Durante questi giorni di elezioni se ne parla tantissimo: gli exit poll, infatti, fanno ormai parte del linguaggio elettorale comune.

Ma che cosa sono esattamente e a cosa servono?

Gli exit poll, come suggerisce il nome, sono sondaggi realizzati all’uscita dei seggi. Consistono in un questionario che viene somministrato ad un campione rappresentativo di elettori all’uscita dal seggio a cui viene chiesto di riprodurre il voto così come è appena stato fatto nella sezione elettorale.

I sondaggisti - generalmente aziende private che lavorano per i media, ma anche per i partiti politici stessi - tengono gli exit poll per ottenere un’indicazione immediata di quale sarà il risultato elettorale, dato che generalmente occorrono varie ore o persino giorni prima che vengano resi noti i risultati definitivi.

Attenzione a non confondere gli exit poll con i sondaggi elettorali: questi ultimi vengono pubblicati fino a due settimane prima del voto e rappresentano delle stime sulle intenzioni di voto, lasciando poi spazio al silenzio elettorale fino alla chiusura dei seggi.

E nemmeno con le proiezioni, che entrano in gioco durante lo spoglio: basandosi sulle sole schede già scrutinate si fa appunto una proiezione del risultato finale.

Fidarsi è bello…ma non fidarsi è meglio?

Gli exit poll permettono di formarsi un’idea sul risultato finale già mentre il voto è ancora in corso, ma presentano diversi problemi e spesso sono considerati un metodo inaffidabile.

Il primo è la selezione del campione: non potendo per ovvi motivi intervistare tutti gli elettori, bisogna sceglierne solo un certo gruppo, ma non è affatto detto che questo gruppo sia rappresentativo dell’intera popolazione.

Il secondo problema è anche più sottile: alcuni elettori, infatti, potrebbero rifiutare di rispondere o addirittura mentire perché si vergognano del partito o candidato votato.

Il terzo è che i risultati, che spesso trapelano a urne ancora aperte, influenzano chi deve ancora recarsi ai seggi, e quindi falsano i risultati reali. Proprio per questo motivo in Italia è vietato dalla legge divulgare i risultati degli exit poll prima della chiusura delle urne, mentre in altre nazioni, come la Nuova Zelanda, è addirittura vietato condurli.

Exit Flop?

Ci sono stati moltissimi casi in cui gli exit poll hanno clamorosamente fatto cilecca. Tra i casi più eclatanti e recenti ricordiamo quelli del referendum su Brexit e le presidenziali americane del 2016.

Secondo gli exit poll la Brexit era quasi impossibile si potesse verificare, ma contrariamente alle attese, la Gran Bretagna ha votato per il “Leave”, e i sudditi di sua Maestà si sono così (almeno a parole e sulla carta) staccati dall’Unione Europea.

Gli analisti hanno fatto largo uso di previsioni e importanti calcoli anche durante l’Election Day americano del 2016: la candidata democratica Hillary Clinton, secondo gli exit poll, avrebbe vinto a mani basse le elezioni, sbaragliando l’avversario repubblicano. Ma le urne hanno dato un esito del tutto differente, con il tycoon americano Trump che ha superato abbondantemente la soglia dei 270 grandi elettori, diventando di fatto il 45° presidente degli Stati Uniti.

Lo sapevate che…

non si sa chi abbia effettivamente inventato gli exit poll ed in diversi se ne contendono la paternità? Marcel van Dam, sociologo ed ex politico olandese, sostiene di esserne l’inventore, essendo stato il primo ad averli realizzati durante le elezioni legislative olandesi del 15 febbraio 1967. Altre fonti riferiscono che il primo ad usarli fu Warren Mitofsky, un sondaggista americano, durante le lezioni governatoriali in Kentucky nel novembre dello stesso anno. Ma c’è addirittura chi fa risalire l’origine degli exit poll agli anni 40, durante le elezioni tenutesi a Denver in Colorado.
Chi avrà ragione?!?

Fonte: a cura di Exportiamo, di Miriam Castelli, redazione@exportiamo.it

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