Transfer Pricing e Rischi Fiscali nelle Multinazionali

Il Transfer Pricing riveste fondamentale importanza per le imprese che operano a livello internazionale. Scopriamo insieme come si determina e quali rischi si corrono in caso di carenze o omissioni nella documentazione.
Con il termine Transfer Pricing si intendono i prezzi applicati nelle transazioni tra imprese associate per il trasferimento o l’acquisto di beni tra imprese associate, incluse le stabili organizzazioni che si trovano in due Paesi diversi.
La normativa relativa al Transfer Pricing ha origine internazionale, ha una struttura generale in tutti i Paesi e la più diffusa è quella OCSE che però non tutti i Paesi seguono, come il Brasile.
In Italia la normativa relativa al Transfer Pricing è presente dagli anni ’80 e nel 2020 è entrata in vigore una nuova normativa, in sostituzione alla precedente del 2010, che ha introdotto oneri documentali nuovi e più specifici, avvicinandosi maggiormente alla normativa OCSE.
Il Transfer Pricing segue il principio di libera concorrenza, ovvero che i prezzi applicati tra 2 società dello stesso gruppo o sotto influenza dominante devono essere uguali a quelli che verrebbero applicati a società indipendenti. Quindi il valore della transazione infragruppo deve essere il prezzo applicabile a soggetti terzi.
Sia la normativa italiana sia quella internazionale sanciscono che il contribuente può dimostrare la coerenza al principio di libera concorrenza con un metodo proprio. Tuttavia, la normativa OCSE ha determinato 5 metodi principali per stabilire il prezzo corretto per i beni soggetti a Transfer Pricing, di cui 3 tradizionali e 2 basati sui profitti transazionali. I primi 3 tradizionali rimangono i preferiti, in particolare il primo, e nel caso non si riesca ad applicare uno di questi e si dovesse procedere con uno degli altri 2 si dovrà giustificare il perché non si sono applicati quelli tradizionali.
Ecco quali sono i metodi utilizzati:
Parte Formale
I documenti richiesti per il Transfer Pricing previsti dalla normativa sono:
Con la nuova normativa del 2020, la documentazione riguardante i prezzi di trasferimento dovrà essere firmata elettronicamente con marca temporale entro il 30 novembre. La documentazione andrà scritta tutta in italiano, esclusi gli allegati e il Masterfile che potrà essere in lingua inglese. L’analisi di benchmark, se l’impresa è una PMI, dovrà essere aggiornata ogni 3 anni e non annualmente come le grandi imprese. Si può optare comunque per un aggiornamento completo oppure uno finanziario, ossia parziale e di pura modifica dei dati.
La penalty protection è garantita solo nel caso in cui l’azienda dichiari esattamente e conformemente alla normativa all’Agenzia delle Entrate la cifra esatta del Transfer Pricing con i relativi documenti. Le conseguenze possono variare a seconda della mancanza o omissione:
Rimane comunque facoltativo presentare la documentazione relativa alle operazioni riguardanti i prezzi di trasferimento. Tuttavia, in caso di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, se le dichiarazioni dovessero risultare discordanti non si potrebbe beneficiare del regime premiale della penalty protection. In caso di richiesta da parte dell’Agenzia delle Entrate la documentazione va presentata entro 20 giorni; nel caso in cui questa dovesse richiedere anche della documentazione aggiuntiva, come ad esempio delle fatture, andranno fornite entro 7 giorni dalla richiesta.
La nuova normativa 2020 ha avvicinato la normativa italiana a quella più ampiamente utilizzata dai Paesi OCSE. Sebbene non ci sia un obbligo di applicazione uniforme internazionalmente, gli Stati si stanno avvicinando alle linee guida OCSE in modo da avere sempre meno zone grigie nelle dichiarazioni Transfer Pricing. È opportuno seguire le normative in evoluzione nelle legislazioni per non incorrere in sanzioni veramente elevate.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Ambra Quadri, redazione@exportiamo.it
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