Il 15 e 16 Maggio 2017 si è svolto a Pechino il primo Belt and Road Forum for Cooperation, una tavola rotonda promossa dal Governo Centrale Cinese alla quale hanno partecipato oltre ai governi di una sessantina di Paesi, anche i rappresentanti di diverse istituzioni internazionali (ONU, WEF, Banca Mondiale, FMI, ITC) e del mondo dell’industria e finanza internazionali.
L’incontro rappresenta il primo tentativo pubblico della Cina di raccogliere attorno a sé il sostegno economico e politico internazionale necessario a realizzare la Belt and Road Initiative, un colossale progetto di collegamento della Cina all’Europa e all’Africa Orientale. L’idea originale dell’OBOR (One Belt One Road) e dei due corridoi marittimo e terrestre risale al 2013, e l’incontro rappresenta il primo risultato concreto dopo quattro anni di impegno diplomatico da parte di Pechino.
Di cosa si tratta?
La Belt and Road Initiative/OBOR prevede l’apertura di due corridoi infrastrutturali fra Estremo Oriente e continente europeo sulla falsariga delle antiche Vie della Seta: uno terrestre (Silk Road Economic Belt) e uno marittimo (Maritime Silk Road). Il percorso esatto dei due tracciati non sono ancora stati definiti con precisione; lo scopo dell’incontro di metà Maggio era quello di valutare i possibili percorsi anche sulla base della disponibilità degli Stati che potrebbero ospitarne dei tratti. Quel che è certo è che la via terrestre dovrebbe andare da Pechino verso l’Europa Occidentale (idealmente Rotterdam/Canale della Manica) passando o per l’Asia Minore ed il Medio Oriente, o alternativamente attraverso la Russia centrale.
Quella marittima invece dovrebbe partire dal Mar Cinese Meridionale (Hong Kong/Guangzhou) ed arrivare almeno alle coste dell’Africa attraverso l’Oceano Pacifico (e presumibilmente proseguire lungo il Mar Rosso fino al Mediterraneo). A lato di questi due tronconi sono state per ora proposte diverse diramazioni, fra cui il Cina-Mongolia-Russia e quello Cina-Thailandia-Indonesia/Singapore.
Prosperità economica e culturale
Ovviamente se realizzata la Belt and Road avrebbe un impatto titanico sulla fluidità degli scambi fra Asia e resto del mondo: l’Hong Kong Trade Development Council (HKTDC) stima che, se pienamente sviluppate, le nuove vie commerciali potrebbero arrivare a toccare direttamente ben 80 Paesi, l’equivalente dei due terzi della popolazione e un terzo del PIL mondiali. Ufficialmente però il progetto va al di là della pura logistica.
Nel discorso di apertura del Forum Xi Jinping ha infatti esplicitamente paragonato il meccanismo di contagio innescato dalla prima Via della Seta a livello di sviluppo economico e culturale e quella che nelle intenzioni cinesi dovrebbe scaturire dal progetto attuale. Teoricamente i collegamenti fra Estremo Oriente ed Europa, creando un corridoio per merci e capitali, dovrebbero dare la possibilità alle aree meno sviluppate di immettersi nei flussi dell’economia globale: la tesi ufficiale di Xi Jinping è che la vicinanza con un’infrastruttura di queste dimensioni dovrebbe attirare investimenti (per aree di stoccaggio, siti di trasformazione, industria, servizi commerciali) e concorrere alla diffusione del benessere in aree in via di sviluppo come Asia Centrale, Mongolia ed Asia-Pacifico.
La retorica adottata dal Presidente cinese durante l’incontro, volta a raccogliere adesioni attorno al progetto, ha insomma posto l’accento su quanto la Belt and Road possa rappresentare un’occasione di sviluppo per tutti e non solo per la Cina. Ma è abbastanza ovvio che l’OBOR sia strettamente funzionale al raggiungimento di obiettivi della “dottrina” del Chinese Dream; non è un caso infatti che a margine di un progetto infrastrutturale ancora tutto da decidere la Cina abbia già lanciato il programma Silk Road Scholarships, che ogni anno distribuisce 10.000 borse per studenti stranieri (provenienti sopratutto da Corea del Sud e Asia Centrale).
In altre parole, dal punto di vista cinese la Belt and Road non si iscrive solo in una precisa agenda economica volta a potenziare i flussi di merci verso l’esterno, ma vuole anche essere uno strumento per aumentare il peso culturale (e quindi politico e diplomatico) del Paese a livello globale (il FT riportava che la mancata partecipazione di USA ed Australia al progetto sia dovuta proprio ai timori legati alla costruzione di un’egemonia globale cinese). La rinuncia al pivot to Asia (attraverso il decadimento del TPP) da parte degli Stati Uniti, lasciando il campo libero alla Cina nella zona del sudest asiatico, rappresenta comunque nel contesto un coup de théatre estremamente favorevole al Regno di Mezzo.
