è quello relativo ai diversi stili comunicativi dei pubblici destinatari del messaggio.
In alcuni Paesi la pubblicità ha lo scopo di informare sul prodotto o servizio pubblicizzato ed è pertanto ricco di contenuti tecnici; in altri, invece, prevale uno stile onirico e creativo che mira a mettere in risalto i benefici ottenibili dall’utilizzo di un determinato bene, i suoi valori intangibili e sullo status a cui viene elevato chi lo possiede.

Nelle pubblicità giapponesi, ad esempio, si fa un grande ricorso all’umorismo, mettendo in ridicolo gli aspetti più peculiari della cultura nipponica come la vita in ufficio o la difficoltà con la lingua inglese. Le allusioni sessuali, invece, (di cui sono ricche le pubblicità occidentali) vengono usate pochissimo e quando lo si fa spesso il protagonista dello spot è uno straniero.

Le variabili culturali incidono in maniera importante su tutte le fasi di progettazione di una campagna pubblicitaria, ma l’influenza maggiore la esercitano sicuramente sull’aspetto creativo.

Il contesto culturale al quale appartiene il destinatario del messaggio è, infatti, caratterizzato da:

- differenze linguistiche: in pubblicità si usa molto il linguaggio colloquiale, a volte addirittura dialettale, perché questo tipo di linguaggio esprime in maniera più efficace e diretta sentimenti, sensazioni, emozioni e valori. Tuttavia le espressioni idiomatiche che caratterizzano questo tipo di linguaggio sono difficilmente traducibili ed il loro significato è poco comprensibile da chi non appartiene alla stessa cultura. L’India, ad esempio, riconosce come lingue ufficiali l’hindi e l’inglese, anche se la Costituzione elenca altre 22 lingue che possono essere utilizzate ufficialmente. La realtà è che oggi in India esistono ben 13 alfabeti diversi, 30 lingue e 2000 dialetti;

- elementi visivi: basti pensare alla rappresentazione della nudità o della sessualità: abbastanza comune in occidente (anche quando il prodotto pubblicizzato è un semplice yogurt) e assolutamente vietata nei paesi arabi;

- ruoli rappresentati: la scelta dei personaggi, l’età, il sesso, l’apparenza, l’abbigliamento, il comportamento ed il contesto in cui sono inseriti devono essere valutati attentamente, magari studiando un campione di pubblicità locali o evitando completamente la raffigurazione delle persone (come negli spot per le automobili);

- colori e simboli: i primi sono associati alle emozioni “sono nero” o “vedo rosso” per la rabbia, “sono verde” per l’invidia, etc. o al lutto (nei paesi occidentali il colore del lutto è il nero, in quelli orientali il bianco), il verde è molto comune nei paesi arabi dove viene associato a concetti positivi, mentre il rosso ed il nero hanno una connotazione negativa nei paesi africani; i secondi, invece, assumono i significati più disparati a seconda delle differenti culture (ad esempio i capelli lunghi, i blue jeans, gli orecchini per gli uomini, gli animali);

La progettazione di campagne di comunicazione internazionale, dunque, è un elemento strategico, ma anche un punto critico importante all’interno di una strategia di internazionalizzazione aziendale: è bene quindi avvalersi di professionisti esperti e consulenti locali che fungano da primi tester della campagna e del suo significato percepito. L’improvvisazione in quest’ambito non paga ed anzi ha già portato in molti a casi a grosse perdite difficilmente recuperabili.

Fonte: a cura di Exportiamo, di Francesco Bromo, redazione@exportiamo.it

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