Stato dell’arte
Per ora le manifestazioni d’interesse più concrete provengono dal mondo privato: Caterpillar ha dichiarato il suo interesse nella partecipazione diretta ai lavori di costruzione già nel 2014 per bocca del presidente Douglas Oberhelman; Honeywell e Wison Engineering stanno esplorando la possibilità di investire in impianti di trasformazione petrolifera in relazione al Silk Road Economic Belt, e la lista si allunga con nomi come General Electric, Citibank, Siemens etc.
L’entusiasmo nato attorno all’OBOR lascia però aperta la questione dei finanziamenti: sempre secondo il HKTDC per essere realizzata la Belt and Road avrebbe bisogno di un monte investimenti pari a circa 12 volte quello del Piano Marshall (fra i 2 ed i 3 trilioni $ l’anno). Per rispondere al problema dei finanziamenti la Cina ha creato un apposito fondo di investimenti pubblico, il Silk Road Fund, che attualmente conta su una dotazione di 40 mld $ a cui si aggiungono i contributi della Asian Development Bank e della New Development Bank (la banca per lo sviluppo dei BRICS) che hanno messo a disposizione ciascuna 100 mld $.
La cifra di 240 mld attualmente disponibile rappresenta una frazione minima degli investimenti annuali necessari; si tratta di una situazione complicata dato che la partecipazione di altri attori agli sforzi finanziari richiesti dal progetto dipenderà largamente dalle garanzie che i responsabili del progetto (in primis la Cina) saranno in grado di dare a livello di trasparenza nella gestione sia amministrativa che in quella dei fondi. Formalmente il Silk Road Fund promette di attribuire le risorse finanziarie seguendo “princìpi di mercato”, ma il timore che il progetto possa beneficiare sopratutto le imprese cinesi e che i flussi di denaro possano perdersi in assegnazioni opache è forte.
Infatti fra scarsa chiarezza circa le reali modalità di partecipazione, indiscrezioni sugli incoraggiamenti di Pechino alle proprie banche d’investimenti affinché finanzino principalmente imprese nazionali, la relativa indefinitezza nel diritto cinese delle regole sugli appalti pubblici (la Cina non fa parte del GPA WTO e l’unica legge nazionale in materia, promulgata solo nel 2002, contiene forti vincoli in termini di local content peraltro neanche oggettivamente definiti), i dubbi sui reali benefici per le aziende non cinesi restano numerosi.
Il doppio interesse di Pechino
Se i vantaggi per il resto del mondo, pur presenti, rimangono ancora scarsamente definiti, l’interesse cinese nell’OBOR deriva chiaramente dalla necessità di creare uno sbocco per il potenziale produttivo nazionale, flagellato dalla contrazione della domanda internazionale in seguito alla crisi del 2007 (da quell’anno il PIL sembra aver abbandonato per sempre i favolosi tassi di crescita a doppia cifra per entrare in una fase di progressivo rallentamento). Il fallimento della riconversione dell’economia da un modello export oriented ad uno trainato dai consumi interni sta quindi spingendo la Cina a cercare fuori dai propri confini dei mercati capaci di sostenerne la crescita economica. Il recente downgrade del rating sovrano cinese da parte di Moody’s e lo spettro di un ulteriore degradamento da parte di S&P (che attribuisce al Paese un outlook negativo dal 2016) rendono l’elaborazione di una soluzione ancora più urgente.
Un altro aspetto rilevante riguarda il fatto che la Belt and Road andrà a toccare diversi punti dove l’imprenditoria cinese Cina ha già piantato bandiera negli anni passati. Ad esempio la diramazione diretta in Thailandia andrebbe a collegarsi direttamente alla ferrovia Kunming-Hanoi, mentre la Maritime Road andrebbe ad incontrare le linee ferroviarie Addis Abeba-Djibouti o la Nairobi-Mombasa, tutte costruite o in fase di cosrtuzione con fondi cinesi. Pur non rilasciando una lista esaustiva sugli investimenti già mobilizzati, il MOFCOM stima che nel 2016 la Cina avesse uno stock di IDE pari a 850 mld $ sparsi in 36 Paesi lungo la Belt and Road, per un totale di 336 investimenti potenzialmente collegati o collegabili alla nuova Via della Seta.
L’OBOR garantirebbe quindi un forte supporto logistico alle esportazioni cinesi (abbattendo i costi di trasporto) e faciliterebbe l’approvvigionamento di materie prime. Resta da vedere se il progetto si farà: finanziamenti e incertezze degli altri Stati Membri sono solo uno dei problemi che dovranno essere affrontati; basti pensare ad esempio alle criticità che caratterizzano alcune delle aree potenzialmente interessate (la cronica instabilità in Medio Oriente o il problema della pirateria lungo le coste del Mar Rosso) o a come la Maritime Road crei l’ennesima tensione nella contesa aperta fra Cina, Taiwan, Filippine e Vietnam del Mar Cinese Meridionale.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Velia Angiolillo, redazione@exportiamo.it
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